La separazione consensuale tra autonomia privata e controllo pubblico1. Il consenso e l'omologa. 2. Inderogabilità della disciplina e indisponibilità dei diritti, il diverso regime dei patti di separazione consensuale. 3. I patti su affidamento e mantenimento dei figli. 4. I patti sul mantenimento dei coniugi. 5. I patti accessori in materia disponibile e non soggetta a norme imperative. 6. In particolare i patti traslativi di diritti reali. 7. La revoca del consenso. 8. La riconciliazione. 9. Il mutamento del titolo della separazione.
1. Il consenso e l'omologa.
Il tema generale dell'incontro di studio, costituito dalle manifestazioni dell'autonomia privata nella regolamentazione della crisi, fuori e prima della separazione, nonché nel corso e dopo la separazione consensuale, viene nell'economia della presente relazione limitato esclusivamente al secondo profilo, ovvero alle espressioni del consenso dei coniugi nell'ambito del procedimento di separazione consensuale e dopo la sua omologa.
Sotto questo particolare profilo è preliminare una disamina, alla luce della disciplina di legge applicabile, dei due elementi che contraddistinguono l'iter procedimentale di una separazione consensuale: il consenso dei coniugi, da un lato, espresso nel ricorso e ribadito a verbale innanzi al presidente e il decreto di omologa d'altro.
Detta disamina, muovendo proprio dalla lettera degli artt. 711, 4° comma c.p.c. e 158, 2° comma, c.c. consente di individuare giuridicamente l'elemento essenziale della fattispecie che costituisce la separazione nel consenso, rispetto al quale l'omologa si pone come elemento esterno, mera condizione di efficacia di un istituto che ha matrice esclusivamente nell'accordo dei coniugi.
L'omologa del tribunale viene infatti inquadrata come mera condizione di efficacia dell'accordo e lo stesso ambito di sindacato consentito al giudice è esplicitamente limitato alla verifica di una corretta regolamentazione dell'interesse dei figli negli accordi di separazione, art. 158, 2° comma c.c.
Pertanto la stessa cognizione dei presupposti della separazione, ovvero la intollerabilità della prosecuzione della convivenza o il grave pregiudizio alla educazione della prole è esclusa dalle verifiche compiute in sede di omologa (e costituisce una valutazione lasciata alla autonomia dei coniugi).
Deve particolarmente evidenziarsi la diversità rispetto al divorzio introdotto congiuntamente dai coniugi, ove il rito si esprime come contenzioso e al giudice è affidato un giudizio sui presupposti dello scioglimento del matrimonio che si conclude correttamente con una sentenza. Vi è poi da aggiungere che qualora il tribunale in sede di divorzio è adito da un'istanza congiunta dei coniugi, nell'eventualità ritenesse violati gli interessi dei figli, non si limita a convocare i coniugi per favorire una pattuizione diversa, ma converte il rito da cameral-contenzioso a contenzioso ordinario, applicandosi il comma 8 dell'art. 4 della legge n. 898 del 1970 (cfr. il rinvio contenuto del comma 16).
Al contrario nel procedimento per separazione consensuale, innanzi ad una verifica negativa di una corretta regolamentazione dei rapporti con i figli, il giudice non può sostituirsi alla volontà delle parti e decidere con un giudizio che sostituisce il consenso, ma deve curare la convocazione dei coniugi per favorire una diversa soluzione consensuale; in difetto di adesione dei coniugi deve semplicemente non omologare la separazione consensuale (art. 158, 2° comma, c.c.).
E' pertanto corretto inquadrare il procedimento di separazione consensuale nell'ambito della volontaria giurisdizione, ove, fermo restando che la fattispecie produttiva di effetti è il negozio, nel nostro caso il patto tra coniugi, al giudice è data la facoltà, con precisi limiti, di verificare la coerenza dell'accordo con interessi generali implicati nella regolamentazione operata sul piano negoziale (nella specie quello di proteggere i figli), e quindi di rimuovere una condizione di efficacia della fattispecie.
La separazione consensuale coincide quindi con un negozio giuridico, di cui assume inevitabilmente per derivazione dalla qualificazione il regime giuridico relativo, in ordine alla sua validità ed efficacia, pur con le necessarie attenuazioni dovute dalla indisponibilità di parte degli interessi trattati.
Inoltre, come avremo modo di verificare, il patto di separazione, pur contenendo clausole di rilievo economico-patrimoniale, nel suo nucleo essenziale regola interessi e profili personali, quale in primis l'effetto di sospendere l'obbligo della convivenza regolandone le conseguenze in ordine ai rapporti personali tra i coniugi e i coniugi e i figli. Con questo si intende sottolineare i principi e le regole dettate in materia contrattuale non possono trasferirsi, senza i necessari distinguo, nell'ambito dell'accordo di separazione.
2. Inderogabilità della disciplina e indisponibilità dei diritti, il diverso regime dei patti di separazione consensuale.
(1) E' opportuno inoltre, sempre in sede di inquadramento generale, evidenziare come alcune pattuizioni che possono esprimersi nell'accordo di separazione consensuale non potrebbero essere assunte dai coniugi, per i limiti di oggetto imposti all'autonomia privata quando interviene su situazione indisponibili.
In questi casi la pattuizione è priva in assoluto di effetti, appunti per limiti attinenti al suo oggetto.
E' il caso, per la previsione espressa contenuta nell'art. 158, 2° comma, dei patti e accordi che riguardano l'affidamento in senso lato (quindi anche il diritto di visita del coniuge non affidatario oppure le determinazioni sul domicilio prevalente o l'esercizio delle sue prerogative nel caso di affidamento condiviso) e il mantenimento del figlio.
E' opportuno evidenziare che tali patti non si limitano solo alle previsioni sull'affidamento, la potestà e la modalità e la misura del contributo di mantenimento del figlio, ma anche possono manifestarsi anche in relazioni a profili diversi che pure coinvolgono intensamente gli interessi del minore, tanto da essere regolati proprio in funzione di questi ultimi. E' il caso della previsione sull'assegnazione della casa familiare, che già nella giurisprudenza, ma particolarmente dopo la legge n. 54 del 2006 che è intervenuta introducendo l'art. 155 - quater, era ed è regolata secondo gli interessi del figlio.
Nel caso di figlio maggiorenne, per il quale non si pone più un problema di affidamento, ma solo di mantenimento, con la previsione di un'azione autonoma e di una corrispondente legittimazione ex art. 155 - quinquies, c.c., è da ritenere che il patto fuoriesca dai limiti di indisponibilità evidenziati e l'accordo rientri piuttosto nella disciplina dei patti soggetti a norma imperativa (v. infra, par. 4).
Non è casuale la previsione espressa sul piano legislativo di un controllo in sede di omologa che riguarda esclusivamente tale profilo, dove deve ritenersi il tribunale è munito di un potere di sindacato che dalla legittimità della pattuizione spazia sino al suo merito, ovvero ai contenuti della disciplina consensuale degli interessi del minore. Il potere di sindacato nel merito è la riprova che la materia può essere oggetto di un atto di autonomia solo nella particolare sede in cui è esercitato, ovvero quella del procedimento di separazione consensuale.
(2) Diversa è l'ipotesi invece dei patti che intervengono su interessi e rapporti che non sono in assoluto indisponibili, bensì interferiscono in modo più o meno accentuato con norme di legge inderogabili. In questi casi il patto non subisce un divieto assoluto di oggetto, ma pur potendosi validamente perfezionare, subisce una limitazione di contenuto, dovendosi esprimere necessariamente secundum legem, in difetto potendo essere impugnato da chiunque vi abbia interesse. Questo è il caso delle pattuizioni che riguardano i rapporti personali e patrimoniali dei coniugi. In tali casi la legge tace, ovvero non riconosce un potere di sindacato del tribunale in sede di omologa. E' certa, e raccoglie un'unanime opinione, l'insidacabilità nel merito delle soluzioni adottate dai coniugi, potendosi al massimo ipotizzare un controllo di stretta legalità (nel caso estremo in cui si neghi un contributo di mantenimento in presenza dei presupposti o si regoli fuori dai criteri di proporzionalità con i redditi dell'obbligato, art. 156, comma 1 e 2, c.c.). Certa è la nullità del patto, che tuttavia può essere perfezionato anche al di fuori della sede del procedimento di separazione consensuale, quando viola la norma imperativa.
(3) Esiste infine un settore di pattuizione avente per lo più rilievo economico, di carattere accessorio, che trova nella separazione l'occasione di esprimersi, ma che potrebbe perfezionarsi anche al di fuori di quella sede e non interviene quindi su situazioni indisponibili in assoluto o in aree non interessate a norme di legge imperative. In quest'ultimo caso il patto non incontra né un limite di oggetto nè un limite di contenuto, si esprime liberamente sul piano dell'autonomia, non è sindacabile nel merito nè sul piano della legittimità, salvo il rispetto delle regole sulla corretta formazione della volontà contrattuale.
Questa distinzione è assolutamente centrale ai nostri fini.
3. I patti su affidamento e mantenimento dei figli.
Se la pattuizione, come nel caso della regolamentazione degli interessi di un figlio, ha un limite di oggetto, l'accordo avulso dall'omologa, ovvero dalla contestualizzazione con un procedimento di separazione consensuale, non solo è privo di effetti, ma è radicalmente nullo, anche se assunto prima o dopo la separazione e anche se coerente con il dettato di legge.
In questo caso forse è da proporre, sul piano sistematico, un inquadramento paritetico di consenso e omologa, come elementi entrambi necessari della fattispecie a formazione successiva.
Lo si ripete, senza il contesto del procedimento di volontaria giurisdizione e l'esito dell'omologa, il patto è giuridicamente irrilevante.
Ne deriva una forte limitazione della estensione dei principi in materia di autonomia privata e di negozio giuridico: non si potrà ipotizzare l'ammissibilità di un'azione di annullamento per vizio del consenso (in particolare dolo o errore) oppure di un'azione di simulazione, poiché la pattuizione è elemento da collocare sullo stesso piano dell'omologa.
Se il tribunale ha dato il suo benestare al patto, non è pensabile che esso possa essere invalidato con una qualunque azione di impugnativa del contratto.
Ne risulta, ancora, la piena applicazione delle regole della volontaria giurisdizione e in particolare del rito camerale.
Il patto omologato sui figli sarà reclamabile ex art. 739 c.p.c., per favorire un nuovo sindacato nel merito della Corte di appello, entro dieci giorni dalla comunicazione (ché il procedimento deve ritenersi non contenzioso e quindi dato nei confronti di una sola parte, ma il reclamo dovrà muovere solo dalla ragione di una rinnovazione del sindacato di merito, per l'errata valutazione anche da parte del tribunale degli interessi del minore e non lamentando un vizio del volere, un incapacità, una simulazione o un qualunque vizio contrattuale).
Sarà modificabile ex art 710 c.p.c. per sopravvenienze (regola dettata dall'art. 711, u.c. c.p.c. prevalente sulla regola generale dell'art. 742 c.p.c. che consente una generale modificabilità e anche una revocabilità, qui impensabile), sempre per una nuova verifica nel merito delle soluzione adottate. Quindi per il carattere prettamente di volontaria giurisdizione non formerà mai giudicato.
E' tuttavia bene evidenziare che il procedimento di modifica ex art. 710 c.p.c., benché sia ricondotto alle forme camerali, è di carattere contenzioso e quindi in sede di modifica, le parti non possono più determinare un elemento della fattispecie mediante l'accordo, ma devono integralmente soggiacere al giudizio del tribunale, il quale non interviene più con un potere di semplice omologa, ma con il potere di imperio di esprimere un giudizio ed imporlo alle parti. La soluzione che avvilisce in modo incoerente l'espressione della volontà dei coniugi in sede di modifica, merita un ripensamento de iure condendo.
4. I patti sul mantenimento dei coniugi.
E' stato possibile, in par. 2, evidenziare come questi patti possano efficacemente e validamente concludersi anche fuori dal procedimento di separazione, poiché non sono soggetti ad un limite di oggetto, bensì di contenuto, e perciò sono solo soggetti al rispetto della normativa imperativa nelle loro determinazioni contenutistiche.
Non è quindi postulabile un astratto divieto di pattuizioni fuori dalla separazione, prima o dopo che si sia conclusa, poiché l'unico limite che le contraddistingue è quello del rispetto della norma imperativa di legge (quindi, possono esprimersi liberamente, fuori dal contesto istituzionale della separazione consensuale, ma sono soggette alla impugnazione per violazione di norma imperativa).
Sotto questo profilo merita qualche riflessione il caso, che, a parer mio, si scontra con la previsione imperativa sul mantenimento, della previsione pattizia di una prestazione una tantum del contributo di mantenimento non munito della clausola rebus sic stantibus, qualche volta manifestata attraverso la cessione di un bene (spesso immobile). E' noto infatti come alla separazione giudiziale è stato estesa la possibilità di una determinazione con prestazione unica dell'obbligo di mantenimento, anziché con prestazione periodica (art. 5, comma 8, legge n. 898 del 1970). E' infatti vero che la disposizione per il processo divorzile discende dalla necessità di un accordo delle parti, ma è anche vero che questo accordo deve ritenersi "equo dal tribunale", ciò per l'effetto preclusivo di future azioni di contenuto economico. Ora non pare che i limitati poteri del tribunale in sede di omologa possano consentire il giudizio di equità fissato dalla norma, poiché l'oggetto del controllo giudiziale sono soltanto le disposizioni e i patti che riguardano i figli. E' perciò fortemente dubitabile la validità di un contributo di mantenimento coniugale pattuito con una prestazione unica con rinuncia a qualsiasi pretesa economica successiva, potendo l'eventualità prodursi solo a seguito di un giudizio di separazione consensuale. Per cui la conseguente rinuncia dovrebbe valere solo rebus sic stantibus (tra le tante, Cass. 24 maggio 1996, n. 4794; Cass 13 maggio 1999, n. 4748).
In questo ambito, invero, non vi è motivo per escludere una generale riconduzione alla disciplina del negozio giuridico e, tra le norme imperative che possono avere rilievo, deve postularsi l'applicazione della normativa protettiva di una libera e consapevole formazione del consenso e di una sua effettività.
Non vi è dubbio perciò sotto questo profilo che la separazione consensuale sia impugnabile mediante le azioni di nullità ex art. 1418 c.c. e di annullabilità per incapacità o vizio del consenso ex artt. 1425 e 1427 c.c.; infine per simulazione ex artt. 1414 e ss. c.c.
Non vi è infatti ragione - e recentemente il giudice di legittimità lo ha finalmente riconosciuto (cfr. Cass. 18 dicembre 1986, n. 7681 per l'azione di simulazione, ma in senso contrario v. Cass. 20 novembre 2003, n. 17607, e Cass. 4 settembre 2004, n. 17902, in senso favorevole per l'azione di annullamento) - per escludere l'applicazione del regime del negozio giuridico, poiché l'omologa non aggiunge nulla ad una fattispecie che si identifica appunto in un negozio giuridico e perché, tra l'altro, in questo particolare ambito l'omologa non ha modo di intervenire. Anche a volere ammettere, come la giurisprudenza di merito, che in sede di omologa il giudice possa condurre un controllo di legittimità preventivo di tali patti, le scelte di merito sulla regolamentazione degli interessi sono abbandonate alla volontà dei coniuge, che deve formarsi in modo libero e consapevole.
La riprova di quanto veniamo dicendo è che correttamente il giudice di legittimità non ha ritenuto che la sede per l'esercizio delle azioni di impugnativa contrattuale sia il reclamo ex art. 739 c.p.c. oppure il procedimento di modifica dell'art. 711 c.p.c., bensì quella dell'ordinario processo di cognizione ove vengono comunemente esercitate le azioni di impugnazione del contratto (cfr. la recentissima Cass. 22 novembre 2007, n. 24321, in Avvocati di famiglia, 2008, n. 1, 32).
L'azione di simulazione, per i ben noti limiti sul piano probatorio (art. 1417 c.c.) pone il problema della contestualizzazione con una manifestazione di volontà dissimulata mediante scrittura separata e con l'efficacia che a quest'ultima deve essere attribuita, purché in linea con il disposto di legge imperativo. Orbene proprio questo regime particolare giustifica la validità ed efficacia anche di un accordo della crisi assunto al di fuori del procedimento di separazione.
Vi infine da aggiungere che, proprio per il mancato sindacato in sede di omologa, tali patti riguardanti vicende per lo più patrimoniali che interessano i coniugi conservano la loro efficacia (se questa non è rimossa da una declaratoria di nullità per violazione di norma di ordine pubblico), anche nel caso in cui l'omologa sia rifiutata.
5. I patti accessori in materia non disponibile e non soggetta a norme imperative.
Si tratta di patti accessori, sulla divisione del patrimonio comune quale effetto della separazione, relativi ad effetti traslativi di diritti reali su beni mobili o immobili o alla costituzione di diritti personali di godimento, sino addirittura a veri e propri negozi di accertamento sulla titolarità di un diritto oppure accordi transattivi con i quali vengono regolati, ad esempio, i danni provocati ad un coniuge dalle condotte o omissioni dell'altro, che hanno assai spesso accesso agli accordi di separazione consensuale e che dimostrano una ben diversa apertura del procedimento per separazione consensuale rispetto al procedimento per separazione giudiziale, il cui oggetto normalmente non consente l'ingresso a domande diverse.
In questi casi la riconduzione piena e senza limiti al regime della libera autonomia, sinanche in alcuni casi al regime dei veri e propri contratti, ne giustifica la applicazione senza limiti del relativo regime, dalle azioni di impugnativa per vizi del contratto sino alle azioni di manutenzione o risoluzione del contratto, tutte esperibili nei modi e nelle forme ordinarie (non essendone certamente interessati i messi speciali del reclamo contro il decreto di omologa e delle modifiche ai patti di separazione). Quanto a quest'ultimo aspetto è oltrettutto discutibile che l'accordo di natura contrattuale, destinato a creare un vincolo obbligatorio tra le parti che non può essere sciolto unilateralemente, possa essere privato di effetti fuori dalle eccezionali ipotesi che consentono una risoluzione del contratto, il profilo sarà particolarmente esaminato nel par. 7, sulla revoca del consenso.
Si deve aggiungere che l'accertamento dei presupposti di intolleranza della convivenza, riservata alla libera valutazione delle parti, per quanto sia espressione di autonomia insindacabile, può realizzarsi sooltanto in sede di verbale di separazione consensuale e in nessun altra sede: pertanto in questa parte il negozio ha forma solenne dovendo essere raccolto a verbale in sede di udienza presidenziale.
6. In particolare i patti traslativi di diritti reali.
Se invero possono avere accesso negli accordi di separazione consensuale patti accessori di natura patrimoniale senza limiti, qualche dubbio pongono i patti con effetti reali o obbligatori, traslativi di diritti reali, propendendo la giurisprudenza di merito per la negativa in modo incoerente con contemporanee e contrarie pronunce del giudice di legittimità.
Non tanto i patti aventi portata obbligatoria, discendendo da essi un semplice obbligo a perfezionare l'atto tralsativo vero e proprio (e tutelati in forma specifica con sentenza costitutiva ai sensi dell'art. 2932 c.c.), per i quali si rende necessaria la sola forma scritta che certamente è raggiunta nel patto raccolto a verbale d'udienza innanzi al presidente del tribunale.
I problemi sono tutti per il caso di un contratto di natura reale, che realizzi subito il trasferimento della proprietà oppure la costituzione del diritto reale minore.
Infatti non sembrano realizzabili gli oneri necessari per la pubblicazione e quindi la opponibilità ai terzi ed inoltre il giudice viene investito di funzioni notarili di assistenza che non corrispondono ai suoi fini istituzionali (tanto che l'atto rischia di recare con sé l'incertezza della sua invalidità).
(a) Sotto il primo profilo, non pare che né il giudice, né il cancelliere sono in grado di attribuire, agli effetti della trascrizione, quella pubblicità necessaria che l'atto deve avere sul piano formale (l'autentica delle sottoscrizioni; ciò che non toglie che in astratto il verbale può avere il valore della scrittura privata);
(b) sotto il secondo non è pensabile che il giudice acquisisca - in sede di volontaria giurisdizione ove deve solo sindacare l'interesse del figlio nella regolamentazione negoziale - le certificazioni e le dichiarazioni necessarie ad accettare la regolarità e quindi la commerciabilità dell'immobile secondo la legislazione amministrativa e fiscale.
Se il secondo profilo appare invero insuperabile, il primo non sembra incontrare particolari difficoltà, poiché almeno una funzione certificatrice dell'autenticità delle sotoscrizioni il giudice deve avere e una scrittura autenticata o verificata è titolo valevole per la trascrizione nei registri immobiliari (al limite preceduta da una domanda di accertamento della autenticità delle sottoscrizioni).
Peraltro oggi il verbale di separazione consensuale non è solo titolo esecutivo, ma anche è anche titolo per l'iscrizione di ipoteca (le cui formalità non differiscono da quanto è richiesto per la trascrizione), dopo Corte cost. 18 febbraio 1988, n. 186.
7. La revoca del consenso.
Si è detto di una generalizzata revocabilità del consenso alla separazione consensuale, ma i dubbi restano sul momento ultimativo di esercizio di siffatta straordinaria facoltà.
Ora tale facoltà di recesso unilaterale non corrisponde al diritto dei contratti e dei negozi giuridici, per i quali vale il contrario principio della obbligatorità degli effetti della manifestazione negoziale.
Nella fattispecie, tuttavia, il carattere personale dei contenuti necessari del consenso alla separazione, che devono essere di necessità tradotti in un verbale reso innanzi al presidente del tribunale, impone una deroga al diritto dei contratti.
Non mi pare tuttavia che i coniugi possano modificare le loro pattuizione (e quindi eventualmente recedere dall'accordo) oltre la udienza presidenziale, poiché nella fase successiva non vi è luogo del procedimento ove possano intervenire, se non l'ambito favorito dallo stesso tribunale che convoca le parti per una modifica degli accordi. Qualora alla udienza una delle parti, anche soltanto rifiutando di sottoscrivere il verbale, neghi l'adesione, il tribunale deve procedere alla archiviazione del procedimento per mancanza di un suo elemento essenziale e ai coniugi non resta che la via del rito contenzioso.
Questo a valere per i patti essenziali: la presa d'atto sulla intollerabilità della prosecuzione della convivenza, i patti riguardanti l'affidamento e il mantenimento.
Non ritengo possa valere per quelle clausole c.d. accessorie, per le quali il diritto dei contratti prende pieno vigore e in esso l'efficacia obbligatoria dello scambio adesivo dei consensi: concluso il contrattro nessuna delle parti può sottrarsi ai suoi effetti.
8. La riconciliazione.
Diversa dalla revoca è la riconciliazione, regolata nell'ambito della separazione giudiziale, ma con previsione estensibile (arg. ex art. 154 c.c.).
Come gli effetti della domanda (o della sentenza ex art. 157 c.c.), anche gli effetti della separazione consensuale omologata vengono meno per volontà bilaterale espressa di riconciliarsi, ovvero ridare vigore alla convivenza e alla comunione sprituale e materiale tra coniugi, espressa anche mediante comportamento concludente (ancora arg. ex art. 157 c.c.). In tal caso il recesso concerne esclusivamente la volontà di separarsi e non pare che alcuna pattuzione in qualche modo collegabile alla crisi familiare possa sopravvivere alla cessazione degli effetti.
Non pare tuttavia applicabile l'art. 157, comma 2, c.c., che ammette la parte ad una nuova domanda di separazione personale solo se interviene in relazione a condotte successive, riferendosi evidentemente la norma solo alla separazione giudiziale, poiché in quella consensuale i presupposti sono lasciati alla determinazione dell'autonomia privata.
9. Il mutamento del titolo di separazione.
Una volta che il consenso è stato prestato per una soluzione concordata di separazione e il tribunale ha omologato, è possibile ipotizzare una revoca della volontà, non tanto diretta ad escludere gli effetti della separazione, quanto diretta - mediante introduzione di un giudizio - all'accertamento dell'addebitabilità della separazione, con i suoi effetti sul mantenimento e sui diritti successori.
Il profilo, che attiene evidentemente per i suoi limitati riflessi patrimoniali, al rapporto tra i coniugi, nonostante una certa chiusura della giurisprudenza (da ultimo Cass. 19 settembre 1997, n. 9317; Cass. 17 luglio 1997, n. 6566, che consente l'accertamento solo e rigorosamente in sede di separazione; ma con illustri contrasti, cfr. Cass. 18 settembre 1997, 9287), deve a parere mio inquadrarsi eventualmente nell'annullamento del patto per errore vizio del volere, se il coniuge che ne è vittima prova di essersi determinato per il consenso alla separazione misconoscendo i fatti e le condotte addebitabili all'altro coniuge. Il tutto potrebbe avere accesso in un ordinario giudizio, nel quale all'annullamento segua l'accertamento dell'addebito.
Se poi la condotta addebitabile è successiva all'omologa (ché la separazione non libera i coniugi da tutti gli obblighi matrimoniale, esonerandoli dal solo obbligo di coabitazione), non vi è ancora una volta ragione per escludere l'accertamento del diverso titolo addebitabile della separazione.
In ogni altro caso, per la irrevocabilità del consenso dopo l'udienza presidenziale, non sembra consentito l'accertamento del diverso titolo di separazione.
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