Appunti sul processo cautelare2Lezioni di diritto processuale civile.-
Anno accademico 07/08.-
(Claudio Cecchella)
Il processo cautelare (2).
Sommario: (A) L’ordinanza di rigetto. Effetti. (B) L’ordinanza di accoglimento. Effetti. (C) L’esecuzione dell’ordinanza di accoglimento. (D) I rimedi. Il reclamo (E) L’inefficacia sopravvenuta dell’ordinanza di accoglimento. (F) Nota bibliografica.
(A) L’ordinanza di rigetto. Effetti.
A.1) Il legislatore nel regolare effetti e rimedi all’ordinanza di rigetto si è preoccupato, in modo particolare, di evitare la reiterazione della domanda cautelare rigettata da parte dell’istante alla ricerca di un giudice che possa accoglierla, da un lato, e dall’altro la possibilità che attraverso rimedi impugnatori ordinari si possa lasciare per troppo tempo impregiudicato il processo cautelare o comunque incrementare i carichi giudiziari.
A.2) Sul piano tecnico la disciplina si manifesta come la meno felice nell’impianto della riforma, poiché – per escludere la impugnabilità mediante regolamento di competenza – il legislatore si è visto costretto a negare qualsiasi efficacia preclusiva all”ordinanza di incompetenza, ammettendo la reiterazione senza limiti (art. 669-septies, 1° comma, cpc), mentre negli altri casi di rigetto ha introdotto una sorta di preclusione del dedotto (e non del deducibile, poiché l’istanza è reiterabile alla luce di nuove ragioni di fatto o di diritto), che pare essere una concessione molto limitata al divieto di reiterazione. In entrambi i casi si è dimenticato di ammettere una reclamabilità dell’ordinanza negativa (esclusa originariamente nell’art. 669-terdecies, 1° comma, cpc).
Forse si sarebbe potuto osare di più e assimilare i due casi introducendo una preclusione del dedotto e deducibile generalizzata (secondo il modello invece dell’ordinanza di accoglimento, ai sensi dell’originario art. 669-decies cpc), ma ammettendo per entrambi la reclamabilità, con una costruzione sistematica idonea a raggiungere gli obiettivi prefissati.
Al contrario il legislatore del 2005 (legge n. 80) ha offerto un'assimilazione delle due ipotesi al livello più basso della minore stabilità del provvedimento negativo. Dalla riscrittura dell'art. 669 - decies c.p.c., che non preclude i fatti anteriori ignorati dalla parte nel caso di ordinanza di accoglimento, si può ritenere ormai superato anche in tal caso la preclusione del dedotto e del deducibile.
A.3) Il legislatore poi introduce una diversificazione di regime tra ordinanza di incompetenza e altre ordinanze di rigetto, essendo solo la prima riproponibile tout court.
Ciò porta ad escludere la necessità che il giudice nell’ordinanza di incompetenza indichi il giudice competente o che quest’ultimo successivamente adito non possa distogliersi dalla pronuncia del primo o che si applichi la disciplina della traslatio iudicii (trib. Milano 11 settembre 1995, in Foro it., 1996, I, 984). Quindi gli artt. 38 e 50 cpc non sono applicabili al processo cautelare. Peraltro tale decisione non è neppure vincolante per il giudice di merito.
Si è discusso sull’ambito di disciplina delle ordinanze di incompetenza e particolarmente se ad esse devono assimilarsi le altre ordinanze di rigetto nel rito (così sembra la giurisprudenza, v. tra le ultime Trib. Agrigento 23 marzo 1995, in Giur. it., 1995, I, 2, 698). Il termine “rigetto” usato nella disposizione per individuare l’area delle pronunce negative assoggettate a diverso regime di efficacia non pare così decisivo, mentre non può essere casuale la lettera della norma laddove si esprime solo per le ordinanze di incompetenza (e la ratio del regime giustifica l’ambito limitato della deroga, quello di evitare l’impugnabilità per regolamento, così tra le tante Cass. 17 giugno 1999, n. 6009, in Gius, 1999, 2275), per cui pare più plausibile assimilare in un unico regime, tutte le altre ordinanze, rigettino la domanda cautelare in rito come anche nel merito.
Non ha così neppure senso (in relazione al regime in esame) distinguere i rigetti in rito per presupposti processuali che attengono ecslusivamente al processo cautelare (ad esempio la mancata formulazione della domanda di merito) o per presupposti processuali che attengono il futuro processo di merito e che impediscono l’esame nel merito della domanda cautelare come di quella di merito in senso stretto. In entrambi casi il regime dell’efficacia dell’ordinanza è identico.
A.4) Per quest’ultima categoria, si tratti di rigetto di rito (diverso dalla incompetenza) o di rigetto nel merito (si deve pensare in relazione al fumus e al periculum, anche se quest’ultimo sembra intimamente legato al concetto di interesse ad agire e quindi a questione di rito più che di merito), il regime è quello della preclusione del solo dedotto.
Infatti l’istanza può essere reiterata soltanto in relazione a nuove circostanze (si deve pensare a nuovi fatti o ad uno ius superveniens) oppure alla luce di nuove ragioni di diritto o di fatto, il che porta ad una preclusione della sola istanza che contenga la letterale reiterazione delle argomentazioni respinte in prime cure (tra le numerosissime da ultimo, Trib. Verona 17 luglio 1995, in Giur. it., 1996, I, 2, 112; isolata in senso contrario, ma poco giustificata sul piano positivo, l’idea che si produca una preclusione del dedotto e del deducibile, Trib. Taranto 15 aprile 1996, in Foro it., 1996, I, 1827).
A.5) Ne risulta una stabilità di effetti ben diversa dal giudicato, in primo luogo perché essi non sono affatto destinati a stabilizzarsi in modo irrevocabile, assorbiti come saranno dalla sentenza di merito o comunque assoggettati agli esiti del giudizio di merito a cognizione piena (nel seno del quale può soltanto formarsi il giudicato), in secondo luogo perché non producono la preclusione del deducibile, poiché la parte può recuperare mediante la reiterazione dell’istanza il fatto o l’argomento in diritto che aveva dimenticato nella prima istanza. Pertanto dell’irrevocabilità della decisione nei limiti cronologici propri del giudicato, il regime preclusivo dell’ordinanza di diniego non ha niente in comune.
(A6) La limitata portata preclusiva (il dedotto) non esclude la reiterazione, anche innanzi a giudice diverso, non dovendosi concepire soltanto un potere revocatorio del giudice che l’ha pronunciata o del giudice del merito (come nel diverso caso dell’ordinanza di accoglimento; si segnala al contrario l’opinione di Tarzia, in Riv. dir. proc., 1988, 932).
La reiterazione inoltre non incontrerà limiti per la contestuale proposizione del reclamo (nel cui contesto, come vedremo, è ben possibile che la parte spenda pure gli effetti della nuova circostanza oppure della nuova ragione).
Naturalmente dopo la introduzione del giudizio di merito la reiterazione deve essere proposta al giudice ove questo pende.
(A7) Se il provvedimento negativo è pronunciato in un procedimento ante causam, essendovi in caso contrario necessità di introdurre procedimento ad hoc per la regolamentazione delle spese, il legislatore nel secondo comma della norma in commento ammette il giudice alla pronuncia sulle spese, con l’effcacia di un provvedimento monitorio immediatamente esecutivo che, se non opposto in termini perentori, provoca il formarsi di un pieno giudicato.
Il terzo comma richiama le forme del processo di opposizione, con la conseguente possibilità di sospendere l’esecuzione ex art. 649 c.p.c., con l’unica novità che il termine per la introduzione del giudizio di opposizione è fissato in venti giorni dalla comunicazione (e non in quaranta dalla notificazione, ex artt. 641 e 645 cpc). Ne risulta esclusa l’impugnabilità straordinaria in Cassazione ex art. 111 Cost., essendovi rimedio tipico, nonostante la natura decisoria dell’ordinanza in parte de qua.
Il termine per opporre deve ritenersi sospeso nelle more del reclamo, poiché in questa sede, ove il giudice è reinvestito dell’intera materia del contendere e quindi anche delle richieste in ordine alle spese, può revocare o modificare il capo relativo alle spese (così anche in una sentenza interpretativa di rigetto, Corte Cost., 17 marzo 1998, n. 65, in Foro it., 1998, I, 1759).
Al contrario se la parte lamenti solo il capo relativo alle spese non potrà far uso del reclamo, nel contesto del quale è necessario dedurre anche vizi o errori del provvedimento cautelare, ma dovrà necessariamente fare uso del giudizio di opposizione.
(A8) Con il capo relativo alle spese il giudice applica in tutta la loro ampiezza gli artt. 91 e 92 cpc, potendo adottare la compensazione o la distrazione.
Non essendovi altro luogo, si deve ammettere che il giudice del diniego ante causam possa pronunciare anche sulla domanda di responsabilità aggravata ex art. 96 cpc (si deve pensare al primo comma, poiché quanto al secondo non vi è – trattandosi di diniego – possibilità di attuazione della misura e anche quando questa è data inaudita altera parte ma poi all’udienza revocata, il presupposto dell’accertamento negativo del diritto sancito dal secondo comma può postularsi solo all’interno di un giudizio di merito).
(B) L’ordinanza di accoglimento. Effetti.
(B.1) La stabilità degli effetti dell’ordinanza di accoglimento si desumono dall’art. 669-decies su revoca e modifica, ammesse originariamente esclusivamente in caso di mutamento di circostanze, nella ampia accezione di nuovi fatti oppure di uno ius superveniens; a seguito della novella del 2005 anche per fatti anteriori ignorati dalla parte.
Il legislatore offriva originariamente un regime di stabilità degli effetti ben diverso da quello esaminato per il provvedimento di rigetto, poiché il provvedimento di accoglimento originava il maturarsi di una preclusione, quella del dedotto e deducibile. Quando le parti avessero potuto dedurre nel procedimento, sia in ordine alle fattispecie storiche già temporalmente verificatesi sia in ordine alle norme giuridiche in vigore al momento, esse non potevano più dedurre, al fine di ottenere una revoca o modifica della misura (se si eccettua la sede del reclamo).
Si deve accennare ad una lettura diversa, con una certa suggestione in giurisprudenza (ad esempio, trib. Firenze 15 maggio 1995, in Foro it., 1996, I, 1097) secondo la quale la sopravvenienza poteva integrarsi anche in relazione ad un nuovo “fatto processuale”, pur nella continuità della fattispecie dedotta, ad esempio a causa di una nuova acquisizione istruttoria, ciò che altera il concetto di mutamento delle circostanze da riferire ai fatti storici extraprocessuali.
Si trattava di un effetto meramente preclusivo, che non giungeva alla stabilità del giudicato, poiché destinato a convertirsi per necessità negli effetti della sentenza di merito che concludeva il giudizio di merito con l’accoglimento della domanda (ad es. conversione del sequestro in pignoramento).
Oggi questa stabilità è venuta meno, essendo utilizzabile nel successivo procedimento di revoca e modifica, anche il fatto anteriore ignorato (e neppure per errore scusabile !), rendendo instabile anche il provvedimento di accoglimento, avvicinandolo a quello di rigetto.
La scelta non si spiega; non si spiega come attenuazione della preclusione ai fini di preservare la parte dagli errori non dovuti alla sua negligenza, perché questo profilo è irrilevante; non si spiega sul piano dell'opportunità, particolarmente in una fase storica nella quale i provvedimenti cautelari anticipatori acquistano un'autonomia prima sconosciuta in funzione di una stabilità di una regola concreta applicabile alla fattispecie, anche se inidonea al giudicato.
Corrispondentemente la conversione della misura cautelare nella misura di merito è venuta meno (art. 23 del d.lgs. n. 5/03 sulle controversie societarie; art. 669 - octies, 6° comma, cpc) nel caso dei provvedimenti anticipatori (v. infra par. e); ciò non toglie che resta l’effetto preclusivo e non il giudicato. Infatti se la controversia di merito, la cui introduzione in termine perentorio e conclusione con un accoglimento della domanda non è più condizione di efficacia della misura (art. 669-novies cpc), viene successivamente introdotta (in qualunque momento) la sentenza che la conclude è sempre destinata a prevalere sulla misura cautelare, potendo neutralizzarne gli effetti e solo la prima può acquire l’irrevocabilità del giudicato.
In conclusione la riforma, se attenua la dipendenza degli effetti dal giudizio di merito, lascia impregiudicata la loro portata solo preclusiva e non idonea al giudicato ("in ogni caso, l’autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso processo", art. 23, 6°comma, d lgs n. 5 del 2006, riprodotto con generalizzaizione nell'art. 669 - octies, 8° comma cpc).
(B.2) La disciplina comune, inoltre, introduce anche un’autonomia della tutela cautelare rispetto al giudizio di merito, costituente, prima nell’esperienza limitata delle controversie di società e assimilate, la principale novità del presente, e, pertanto, la regola generale (artt. 668-octies e novies cpc) impone che la misura cautelare sia necessariamente seguita dalla introduzione del giudizio di merito, sulla domanda preannunciata nell’atto introduttivo del processo cautelare, vale solo per i provvedimenti cautelari conservativi e non anticipatori. Questi ultimi idonei a dettare una regola concreta alla fattispecie, al pari di una sentenza, possono sopravvivere alla mancata introduzione del processo a cognizione piena, con effetti stabilizzati per il futuro, anche se inidonei al giudicato (art. 669 - octies, u. c., c.p.c.).
A tale fine, l’art. 669 - octies, 1° e 2° comma, cpc fissa un particolare contenuto della misura cautelare oppure ne integra ex lege il contenuto in mancanza: la fissazione di un termine perentorio alla parte affinché inizi la controversia di merito sulla domanda a cautela della quale la misura conservativa è data.
Se la domanda di merito è soggetta ad una condizione di procedibilità (ad esempio tentativo obbligatorio di conciliazione, oppure decorso di un certo termine dalla diffida ad adempiere ex art. 22 legge n. 990/69), il termine inizierà a decorrere dal verificarsi ovviamente della condizione di procedibilità (art. 669-octies, 4°co., cpc che, pur se riferito alla prima ipotesi, introduce un principio di generale portata, così in una pronuncia di manifesta inammissibilità della questione per irrilevanza nel processo a quo, Corte Cost., 16 aprile 1999, n. 122, in Giur. it., 2000, 248).
Il termine inizia a decorrere dall’udienza se l’ordinanza è in tal contesto resa, oppure dalla sua comunicazione (3° comma). Prima del suo decorso deve essere introdotta la causa di merito, ovvero formulata la domanda con le forme previste per il particolare rito con il quale si conduce la cognizione piena: la notifica della citazione o il deposito del ricorso, ripettivamente per il rito ordinario oppure per il rito del lavoro.
Se invece il merito deve introdursi innanzi ad altro giudice, come gli arbitri e il giudice straniero, sarà necessario compiere le attività essenziali alla introduzione in quei contesti del giudizio di merito. Per i dubbi insorti, il legislatore della riforma dell’arbitrato ha preferito non lasciare impregiudicate tali formalità e quindi ha introdotto un ultimo comma alla norma in commento, richiedendo oltre alla notifica dell’atto di nomina degli arbitri anche il necessario onere di formulare in quel contesto i quesiti ovvero le domande da sottoporre al giudizio arbitrale (attività che non sempre è contestuale alla nomina, ma che ai fini della stabilità degli effetti della misura cautelare dovrà esserlo).
(C) L’esecuzione dell’ordinanza di accoglimento.
(C.1) Il legislatore, contro l’orientamento prevalente della dottrina portato a svalutare l’autonomia della fase esecutiva della misura cautelare, rispetto a quella cognitiva, essendo immanente alla tutela la sua esecuzione, ha ritenuto opportuno regolare anche tale fase, superando numerosi dubbi insorti nella pratica a cui l’opinione volta ad assimilare una fase cognitiva ed una fase esecutiva dava risposte contestabili, in particolare in relazione alla tutela cautelare del credito, volta contro il principio della par condicio ad introdurre una sorta di prelazione processuale del credito contro i principi del sistema.
(C.2) Infatti, secondo la tesi unitaria, alla espropriazione come strumento attuativo della misura cautelare a tutela del credito al pagamento di somme di denaro doveva presiedere lo stesso giudice che aveva pronunciato la misura, con forme discrezionali tali da pregiudicare il diritto dei creditori concorrenti impedendone l’esercizio del diritto a partecipare su di un piano di parità alla ripartizione del ricavato, suscettibile di essere attuato esclusivamente con lo strumento dell’intervento. Ne nasceva di fatto una sorta di prelazione processuale.
Oggi correttamente, oltre a rinviare per l’esecuzione del sequestro conservativo alle forme del pignoramento (combinato disposto degli artt. 669-duodecies e 678 cpc), ma in tale contesto, ove manca per definizione una tutela satisfattiva, non si pone un problema di tutela degli altri creditori (a seguito della tutela di merito il sequestro si convertirà in pignoramento, consentendo il pieno dispiegamento delle forme dell’espropriazione, ivi compresa la disciplina dell’intervento dei creditori), l’ordinamento regola in modo autonomo e in analogia all’espropriazione l’attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto crediti di denaro.
Il richiamo alle forme dell’espropriazione (con esclusione degli atti prodromici - notifica titolo e precetto - per l’evidente necessità imposta dall’urgenza e dalla opportunità di evitare atti in pregiudizio alla attuazione), deve intendersi come richiamo alle forme ordinarie e particolarmente alla disciplina dell’intervento dei creditori ai fini del concorso nella distribuzione del ricavato.
Ancorché non espressamente richiamato, l’art. 484 cpc è applicabile, quindi presiede all’espropriazione il giudice ordinariamente competente e non il giudice che ha pronunciato la misura cautelare. Innanzi ad esso, pertanto, andranno pure proposti gli incidenti di cognizione sull’an o il quomodo dell’esecuzione secondo le regole ordinarie. E' pure applicabile l'art. 492 e ss. cpc, sulla introduzione della espropriazione mediante pignoramento.
(C.3) Diversamente, nel caso di misure che non hanno ad oggetto somme di denaro e perciò danno luogo a tutele che nel giudizio di merito saranno destinate a forme esecutive per consegna o rilascio oppure per esecuzione degli obblighi di fare o non fare, l’attuazione avviene sotto il controllo del giudice che ha pronunciato la misura, con forme evidentemente adattate alle peculiarità del caso e particolarmente alla necessità di eliminare il pericolo.
A ben guardare la regola non è poi così difforme dalle forme ordinarie, se ad esempio nella esecuzione degli obblighi di fare o non fare il giudice viene necessariamente investito delle modalità dell’esecuzione (art. 612 cpc) ed è tutt’altro che infrequente che nella esecuzione per consegna o rilascio il giudice sia investito di ogni difficoltà possa insorgere ex art. 610 cpc.
Pertanto, più che un’esigenza impressa dalla misura cautelare alle forme esecutive è piuttosto un’esigenza propria dei contenuti della tutela, assuma essa le forme della misura cautelare oppure della sentenza di merito, che giustifica una maggiore discrezionalità del giudice nella determinazione delle modalità.
Non è sotto questo profilo casuale la identità della norma in esame ("il quale ne determina anche le modalità di attuazione e, ove sorgano difficoltà e contestazioni, dà con ordinanza i provvedimenti opportuni") con le disposizioni sull’esecuzione ordinaria: art. 610 cpc (“difficoltà che non ammettono dilazione”) o art. 612 cpc ("le modalità dell’esecuzione").
(C.4) Ugualmente nel processo di esecuzione della misura cautelare che segue forme stabilite dal giudice del cautelare, si pone il problema degli incidenti di cognizione postulati dalla contestazione sull’an dell’esecuzione oppure sul quomodo o infine la tutela dei terzi pregiudicati nell’attività esecutiva.
L’art. 669-duodecies si chiude con una ripartizione di competenze tra giudice di merito e giudice che ha pronunciato la misura cautelare che ha rilievo proprio in relazione agli incidenti di cognizione evidenziati.
La ripartizione può giustificarsi coll’affidare al giudizio di merito ogni questione attenga alla esistenza del diritto sostanziale tutelato e quindi i motivi dell’opposizione alla esecuzione c.d. di merito.
Invece ogni questione attenga al processo e particolarmente i motivi di opposizione alla esecuzione c.d. formali, tutti i motivi dell’opposizione agli atti esecutivi e infine l’opposizione del terzo alla esecuzione (dove il terzo contesta un vizio o un errore dell’attività esecutiva e non dei contenuti del titolo) devono essere dedotti innanzi al giudice dell’esecuzione il quale provvederà nel modo più opportuno sull’esecuzione in corso.
(C.5) I sequestri evidenziano regole speciali per l’esecuzione e soprattutto una maggiore funzionalità tra fase cognitiva e fase esecutiva, se quest’ultima deve introdursi in termine perentorio che ne condiziona l’efficacia 675 cpc (disposizione che non si rinviene invece nel processo cautelare uniforme).
La regola sembra offrire ulteriore supporto ad un autonomia della fase cognitiva nelle misure diverse dai sequestri, autonomia che oggi pare sancita dalla stabilizzazione degli effetti, a prescindere dalla introduzione di un giudizio di merito, ciò che porta a ritenere la possibilità di una misura efficace nel tempo a prescindere dalla sua attuazione o dalla introduzione di un giudizio di merito.
La diversità di regime manifestata dai sequestri deve forse spiegarsi dal maggiore rilievo dell’attuazione quando la misura ha una finalità esclusivamente conservativa, ove evidentemente gli effetti della sola cognizione provocano meno tangibili utilità alla parte; diversamente per le misure cautelari anticipatorie, ove la cognizione ha evidentemente un rilievo e un’autonomia rispetto alla futura (ed eventuale) attività esecutiva.
Quanto alle forme della esecuzione dei sequestri, quello giudiziario segue le forme della esecuzione per consegna o rilascio, omessi il precetto e la significazione della data di accesso ex art. 708 cpc (art. 677 c.p.c.); invece quello conservativo segue le forme della espropriazione, con qualche differenza. Ad esempio il sequestro immobiliare si esegue con la trascrizione del provvedimento nei registri immobiliari e non con la notifica di un atto (come nel pignoramento mobiliare), cfr. art. 679. Il sequestro mobiliare segue invece le forme del pignoramento mobiliare e dei crediti, salvo per quest'ultimo la sospensione del giudizio di accertamento del credito per dichiarazione difforme all'esito del giudizio di merito che segue l'autorizzazione del sequestro (salvo che il terzo non pretenda l'immediatezza dell'accertamento), cfr. art. 678 c.p.c.
(D) I rimedi. Il reclamo.
(D1) Contro l’ordinanza di rigetto (ivi compresa quella di incompetenza) e di accoglimento, nonostante la lettera originaria dell’art. 669-terdecies cpc, è sempre ammesso il reclamo, vero e proprio gravame con il quale si sottopone ad un pieno riesame collegiale la fattispecie dedotta in prime cure con effetto integralmente sostitutivo (Trib. Catanzaro 27 maggio 1997, in Giust. civ., 1998, I, 2653), anche alla luce di sopravvenienze in fatto o in diritto (che consentirebbero comunque una revoca e modifica della misura ex art. 669-decies, nel caso di accoglimento, oppure una reiterazione nel caso di rigetto). Non si tratta infatti di un’impugnazione in senso stretto, bensì di un vero e proprio gravame, ovvero di riesame della fattispecie anche alla luce delle sopravvenienze.
Sin tanto che siano aperti i termini per il reclamo e in pendenza di quest'ultimo – in relazione alle sopravvenienza - non esiste una concorrenza dei due rimedi, quello dell’impugnazione e quello della revoca o modifica: anche la sopravvenienza come la deduzione di fatti prima ignorati deve essere effettuata in sede di reclamo.
L’estensione, innanzi alla lettera restrittiva della norma, che limitava il reclamo all’ordinanza di accoglimento, è dovuta in ossequio al principio di uguaglianza alla Corte costituzionale (fra le prime, Corte cost., 23 giugno 1994, n. 263, in Giur. it., 1994, I, 409; per il caso dell’ordinanza possessoria, Corte cost., 11 dicembre 1995, n. 501, in Giur. it., 1996, I, 165).
Con la riforma dovuta alla novella del 2005, la disposizione è stata letteralmente adattata agli orientamenti del giudice costituzionale.
L’apertura ai provvedimenti di rigetto giustifica una reclamabilità anche dei provvedimenti modificativi o di revoca ai sensi dell’art. 669-decies (Trib. Padova 12 novembre 1998, in Giur. it., 2000, 87; così come l’ordinanza cautelare pronunciata in sede di reclamo è a sua volta revocabile o modificabile, Trib. Udine 14 dicembre 1994, in Foro it., 1995, I, 1375).
Anche l’ordinanza che, specificando i contenuti della misura, detta le modalità e forme della esecuzione è reclamabile, perché fa parte in modo indissolubile della misura.
E’, infine, ugualmente reclamabile l’ordinanza con cui è dichiarata l’inefficacia della misura cautelare concessa ante causam ex art. 669-novies cpc e non ricorribile per Cassazione (Cass., 12 maggio 1997, n. 4113, in Foro it., 1998, I, 1542).
Trattandosi di un gravame è deducibile nell’impugnazione un qualsiasi motivo, dal vizio processuale, alla violazione o falsa applicazione di norma giuridica, ma anche all’errore nell’accertamento sommario dei fatti rilevanti in causa.
(D2) La competenza è collegiale e la legge ha ritenuto di applicare il principio di incompatibilità, non facendo partecipare al collegio il giudice che ha pronunciato.
Se la misura è pronunciata dalla Corte di appello, sarà competente altra sezione della stessa Corte o, in mancanza, la Corte più vicina. La stessa norma deve applicarsi analogicamente quando la misura o il diniego è stato pronunciato in sede collegiale innanzi al tribunale (così, Trib. Milano 21.7.1995, in Giur. it., 1995, I, 878; ma esiste anche altro orientamento che costruisce una competenza della corte di appello, App. Milano 12 agosto 1994, in Foro it., 1995,I,327; la Corte cost. 21 dicembre 1996, n. 421, in Giur. it., 1997, I, 358 non ha ritenuto incostituzionale la lacuna, essendo integrabile interpretativamente con una delle varie soluzione date in giurisprudenza).
Al contrario se la Corte di appello ha pronunciato in primo grado una misura cautelare, saranno applicabili analogicamente le disposizioni dettate per la pronuncia del giudice designato in tribunale (App. Milano 25 gennaio 1994, in Giur. it., 1994, I, 2, 529).
D3) Le norme applicabili sono, per espresso richiamo contenuto nel primo e nel terzo comma, quelle del rito camerale.
In relazione ai termini, tuttavia, dopo la riforma del 2005 il legislatore ha dettato una regola originale: quindici giorni dalla comunicazione (e non notifica secondo il regime previgente in applicazione analogica delle regole del processo camerale bilaterale),
Dal regime camerale discende che il reclamo è introdotto con ricorso (art. 737 cpc) innanzi al collegio presso il quale viene nominato un relatore (art. 738, 1° comma cpc) e ove possono essere assunte sommarie informazioni (ovvero essere ripetuto o svolto per la prima volta una sommaria istruttoria, art. 738, 3° comma, cpc) e, questa volta in deroga al rito camerale, si conclude con ordinanza non impugnabile (pertanto, dopo avere convocato le parti, espressamente art. 669-terdecies, 4°comma, cpc).
Qualche dubbio in giurisprudenza sulle forme per la instaurazione del contraddittorio, poiché la notifica di ricorso e decreto in copia deve spesso effettuarsi in un termine stabilito la cui inosservanza, contro ogni ragione positiva, è stata sanzionata con l’inammissibilità del reclamo (tra le tante Trib. Milano 23 gennaio 1996, in Gius, 1997, 763). In realtà il termine, che non è indicato dalla legge, non potrà mai avere natura perentoria (art. 154 cpc) e potrà pertanto essere su istanza di parte prorogato, con consegue rinnovazione della notifica effettuata fuori termine.
Non esistono nel processo cautelare preclusioni che impediscano alle parti di produrre o dedurre prove nuove, come anche allegare fatti nuovi in sede di reclamo, con il solo limite dell’oggetto del giudizio che continua ad essere individuato dalla domanda cautelare e non può essere mutato in corso di causa, tanto meno in sede di reclamo in virtù dei principi (cfr., sull’ammissibilità di nuove istanze istruttorie, Trib. Torino 14 marzo 1997, in Giur. it., 1999, I, 2, 538).
La generalizzazione del reclamo anche per il caso di rigetto apre la prospettiva, in caso di soccombenza reciproca, di un reclamo incidentale, nei limiti in cui al momento della proposizione la parte sia ancora nei termini (in mancanza di un’espressa previsione di una impugnativa incidentale tardiva), fermo restando la facoltà di reclamare autonomamente e la possibilità che la trattazione unitaria sia successivamente garantita da una riunione dei procedimenti autonomamente avviati.
L’ammissibilità dell’intervento di un terzo che possa essere pregiudicato nei suoi diritti dalla misura cautelare rende ragione di un’estensione al medesimo della facoltà di reclamare
D4) Il reclamo non sospende l’esecutività di cui è munita la misura e può essere preceduto da una inibitoria (il presidente prima dell’udienza collegiale), ma soltanto quando per motivi sopravvenuti il provvedimento arrechi grave danno. Il presupposto della sopravvenienza, in contrasto con i comuni canoni dell’inibitoria, rende altamente improbabile la sua concessione, salvo intendere come sopravvenienza anche un fatto processuale, quale può essere il motivo di gravame, la cui delibazione sommaria fonderebbe la sospensione.
(D5) L’ordinanza con cui si conclude il reclamo è definita come non impugnabile (art. 669-terdecies, 4° comma cpc e lo è pure l’ordinanza con cui il presidente accoglie l’istanza di inibitoria, 5° comma).
Non trattandosi di provvedimento decisorio su diritti ovvero sentenza sostanziale, per quanto ampiamente sottolinato, non è da ammettere il ricorso straordinario in Cassazione ex art. 111 Cost., né il regolamento di competenza (tra le ultime Cass. 11 febbraio 1999, n. 1161, in Giust. civ., 2000, I, 436).
(E) L’inefficacia sopravvenuta dell’ordinanza di accoglimento.
(E1) Per reagire alla generalizzazione della regola dettata per i sequestri dal previgente oggi abrogato art. 683 cpc, secondo la quale la misura cautelare è caducabile solo dal giudicato contrario, essendo irrilevante la sentenza di rigetto della domanda di merito ancora impugnabile, si è dato oggi piena espansione al principio generale secondo il quale la cognizione piena deve sempre prevalere sulla cognizione sommaria e quindi la misura cautelare soccombe alla sentenza, anche di primo grado ancora impugnabile, contraria.
Questo principio ha ispirato l’art. 669-novies cpc e il centrale rilievo in esso della funzione strumentale della tutela cautelare.
(E2) Ne risulta un’inefficacia sopravvenuta, prima ancora della sentenza che accerti negativamente il diritto anche non passata in giudicato, per la mancata introduzione, nel termine perentorio, del giudizio di merito oppure per la mancata conduzione sino alla sentenza di merito di tale giudizio, quando ad esempio per inattività o per altra ragione venga dichiarato estinto.
Per conservare gli effetti della misura cautelare si rende necessario instaurare nei termini la litispendenza con una domanda di merito identica a quella annunciata nella domanda cautelare (Pret. Alessandria 16 marzo 1993, in Giur. it., 1993, I, 2, 775) o, se l’iniziativa è dell’altra parte, in via riconvenzionale. E’, altresì, necessario compiere tutte le attività necessarie affinché il processo conduca ad una sentenza di merito e quindi riproporre la domanda di merito in sede di conclusioni (Trib. Biella 8 marzo 1996, in Gius, 1997, 82).
A seguito degli interventi della novella del 2005 questo regime, come già veduto, vale solo per le misure cautelari conservative e non anticipatorie, che prescindono dalla introduzione in un termine perentorio del giudizio di merito sulla domanda rispetto alla quale la misura si presnta come strumentale.
Perché sia instaurata la litispendenza, nei processi di merito introdotti con ricorso sarà sufficiente il deposito del ricorso, per quelli introdotti con citazione invece la notifica (per la quale è sufficiente, se deve essere perfezionata all’estero, il compimento di tutte le formalità richieste alla parte, Corte cost., 22 ottobre 1996, n. 358, in Giur. it., 1997, I, 449). Non è validamente introdotta la litispendenza se si è dato luogo ad una notifica inesistente, come ad esempio se la causa di merito è introdotta con notifica al domicilio eletto del processo cautelare anziché alla parte personalmente (Trib. Brescia 16 maggio 1995, in Foro it., 1995, I, 2995).
La estinzione del processo (a cui è assimilabile qualsiasi altra conclusione in rito) sia essa dovuta ad inattività ovvero a rinuncia, priva di effetti la misura cautelare. La sentenza di incompetenza non è di per sé idonea ad estinguere, quando la litispendenza perdura in forza della traslatio iudicii.
(E6) Altra ipotesi di inefficacia è il mancato versamento della cauzione, quando è imposto in sede di modifica ex artt. 669, sexies, 2° comma; 669-decies o 669-terdecies, nonostante l’ampio tenore dell’art. 669-novies, 3° comma, poiché se la cauzione è disposta ab initio, quando la misura per la prima volta è concessa, essa costituisce una condizione d’efficacia che impedisce all’origine effetti, che perciò non possono essere caducati.
(E7) Quale norma di chiusura della funzionalità necessaria al merito, si colloca il caso della inefficacia per conclusione del merito mediante sentenza di rigetto della domanda con conseguente accertamento negativo del diritto, anche se con sentenza non passata in giudicato.
Il principio vale anche per il caso di accertamento negativo contenuto in una sentenza straniera o in un lodo, a prescindere dal riconoscimento. Nei casi in cui il riconoscimento debba essere richiesto in termini perentori, la mancata domanda nel termine integra autonomo caso di inefficacia (art. 669-decies, 4° comma n.1).
(E8) La fattispecie di inefficacia successiva è immediatamente produttiva dell’effetto caducante, a prescindere dal procedimento che l’accerta, che quindi ha portata meramente dichiarativa e non costitutiva.
Tuttavia per esigenze di certezza, ma soprattutto per fissare i provvedimenti ripristinatori delle modifiche materiali e giuridiche provocate dalla misura caducata il legislatore ha dettato uno speciale procedimento.
Esso ha forme diverse e tendenzialmente deve svolgersi all’interno dello stesso procedimento di merito quando questo si conclude con una sentenza che accerti negativamente il diritto cautelato; pertanto con la stessa sentenza che rigetta la domanda di merito e quindi provoca la caducazione della misura il giudice della cognizione piena dichiara l’inefficacia di quest’ultima e detta i provvedimenti ripristinatori.
Al contrario, quando è impossibile dare svolgimento alla declaratoria di inefficacia nella sentenza di merito, perché il merito non è stato introdotto oppure si è concluso con la sua estinzione oppure non si è proceduto al versamento della cauzione o, ancora, l’effetto caducante scaturisce dalla sentenza straniera o dal lodo arbitrale, il secondo comma della norma in commento regola un procedimento ad hoc, innanzi allo stesso giudice del cautelare.
Questi, su istanza della parte che ha interesse, convoca le parti e pronuncia con ordinanza se non vi è contestazione, altrimenti con sentenza impugnabile. In questo secondo caso il procedimento assume i caratteri del processo a cognizione piena e per tale ragione la norma attribuisce la competenza all’ufficio giudiziario anziché al giudice designato per il cautelare, per cui si deve supporre che quest’ultimo trasmetta il fascicolo al capo ufficio per la nomina del g.i., il quale provvederà nelle forme ordinarie. L’ordinanza non è impugnabile nelle forme ordinarie (come la sentenza), bensì per la sua idoneità ad incidere sui contenuti ed effetti della misura cautelare, mediante reclamo.
Quando il procedimento per la declaratoria di inefficacia assume le forme del processo a cognizione piena è ammessa una tutela anticipatoria nelle forme della revoca o modifica della misura cautelare (strumenti richiamati quanto ai contenuti e non certo ai presupposti).
Tra le misure ripristinatorie, oltre le eventuali restituzioni anche in denaro, non è da escludere la possibilità che sia pronunciata una condanna ai danni per responsabilità processuale aggravata ex art. 96, 2° co., cpc
(E9) In caso di sequestro conservativo concesso dal giudice penale su istanza del pm o su richiesta della parte civile (art. 316 cpc), la caducazione della misura si produce a seguito di sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere “non più soggette a impugnazione” (art. 317, 4° comma, cpp), con una formulazione diversa da quella desumibile dall’art. 669-novies, 3°comma, cpc.
In caso di patteggiamento un importante pronuncia del tribunale di Milano ha escluso la caducazione della misura, che conserva i suoi effetti purché l’azione risarcitoria sia proseguita in sede civile (Trib. Milano 21 settembre 1999, inedita).
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