Profili processuali della legge sulla filiazione tra interventi frammentari del legislatore e necessita' di riforma generale del processo di famigliaProfili processuali della legge sulla filiazione tra interventi frammentari del legislatore e necessità di riforma generale del processo di famiglia
di Claudio Cecchella
Cagliari, 24 maggio 2013
1. Introduzione
L’unificazione dello status, sul piano sostanziale
Sul piano sostanziale, a seguito degli interventi dell’art. 1 della legge n. 219 del 2012 sulle disposizioni del codice civile e della delega di cui all’art. 2 della stessa legge, sul riordino della disciplina vigente, può dirsi finalmente raggiunta l’unificazione dello stato di figlio, sia esso nato durante il matrimonio, sia fuori dal matrimonio.
2. Profili di competenza
La diversificazione processuale
Al contrario, sul piano processuale, il legislatore propende ancora per un intervento frammentario, che
presuppone la ripartizione delle competenze e la diversificazione dei riti, non offrendo un quadro unitario
sul piano processuale alla disciplina del processo cognitivo ed esecutivo nelle controversie di famiglia, nonostante l’alto livello di specializzazione della materia nel suo complesso, cui dovrebbe seguire per necessità un rito speciale generalizzato e una competenza unitaria.
La tutela differenziata di famiglia
1. necessità di una regola al conflitto con immediatezza, adeguata tutela anticipatoria (es. 708 cpc);
2. necessità di un adattamento alle evoluzioni temporali della fattispecie con la stessa immediatezza (es. 709 uc e 710 cpc);
3. necessità che il giudice del merito sia anche giudice della esecuzione (art. 709 – ter c.p.c.);
4. necessità di un adeguata tutela mediante misure coercitive civili alla infungibilità della prestazione e di una tutela esecutiva anche del diritto inesigibile (art. 709 – ter e 156 c.c.).
La tutela razionale di famiglia
Un processo razionale nelle controversie di famiglia necessità in modo indilazionabile:
a) di una competenza unificata in un sezione specializzate del tribunale ordinario;
b) di un rito unico, sul modello della separazione e divorzio
La sopravvivenza del riparto di competenze
Sopravvive all’intervento della riforma la ripartizione delle competenze, avendo il legislatore riproposto – nonostante la presenza di numerosi disegni di legge verso l’unificazione delle competenze con la creazione di una competenza unica per materia funzionale del tribunale ordinario sezione specializzata della famiglia – l’applicazione dell’art. 38 delle disp. att. cod. civ.
La sopravvivenza dell’art. 38 disp. att. cod. civ., sulla competenza del tribunale per i minorenni
Con la salvezza dell’art. 38 cit., resta salva l’istituzione del tribunale per i minorenni, anche se significativamente erosa con un intervento anche in evidente polemica a recenti orientamenti del giudice di legittimità, volti ad estendere la competenza del tribunale per i minorenni proprio nell’ambito delle controversie di cui sono parti i figli nati fuori dal matrimonio, risultandone accentuato il discrimine processuale con i figli nati nel matrimonio (in termini di adeguata tecnica di anticipazione degli effetti della decisione di merito in particolare modo).
Le controversie de potestate
Sono in particolare rimaste nella competenza del tribunale per i minorenni le controversie c.d. de potestate, sulla decadenza nella potestà (artt. 330 e 332 c.c.); sui provvedimenti convenienti meno gravosi della decdaneza, come l’allontanamento (art. 333 c.c.); sulla rimozione e riammissione nell’esercizio dell’amministrazione (art. 334 e 335).
Le altre controversie residue di volontaria giurisdizione in senso stretto
Restano, inoltre, di competenza del tribunale per i minorenni i procedimenti che autorizzazione per gravi motivi al matrimonio chi abbia compiuto 16 anni (art. 84) ; i procedimenti che autorizzano al minore la continuazione dell’esercizio dell’impresa; i procedimenti per la nomina di un curatore speciale del minore nella stipula delle convenzioni matrimoniali (art. 90).
la novità dell’art. 251 c.c.
L’art. 251, 2° comma, c.c. affida al tribunale per i minorenni l’autorizzazione “avuto riguardo all’interesse del figlio e alla necessità di evitare qualsiasi pregiudizio” al riconoscimento del figlio incestuoso.
Natura delle controversie devolute alla competenza del tribunale per i minorenni
Le controversie de potestate, poiché implicano intensamente un diritto a cui corrispondono interessi del minore e del genitore, hanno natura contenziosa e necessitano perciò di tutte le garanzie del “giusto processo” ex art. 111 c.p.c.
Le altre competenze residue concernono i procedimenti di volontaria giurisdizione in senso stretto, per i quali tali garanzie appaiono meno rilevanti.
L’incremento della competenza del tribunale ordinario
Poiché l’art. 38, al secondo comma, ripropone la regola di chiusura secondo la quale ogni altra controversia è attribuita alla competenza del tribunale ordinario, ne risulta significativamente incrementata la competenza di questo organo.
I casi dell’incremento
Si tratta:
Dei procedimenti per l’amministrazione dei beni del fondo patrimoniale in caso di annullamento del matrimonio o di divorzio in presenza di figli minori (art. 171);
Dei procedimenti in tema di costituzione di usufrutto su una parte dei beni spettanti ad un coniuge nella divisione della comunione legale in relazione alla necessità della prole (art. 194, 2° comma c.p.c.);
Delle controversie sulla opposizione al riconoscimento da parte del genitore che abbia riconosciuto per primo il figlio (art. 250 c.p.c.);
Delle controversie sull’inserimento del figlio riconosciuto nella famiglia legittima di uno dei genitori (art. 252 c.p.c.);
Delle controversie in ordine all’assunzione del cognome del padre che riconosca il figlio (art. 262);
Dell’autorizzazione all’impugnazione del riconoscimento e della nomina del curatore speciale del minore (art. 264)
Segue. Controversie sulla potestà
Sono affidate alla competenza del tribunale ordinario, alcune controversie sulla potestà:
art. 316, risoluzione dei contrasti sull’esercizio della potestà dei figli nati nel matrimonio;
art. 317-bis, risoluzione delle controversie in ordine alla potestà dei figli nati fuori dal matrimonio e dei contrasti nell’esercizio della potestà (per richiamo all’art. 316).
Art. 269 c.c.
Ai sensi della citata disposizione, sono attribuite al tribunale ordinario la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale.
Conseguenze in ordine ai figli nati fuori dal matrimonio: affidamento e mantenimento cumulati innanzi al tribunale ordinario
Il riparto di competenze, nonostante la persistente frantumazione e biforcazione, ha il pregio di superare definitivamente la giurisprudenza di legittimità (a partire da Cass., 3 aprile 2007, n. 8362, in Foro it., 2007, I, 2049), che in caso di domanda congiunta di affidamento del figlio nato fuori dal matrimonio e di mantenimento, quest’ultima in via autonoma attribuita alla competenza del tribunale ordinario, affidava l’intera controversia al tribunale per i minorenni, derogando alle regole sulla competenza per ragioni di connessione.
La competenza attrattiva per connessione del tribunale ordinario
All’attribuzione di affidamento, potestà e mantenimento integralmente al tribunale ordinario, la legge n. 219 pone l’ulteriore vis actrattiva dovuta alla litispendenza del procedimento per separazione e divorzio o del giudizio sulla controversia inerente l’esercizio della potestà ex art. 316 c.c.: in tal caso le controversie sulla potestà vengono tutte attratte nel procedimento innanzi al tribunale ordinario.
Conseguenza interpretativa,i procedimento di modifica e revisione
Per l’identità di oggetto deve ritenersi che la vis actrattiva vale anche in caso di pendenza dei procedimenti di modifica e di revisione delle condizioni di separazione e divorzio.
Ulteriore conseguenza interpretativa, controversie ex art. 317-bis cc
Quando pende il procedimento sull’esercizio della potestà dei figli nati fuori dal matrimonio ex art. 317-bis c.c., deve ritenersi che le azioni de potestate rimaste nella competenza del tribunale per i minorenni, per ragioni di ragionevolezza ed eguaglianza, devono essere attratte innanzi al tribunale ordinario ove pende il primo procedimento.
Il problema, i legittimati diversi delle azioni de potestate
Resta da capire cosa accada nell’eventualità che il legittimato di cui all’art. 336, nelle controversie de potestate, sia un soggetto diverso dai genitori, pur legittimato sulla base di quella disposizione: in pendenza della separazione o del divorzio, resta ferma la competenza del tribunale per i minorenni? Oppure deve ritenersi ampliato soggettivamente il procedimento per separazione e divorzio in virtù della vis actrattiva?
Propende per la prima Tribunale Milano 07 maggio 2013 - Pres. Servetti - Est. Buffone, in www.ilcaso.it
Inapplicabilità dell’art. 5 c.p.c.
La vis actrattiva non deve applicarsi soltanto nel caso in cui già penda anticipatamente il procedimento per separazione e divorzio al momento della presentazione della domanda sulla controversia affidata al tribunale per i minorenni, ma per l’ampiezza della formula (“resta esclusa la competenza”) deve ritenersi che la vis actrattiva operi anche quando sia introdotta anteriormente la controversia innanzi al tribunale per i minorenni
Alcune riflessioni sulla litispendenza
I procedimenti in questione pendono tutti dal deposito del ricorso essendo introdotti in quella forma (art. 39, 4° comma, c.p.c.) e deve ritenersi pendente anche il processo sospeso o interrotto.
3. Il rito
Carattere contenzioso della lite su affidamento e mantenimento e rito camerale
Nonostante il carattere contenzioso delle controversie su affidamento e mantenimento, in considerazione dei diritti implicati, il legislatore affida al secondo comma dell’art. 38 cit., il rito dei relativi procedimenti alle forme camerali degli artt. 737 e ss.
Le garanzie
Come Andrea Proto Pisani ha evidenziato (“La giurisdizionalizzazione dei processi minorili c.d. de potestate”, in Foro it., 2013, V….. ) il carattere giurisdizionale dei procedimenti de potestate, come anche delle controversie su affidamento e mantenimento, non tollera l’applicazione di norme inesistenti come quelle del rito camerale (per l’incostituzionalità: ordinanza Dogliotti, App. Genova, 4 gennaio 2001, e ordinanza Pazzè , App. Torino, 3 gennaio 2001) per violazione dell’art. 111 Cost. sulla riserva di legge e sulle regole del giusto processo.
La risposta della Corte Costituzionale
La sentenza n. 1 del 2002 della Corte cost. ha risolto salomonicamente con una declaratoria di inammissibilità che lascia aperto il contrasto, ma anche incidentalmente ha suggerito l’applicazione al procedimento di cui all’art. 336 c.c.: - del principio del contraddittorio, anche quando la misura viene data inaudita altera parte, e di alcuni fondamentali garanzie previste dal processo cautelare uniforme, particolarmente in ordine al reclamo, come adeguamento costituzionale della normativa.
La risposta del tribunale per i minorenni
Purtroppo in molti tribunale per i minorenni si è continuata la prassi di procedere per segnalazione dei servizi sociali con misure emesse in assenza di contraddittorio e senza convalida, con il contraddittorio di entrambi i genitori. Il legislatore nel richiamare il rito camerale non si è forse avveduto di tale grave deviazione dai principi costituzionali.
Il problema di una tutela provvisoria
Oltre alla mancanza di regole del rito, che apre la prospettiva del processo al baratro della violazione dei più elementari principi del giusto processo, resta la lacuna della mancanza di un provvedimento provvisorio, di natura anticipatoria che costituisce invero indefettibile misura dovuta alla differenziazione della tutela giurisdizionale dei diritti essendo endemicamente implicato dalla controversia familiare il profilo dell’urgenza della tutela.
Mancanza di una soluzione
Il richiamo al rito camerale, per il carattere autosufficiente ed intollerante a forme di tutela alternativa, come quella ordinaria a cognizione piena, anche quella anticipatoria a cognizione sommaria rende insolubile il problema.
Non è risolto neppure dal terzo comma dell’art. 38 il quale sancisce solo l’immediata esecutività dei provvedimenti terminali e non si esprime sui provvedimenti provvisori ed urgenti, sul modello dei provvedimenti presidenziali in sede di separazione e divorzio.
L’analogia
L’interprete deve, per dovere costituzionale, dare un’interpretazione della grave lacuna.
Applicazione analogica dell’art. 710, 3° comma, c.p.c. il quale introdotto in un caso di rito camerale familiare, potrebbe essere di generale valenza, oppure l’art. 336, 3° comma, le cui regole potrebbero applicarsi anche ai procedimenti di cui all’art. 317-bis
Il tribunale di Milano,esclusione tutela d’urgenza
In materia di prestazioni alimentari ex art. 433 e ss. c.c., non è pertinente il richiamo all’art. 700 c.p.c., in quanto trova elettiva applicazione il disposto normativo di cui all’art. 446 c.c., trattandosi di disposizione speciale che in quanto tale inibisce il ricorso alla fattispecie di carattere generale e, così, residuale. Infatti, il provvedimento presidenziale ex art. 446 c.c. concreta una misura tipica e speciale, che impedisce il ricorso all’art. 700 c.p.c. e ne esclude qualsivoglia possibilità di assimilazione, sia sul piano dei presupposti sostanziali sia su quello della regolamentazione processuale.
Tribunale Milano 03 aprile 2013 - - Pres., est. Servetti, in www.ilcaso.it
L’impugnativa dei provvedimenti provvisori
Ammettere anche in via analogica provvedimenti provvisori pone al centro dell’attenzione il tema della loro reclamabilità, ove resta l’impostazione di centrale rilievo della reclamabilità dei provvedimenti cautelari.
L’immediata efficacia
Il terzo comma dell’art. 38 pone una sola regola, quella, in deroga all’art. 741, 2° comma, della immediata efficacia del provvedimento che conclude il rito camerale, almeno in questo riconoscendo una anticipazione al provvedimento conclusivo della prima fase del rito camerale.
L’impugnativa dei decreti del tribunale per i minorenni
La norma si esprime invece in modo esplicito per la reclamabilità (da intendersi in sede camerale) alla sezione della Corte di appello per i minorenni.
In tal modo, almeno nella disciplina dell’appello le controversie di famiglia si unificano tutte in un rito che segue le regole della camera di consiglio (art. 709-bis c.p.c. e art. 4, 15° comma, l. n. 898/1970)
L’appello camerale
Il richiamo generalizzato al rito camerale per l’appello, apre la prospettiva di un gravame più garantistico, per la inapplicabilità al rito camerale dell’art. 342 sul motivo specifico in appello e dell’art. 348-bis sulla necessità a pena di inammissibilità dell’appello di una ragionevole probabilità di accoglimento; dell’art. 345 sui limiti alla deducibilità di nuove difese in appello.
4. Il processo sul riconoscimento del figlio
La ratio
L’ambito più ampio e diffuso di riconoscimento della filiazione sancito dalla riforma sul piano sostanziale, si traduce in alcune importanti conseguenze processuali.
Mancato consenso del genitore che ha riconosciuto
In difetto di consenso, nei casi in cui è necessario, del genitore che abbia già effettuato il riconoscimento, l’altro genitore che intende riconoscere il figlio propone ricorso al tribunale (ordinario), che fissa un termine per la notifica del ricorso al genitore dissenziente che ha già riconosciuto.
Opposizione
Il mancato consenso ha modo così di emergere processualmente: il coniuge dissenziente può, entro 30 giorni dalla notifica, introdurre opposizione (con modalità formali rimaste incerte), la quale sarà decisa dal giudice con sentenza (nelle forme ordinarie o camerali?), che prenderà il posto del consenso mancante e può essere preceduta da provvedimenti provvisori urgenti fondati sul fumus (“salvo che l’opposizione non sia palesemente fondata”).
L’audizione del minore
Nonostante la chiara previsione dell’art. 315 bis, il legislatore ha voluto sancire la stessa regola anche nel rito su opposizione: l’audizione necessaria del figlio minore che abbia compiuto 12 anni o anche di età inferiore, ove capace di discernimento.
Mancata opposizione
Anche in caso di mancata opposizione il giudice decide con sentenza, ma deve ritenersi senza particolari formalità di assunzione di ogni opportuna informazione, di audizione del figlio, pur dovendosi ritenere necessaria la valutazione dell’interesse del minore, come condizione del riconoscimento, nonostante il mancato consenso dell’altro genitore.
I contenuti della sentenza
Oltre a tener luogo del consenso mancante, nella sentenza il giudice provvede su affidamento e mantenimento del minore e in relazione al suo cognome
Ulteriore intervento giudiziale
Nell’ultimo comma dell’art. 250 c.c. si consente al giudice di autorizzare il genitore infrasedicenne al riconoscimento del figlio concepito “valutate le circostanze e avuto riguardo all’interesse del figlio”.
Tale procedimento è di competenza del tribunale ordinario, con il rito in camera di consiglio.
5. L’audizione del minore
Art. 315-bis
Dopo la stagione dettata dall’art. 4, 8° comma, l. n. 898 del 1970, e dell’art. 155, sexies c.c., senza che il legislatore si esprimesse espressamente per l’ abrogazione delle disposizioni precedenti, si introduce l’art. 315-bis il quale sancisce:
“il figlio minore che abbia compiuto gli anni 12 o anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le procedure che lo riguardano”
L’evoluzione
L’art. 4, 8 comma, legge n. 898 del 1970: “Il presidente, sentiti i coniugi e i rispettivi difensori nonché, qualora lo ritenga strettamente necessario anche in considerazione della loro età, i figli minori…”
L’eccezionalità dell’audizione era dettata dal riferimento allo “strettamente necessario”.
Segue
L’art. 155 sexies c.c.: “Il giudice dispone, inoltre, l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni 12 e anche di età inferiore ove capace di discernimento”.
La discrezionalità della legge sul divorzio, si trasforma in doverosità dell’audizione e ciò in linea con le convenzioni internazionali, convertite in legge nel nostro ordinamento (convenzione di New York del 1989 e convenzione di Strasburgo sui diritti del fanciullo del 1996).
La nuova ratio della doverosità
Il ruolo dell’audizione ha particolare importanza nel regolamento europeo n. 2201 del 2003 ove l’art. 23 sancisce che la mancata audizione del minore, salvo i casi di urgenza è motivo che esclude l’esecuzione in uno stato membro della decisione.
L’attuale regime
L’art. 315-bis pone la prospettiva della doverosità dell’audizione da parte del giudice nella particolare posizione del minore sancendo un vero e proprio diritto del minore all’audizione per “tutte le questioni e le procedure che lo riguardano” e quindi non soltanto in relazione ai provvedimenti sul suo affidamento e sul suo mantenimento in sede di separazione e divorzio.
Il giudice di legittimità
Con la sentenza n. 22238 del 21 ottobre 2009, in Fam. e dir. 2010, 1, le Sezioni Unite hanno riconosciuto il potere vincolato del giudice di effettuare l’audizione, sancendone come conseguenza la nullità del provvedimento assunto in difetto di audizione.
Ratio dell’audizione
La sentenza della S.C. citata esclude ogni rilievo istruttorio alla audizione del minore, ma ne esprime il ruolo, secondo la disciplina convenzionale a cui ha aderito l’Italia, di espressione del minore e dei suoi interessi, senza che assuma necessariamente la posizione di parte formale, necessitante di un difensore tecnico
Il mancato passaggio del minore da parte sostanziale a parte formale
Si riconosce in tal modo al minore il ruolo di parte sostanziale dei provvedimenti che lo riguardano, ma nonostante la previsione di un obbligo di rappresentanza tecnica del minore come parte formale nei procedimenti di adozione e nei procedimenti de potestate (art. 336 c.c.), la S.C. ha negato la qualità di parte formale al minore, non ritenendo necessaria la sua rappresentanza tecnica (Cass. 14 luglio 2010 n. 10653; contra App. Milano 16 ottobre 2008)
6. L’attuazione delle misure in materia di famiglia
Lo stato della normativa
Il processo esecutivo in materia di famiglia non può essere retto dalle regole del libro terzo del codice di rito:
per la continua interazione tra cognizione ed esecuzione, che rende necessaria la unificazione del giudice dell’esecuzione con il giudice del merito;
per la generale infungibilità della prestazione obbligata, sia in ordine ai diritti personali che ai diritti patrimoniali, che rende necessaria la introduzione di adeguate misure coercitive;
- infine per la necessità di proiettare la tutela esecutiva nel futuro, anche quando il diritto non è esigibile.
L’occasione
L’occasione della riforma era ghiotta per una razionalizzazione delle tre esigenze mediante soluzioni generalizzate per tutte le controversie e per tutti i diritti.
Al contrario:
- resta la diversificazione tra diritti personali e diritti patrimoniali (i primi destinatari delle efficaci misure coercitive dell’art. 709-ter, ma mancanti di una tutela esecutiva proiettata nel futuro; i secondi privi di una efficace tutela mediante misure esecutive abbandonata al rilievo penale dell’inottemperanza, ma dotata di un’ efficace tutela proiettata nel futuro mediante l’assegnazione per via giudiziale o stragiudiziale dei crediti che l’obbligato vanta nei confronti di terzi);
- resta la diversificazione tra attuazione di misure in sede di separazione e divorzio e attuazione di misure in sede di procedimenti camerali.
L’intervento della legge n. 219 del 2012
L’intervento della legge sulla filiazione è tutto nella disposizione dell’art. 38, 4° comma cit., che sancisce l’adozione di idonee misure personali o reali a garanzia dei provvedimenti patrimoniali, sino alla previsione di una misura di sequestro dei beni dell’obbligato e sino all’estensione dell’ordine ai terzi tenuti a corrispondere somme di denaro all’obbligato, di versare dette somme direttamente agli aventi diritto
Lacune persistenti
Resta ancora
la mancata unificazione delle misure coercitive destinate ad imporre l’attuazione spontanea, sia per i diritti personali che per i diritti patrimoniali e
la mancata previsione, nei diritti personali, di una proiezione per il futuro della tutela esecutiva (a cui può sopperire un’interpretazione che estenda l’applicazione ad essi dell’art. 614-bis c.p.c., laddove consente al giudice di fissare una misura pecuniaria per ogni futuro adempimento)
art. 614 – bis cpc
“Con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento …”
Carattere delle misure
Le misure a tutela dei provvedimenti patrimoniali, oggi estesa ad ogni provvedimento di mantenimento dei minori, riproducono le misure regolate nel codice civile all’art. 156: le idonee garanzie reali o personali offerte dall’obbligato o in difetto il sequestro del patrimonio (da non confondersi con la misura cautelare).
Viene pure richiamata l’efficacia di titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale del provvedimento, con l’unico limite della necessità di una definitività del provvedimento (non prevista nell’art. 156, 5 comma)
Recente sentenza della S.C. sulle misure dell’art. 156 c.c.
Se segnala per completezza di analisi e qualificazione dei vari mezzi regolati nell’art. 156 c.c., la recente sentenza della S.C.
Cassazione civile, sez. I 22 aprile 2013, n. 9671 - Pres. Salmè - Est. Dogliotti, in www.ilcaso.it
La tutela proiettata nel futuro
Dei modelli, quello stragiudiziale della legge sul divorzio e quello giudiziale delle norme sulla separazione, il legislatore sembra – pur con formula equivoca nel richiamo alla legge n. 898 del 1970 – preferire le prime “Il giudice può ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all’obbligato, di versare le somme dovute direttamente agli aventi diritto”.
Par conditio creditorum
Sarebbe stato utile invece il richiamo all’art. 8, 5° comma, laddove consente una partecipazione dei creditori concorrenti, nel caso di crediti già pignorati prima dell’iniziativa esecutiva del coniuge e/o figlio avente diritto, in modo di soddisfare la par conditio creditorum, previsione che manca del tutto nelle regole applicabili alla separazione personale o nelle regole dell’art. 38 cit.
7. La disciplina transitoria
Art. 4
La nuova disciplina si applica alle controversie instaurate con ricorso depositato dopo il 1 gennaio 2013.
Tuttavia ai procedimenti pendenti innanzi al tribunale per i minorenni sull’affidamento e mantenimento dei figli dei genitori non coniugati, si applicano le regole garantistiche del comma 2, dell’art. 3 della legge, ovvero l’applicazione delle misure in ordine all’attuazione dei provvedimenti.
Il legislatore avrebbe avuto l’occasione di prevedere anche l’applicazione della immediata efficacia dei provvedimenti di cui al 3 comma dell’art. 38 novellato dallo stesso articolo 3.
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