Art. 709 - ter c.p.c.La nuova esecuzione dei provvedimenti personali e l’art 709 – ter c.p.c.
di Claudio Cecchella
Sommario: 1. Il problema. 2. Le fattispecie. 3. Le tecniche di esecuzione tradizionali. 4. Le nuove tecniche della esecuzione in via breve. 5. La competenza del giudice dell'esecuzione familiare. 6. L'iniziativa. 7. Il procedimento. 8. Le impugnative. 9. Il residuo ruolo esecutivo del giudice tutelare. 10. Le forme di esecuzione indiretta.-
1. Il problema.
L'art. 709 - ter c.p.c., norma nella sua formulazione fra le più infelici della riforma dovuta alla legge n. 54 del 2006, perché pone più problemi all'interprete anziché risolverli, non può essere inteso nella sua portata di indubbio rilievo senza una riflessione più ampia, da condurre sul piano sistematico.
Sotto questo profilo si può muovere da una constatazione fondamentale: tra i vari problemi ricostruttivi nei quali si imbatte l’interprete della materia familiare, oltre alle necessità di una tutela differenziata sul piano della cognizione, vi è certamente quello dell’inadeguatezza dei mezzi comuni di tutela esecutiva fondati:
(1) sulla cesura tra cognizione ed esecuzione (in sede esecutiva non è possibile modificare i contenuti della tutela cognitiva);
(2) sulla astrattezza del titolo (in relazione alle evoluzioni del diritto sostanziale, dicotomia che può essere ricomposta solo con un nuovo intervento in forme cognitive, attraverso i giudizi di opposizione);
(3) sulla bilateralità del rapporto postulato dal processo, ove a fronte di un diritto soggettivo esiste un obbligo, di cui sono titolari le parti e di cui esse possono disporre, obbligo per lo più fungibile o comunque convertibile in un'obbligazione fungibile per equivalente economico e per tale ragione suscettibile di un'esecuzione.
I principi generali che ispirano il processo comune e particolarmente le sue forme esecutive non possono essere trasferiti con automaticità nel diritto di famiglia, se non a costo di pregiudicarne gravemente gli ambiti di tutela.
(1) Il continuo divenire della realtà familiare e la dinamica dei rapporti tra i coniugi e soprattutto dei loro rapporti con i figli, a fronte dei repentini mutamenti dovuti all'età e all'evoluzione educativa e psicologica del minore , rende impossibile una netta cesura tra fase di cognizione e fase di esecuzione e la necessità di un continuo adeguamento del titolo esecutivo alla dinamica della realtà sostanziale (non è un caso che il sistema regoli, in forme celeri e speciali, un procedimento di modifica e revoca ex art. 710 c.p.c. e art. 9, comma 1, legge n. 898 del 1970, espressamente richiamato nella disposizione in esame).
(2) Ne discende una minore astrattezza del titolo esecutivo e la necessità che lo stesso giudice dell'esecuzione, che come vedremo non si distingue da quello della cognizione, ne adegui costantemente i contenuti alle modifiche o anche solo alle difficoltà attuative provocate dalla realtà.
(3) Nell’ambito dei mezzi di tutela che originano dal diritto all’affidamento o alla visita del figlio minore o dalla potestà, vi è un intersecarsi di interessi che non consentono un’astrazione giuridica in termini di diritto-obbligo (la cesura è data dall’interesse del minore, il quale è soggetto estraneo alla controversia in sede cognitiva, ma che deve essere posto al centro dell’attenzione del giudice della cognizione e della esecuzione, ma anche dalla inesistenza di una vera e propria situazione attiva da un lato e passiva dall’altro essendo l’affidamento piuttosto un munus, ovvero una situazione mista di diritto e obbligo), interesse soggetto sul piano sostanziale ad una dinamica storica accentuata con conseguente necessità di un continuo adattamento nel tempo delle tutele alla mutevolezza della realtà (ciò che spiega l’uso dello strumento camerale in vista della modificabilità della pronuncia). Peraltro, ed è una costante della materia familiare e particolare del tema in esame, si tratta prevalentemente di interessi indisponibili, i quali originano un'iniziativa del giudice che non si limita solo alla prova o alla allegazione dei fatti, ma giunge a svincolarsi dalla stessa domanda di parte, per cui l'adattamento alla dinamica del diritto sostanziale non può essere abbandonata all'iniziativa di parte, attraverso le opposizioni esecutive.
Ne consegue:
- che cognizione ed esecuzione non possono essere rigidamente distinte, ma la cognizione deve continuamente riproporsi anche in sede di esecuzione;
- che la astrattezza del titolo è attenuata, non potendo la sua compatibilità alla mutevolezza della realtà sostanziale essere abbandonata alle forme di controllo eventuale costituite dalle opposizioni esecutive su iniziativa di parte, sia per la rigidità e lentezza delle forme, sia per la inesistenza di una legittimazione del minore ad esse e per la necessità di prevedere anche un impulso officioso determinato dall'indisponibilità dei diritti coinvolti;
- che l’esecuzione non può risolversi soltanto in attuazione del binomio diritto-obbligo dei genitori, ma deve anch’esso (come la cognizione) tener conto di un intrecciarsi di situazioni, tra le quali l’interesse del minore, e che l'ordinamento per l'importanza dei beni in gioco non può tollare che l'esecuzione si fermi innanzi all'infungibilità della prestazione del soggetto obbligato. La infungibilità dell’obbligo è superabile, sia perché non si tratta in assoluto di prestazioni incoercibili , attraverso sostituzione dell’organo esecutivo, sulla base di indicazioni di diritto positivo (art. 6, 10° comma, legge n. 898 del 1970 e oggi art. 709 - ter c.p.c.) e peraltro dove non giunge la tutela esecutiva ordinaria deve soccorrere la introduzione di mezzi coercitivi che aprano l'ordinamento a forme di esecuzione indiretta, sul modello delle astreintes transalpine.
Se, quindi, il processo deve “piegarsi” al diritto sostanziale e soprattutto alla mutevolezza della realtà sostanziale e alla espansione di una tutela in forma specifica è un dato incontestabile l’inidoneità delle forme ordinarie ad assicurare adeguatamente il diritto sostanziale.
Ed è questo il vero problema dell'esecuzione nel processo di famiglia; non lo è invece, come da alcuni sostenuto , un ambito di applicabilità delle esecuzioni in forma specifica limitata solo ai diritti reali di godimento, essendo comunemente fondato, nelle elaborazioni più vicine a noi , sulla atipicità di tutela ed evidenziato il suo adattamento anche agli obblighi di tipo personale e non patrimoniale.
2. Le fattispecie.
In secondo luogo, sempre nella prospettiva di offrire una lettura persuasiva dell'art. 709 - ter, c.p.c., è forse utile muovere dalla fattispecie di diritto sostanziale assunte a contenuto-forma dei provvedimenti da eseguire, poiché l'articolo che dobbiamo esaminare ha necessariamente come presupposto la esistenza di un provvedimento sull'affidamento o la potestà.
Esso tuttavia esula a un particolare forma procedimentale oppure della misura finale, rendendosi funzionale a qualunque provvedimento che regoli l’affidamento o la potestà.
Il contenuto dovrà pertanto coincidere con un provvedimento che regola l'affidamento, sia esso condiviso oppure eccezionalmente esclusivo e in tale ultimo caso il diritto di visita del coniuge non affidatario (che è una specie minore di affidamento e quindi una misura non qualitativamente diversa). Naturalmente potrà trattarsi anche di un provvedimento sulla potestà genitoriale.
Pur con il rammarico di una ristretta lettera della disposizione, pare difficile sostenere l'applicabilità della speciale competenza e mezzo dell'art. 709 -ter c.p.c. ai provvedimenti economici sul mantenimento del minore, che quindi restano ancor oggi, sul piano delle forme di esecuzione indiretta, abbandonati alla sanzione penale dell'inottemperanza.
Quanto alle forme, si devono distinguere tra quelle sommarie:
Le ordinanze del presidente e del g.i. sull’affidamento e il diritto di visita (artt. 155 c.c.; 708 c.p.c.).
Le ordinanze cautelari ex art. 700 c.p.c. strumentali ai provvedimenti di merito su affidamento e visita.
Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari (342 bis e ter c.c.).
Tra quelle che risultano da una cognizione piena:
Le sentenze che concludono i giudizi di separazione e divorzio (per quest’ultimo anche su domanda congiunta) e che dispongono l’affidamento condiviso o esclusivo e il diritto di visita a favore di un dei genitori (artt. 155, 2° comma e 155 - bis c.c.), l’affidamento esclusivo o l’affidamento congiunto o alternato (art. 6, comma 2, legge 898 n. 70).
Tra le forme di volontaria giurisdizione:
I verbali di separazione consensuale omologati.
La modifica delle condizioni di separazione e divorzio (art. 710 c.p.c.).
I provvedimenti del tribunale dei minori ex 330 c.c. conseguenti alla decadenza dalla potestà sui figli o all’allontanamento dalla residenza familiare ex art. 333 c.c., assunti nelle forme dell’art. 336 c.c., che sanciscono l’affidamento ad uno solo dei coniugi o ad un terzo (anche in tal caso vi possono essere provvedimenti temporanei ed urgenti).
I provvedimenti del giudice tutelare in caso di abbandono della casa dei genitori da parte del figlio minore (art. 318 c.c.).
3. Le tecniche di esecuzione tradizionali.
I processualisti, solo di recente sensibili alle peculiarità della materia familiare, hanno per lo più riproposto schemi che facevano parte del loro bagaglio culturale: le forme di cui al libro III del c.p.c., ovvero l’esecuzione in forma specifica.
Così l’esecuzione dell’obbligo di consegna della cosa ex artt. 605 e ss. c.p.c. . L’incompatibilità tra la res dell’esecuzione per consegna e il minore, soggetto portatore di diritti, e soprattutto la scarsa discrezionalità delle forme e adattamento del titolo alla evoluzione della realtà sostanziale, intervenendo il giudice solo nel caso in cui insorgono difficoltà ex art. 610 c.p.c. (quindi in via eventuale), essendo tutto regolato dal codice di rito con l’intervento del solo ufficiale giuriziario o della forza pubblica, rendono inaccettabile la soluzione.
L’esecuzione degli obblighi di fare e non fare ex artt. 612 e ss. c.p.c. . Qui le peculiarità della materia si conciliano maggiormente con la discrezionalità delle forme, controllate in via necessaria e non eventuale dal giudice (art. 612 c.p.c.) e con il rilievo dell’obbligo di consegna come oggetto della esecuzione e non di una res. Ma restano insoluti i problemi dovuti all'eccessivo formalismo delle forme, all'estraneità del giudice della esecuzione dalle problematiche familiari suscitate dal provvedimento da attuare, problematiche cui è competente il solo giudice del merito, agli adattamenti abbandonati ai mezzi di impugnazione.
4. Le nuove tecniche della esecuzione in via breve.
Altri processualisti invece hanno criticato i formalismi e i limiti della esecuzione in forma specifica del libro III, preferendo una forma di esecuzione in via breve, controllata dal giudice che ha pronunciato il provvedimento da eseguire o dal giudice tutelare, con ampia discrezionalità delle forme e ausilio del servizio sociale, consentendosi eventualmente una sospensione della esecutività, una determinazione e precisazione dei contenuti del provvedimento di affidamento e soprattutto una più ampia considerazione degli interessi del minore, che da res deve essere soggetto protagonista del procedimento.
Tali spunti avevano prima della riforma due importanti conferme di diritto positivo:
- per i provvedimenti cautelari di affidamento o visita, regolati dall’art. 669 duodecies c.p.c., dove si esclude espressamente la applicazione delle forme di cui al libro III e si lascia l’attuazione alla discrezionalità delle forme e dei contenuti che potrà dettare il giudice che ha pronunciato la misura cautelare , oppure l'342 ter, 4° comma, c.c., in materia di ordini di protezione contro gli abusi familiari, ov'è affidata al giudice della cognizione la determinazione delle modalità esecutive;
- per i provvedimenti (ordinanze e sentenze) in sede di divorzio, dall’art. 6, 10° comma, delle legge n. 898 del 1970, che attribuisce al giudice del merito ogni competenza attuativa e questi dopo aver pronunciato trasmette una copia del provvedimento al giudice tutelare (ponendosi un problema di coordinamento tra questi due organi), applicabili anche ai provvedimenti di separazione (“in quanto compatibile”) ex art. 23 della legge n. 74 del 1987;
- per gli altri (provvedimenti camerali del tribunale dei minori, decreti di omologa della separazione consensuale) ex art. 337 c.c. che affida la vigilanza della attuazione dei provvedimenti sull’affidamento al giudice tutelare.
La giurisprudenza, dopo avere ammesso la esecuzione in via breve per i provvedimenti interinali, assimilandoli a quelli cautelari , e dopo avere ammesso invece l’esecuzione nelle forme degli obblighi di fare per i provvedimenti definitivi idonei al giudicato anche di volontaria giurisdizione (con esclusione della esecuzione per consegna) , ha consentito nel periodo più vicino alla riforma l’utilizzazione di entrambe le forme a scelta del ricorrente . La Corte cost. ha ritenuto irrilevante la questione sollevata da un giudice di merito, per la mancanza di un accesso degli interessi del minore all’interno della esecuzione, essendovi all’uopo l’art. 613 c.p.c. .
Oggi quella intuizione e i dati ancora frammentari del diritto positivo, pur con una formulazione che pone più problemi anziché risolverli, sono riproposti con una formulazione generale e definitiva attraverso l'art. 709 - ter c.p.c.
E' evidente infatti che il modello da preferire era ed è quello delle forme in via breve, discrezionali, integralmente controllate dal giudice del merito, perché sono le più idonee ad adattarsi alla dinamicità delle fattispecie, perché sanciscono un incidente necessario di cognizione ove può avere luogo una valutazione anche dell’interesse del minore e nella quale quest’ultimo può essere eventualmente sentito (una sorta di giudizio di ottemperanza) .
5. La competenza del giudice della esecuzione familiare.
La disposizione in commento si colloca sulla scia delle norme che nel regime previgente introducevano frammentariamente un'esecuzione in via breve affidata al giudice del merito, al quale è attribuita la determinazione delle modalità di esecuzione del provvedimento su affidamento e potestà .
Infatti l'art. 709 - ter c.p.c. affida al "giudice del procedimento in corso" la risoluzione delle controversie su affidamento e potestà insorte a seguito di un provvedimento sommario, ordinario o di giurisdizione volontaria e quindi in sede di esecuzione o attuazione del medesimo . Ancora una volta - e con una disposizione di carattere generale (applicabile ai giudizi di separazione e divorzio, ai giudizi di nullità, ai giudizi innanzi al tribunale dei minori) - il legislatore correttamente nell'ambito della famiglia identifica il giudice dell'esecuzione con il giudice del merito.
Rispetto all'art. 6, 10° comma, della legge n. 898 del 1970, ove la competenza è riferita al "giudice del merito" (da intendersi sia nel caso di pendenza del processo sull'affidamento o la potestà, ma anche quando questo non penda più), l'articolo in commento, invece, nel caso in cui il processo non penda più perché concluso con un provvedimento che definisce il procedimento, correttamente ha preferito fissare la competenza (richiamandone conseguentemente le forme camerali) nel giudice dei provvedimenti di revoca e modifica ex art. 710 c.p.c. (ai quali è difficile discriminare il provvedimento attuativo vero e proprio), con la peculiarità che sul piano territoriale è competente il giudice del luogo di residenza del minore (il quale anche in caso di affidamento congiunto avrà comunque una residenza stabile presso uno dei coniugi).
Quest'ultima regola, certamente da salutare favorevolmente, per la specificità del caso in cui è inserita pone gravi problemi di coordinamento, poichè essa è dettata per le modifiche ai provvedimenti sull'affidamento e sulla potestà, ma non in relazione ai provvedimenti economici, per i quali devono valere le regole ordinarie, con conseguente scissione della competenza dei processi sulle due diverse domande, mentre essi sono introdotti solitamente in un unico contesto procedimentale .
Se invece pende un giudizio di gravame: appello avverso la sentenza per separazione e divorzio, reclamo avverso il decreto del tribunale dei minori, è nel contesto del gravame che le modalità attuative saranno determinate (trattandosi di procedimento pendente).
In questo modo il legislatore compie una generale opzione verso un'identificazione di competenza per il merito e per l'esecuzione e affida allo stesso giudice della cognizione quella sensibilità verso gli interessi in gioco, e particolarmente quello del minore, che certamente il giudice dell'esecuzione comune non può avere.
Nello stesso tempo, non essendo perfettamente distinguibili le misure attuative da quelle modificative e revocative (adottabili nei casi di grave inadempimento di uno dei genitori, cfr, il 2° comma della disposizione), in mancanza di un processo pendente, affida la competenza al giudice della revoca e modifica ex art. 710 c.p.c.
La disposizione naturalmente non priva della competenza funzionale ex art. 38 disp. att. c.p.c. il tribunale dei minori , innanzi al quale vanno avviate le controversie sulla attuazione dei decreti pronunciati in materia di affidamento e potestà e al quale non potrà certamente applicarsi l'art. 710 c.p.c. con attrazione presso il giudice ordinario della controversia (contrariamente a quanto potrà invece accadere nel caso in cui il provvedimento da attuare sia stato pronunciato in sede di giudizio di nullità). La concorrenza, in questo ambito, è piuttosto con l’azione di cui all’art. 333 o all’art. 330 cod. civ., ma evidentemente queste ultime misure, che conducono rispettivamente all’allontanamento dalla casa familiare o addirittura alla revoca della potestà, possono certamente essere formulate cumulativamente e convivere con l’istanza ex art. 709 – ter c.p.c.
Il problema è forse dato dal caso che vengano introdotte quando già pende un procedimento per separazione e divorzio innanzi al giudice ordinario, potendosi in tal caso porre un problema di litispendenza o di continenza .
6. L'iniziativa.
La disposizione non chiarisce al primo comma se l'iniziativa ai fini della introduzione del giudizio di attuazione è soltanto della parte. Anche se al secondo comma regola un ricorso di parte e i tratti salienti del procedimento.
Al contrario l'art. 6, 10° comma, cit., ammetteva un'iniziativa officiosa.
Così non poteva non essere, e non può non essere nell'attuale regime, per le peculiarità della materia. Riteniamo quindi che la previsione della legge sul divorzio debba valere anche in relazione allo strumento generale: il giudice sollecitato dai servizi sociali o anche solo dal consulente tecnico o da qualunque interessato, potrà certamente anche d'ufficio assumere i provvedimenti attuativi di cui all'art. 709 - ter c.p.c , non escluse le sanzioni sulle quali dovremo ritornare.
In tale contesto mi pare sostenibile il ruolo di propulsore del procedimento del giudice tutelare, in considerazione della vigenza dell'art. 337 c.c.
E' da domandarsi se l'iniziativa può essere del p.m. e comunque se tale organo debba comunque partecipare al procedimento. Si potrà ricordare una non remota pronuncia del giudice della costituzionalità della legge sulla partecipazione necessaria del p.m. nel procedimento per la modifica ex art. 710 c.p.c.; il procedimento ex art. 709 - ter c.p.c. non è volto alla modifica ma all'attuazione, ma ipotizza anche una modifica in sede di incidente di esecuzione, per cui siamo propensi a pensare alla partecipazione necessaria del p.m.
7. Il procedimento.
Per quanto la disposizione abbozzi le regole del procedimento, fissando soltanto la necessità del contraddittorio, dovranno essere applicate, senza deroga, le forme e il rito che si svolgono innanzi al giudice del procedimento pendente o le forme camerali, aperte al contraddittorio e al diritto di difesa, particolarmente al diritto alla prova, del procedimento dell'art. 710 c.p.c., ipotizzando come tratto comune la introduzione con ricorso e il patrocinio di un difensore tecnico.
Nel primo caso, se si tratta di risolvere le controversie attuative dei provvedimenti sommari presidenziali o del giudice istruttore, si è pensato ad un'istanza rivolta a quest'ultimo (e non al collegio) e a seguito della instaurazione del contraddittorio delle parti una pronuncia in forma di ordinanza, dello stesso tipo di quelle che il giudice emette nel caso di istanza di revoca e modifica ex art. 709 u.c. c.p.c.
Ne deriva che il ricorso non apre la prospettiva di un procedimento incidentale autonomo, del tipo di quello suscitati da una domanda cautelare in corso di causa, che potrebbe postulare la necessità di un intervento addirittura del collegio .
Se necessario, il giudice potrà aprire un'istruttoria che, per i caratteri di processo indisponibile non è impedita dalla fase o dal tempo processuale in cui si compie non essendo la prova soggetta a preclusioni.
Esiste tuttavia un diverso orientamento che suggerisce l’attribuzione del giudizio sull’incidente di esecuzione al collegio, essendo nel procedimento per separazione e divorzio al giudice istruttore attribuite esclusivamente funzioni istruttorie (e non decisorie, salvo le misure interinali provvisorie e urgenti in modifica o revoca dei provvedimenti presidenziali) . Non si nega che questo orientamento esercita una certa suggestione, sia per la non perfetta coincidenza del giudizio ex art. 709 ter c.p.c. con il giudizio ex art. 309, u.c., c.p.c., sia perché è più sensibile sul piano sistematico alle funzioni del g.i, e poi, sempre sul piano sistematico, offre soluzioni più certe all’impugnativa, che de plano si risolve nell’appello con rito camerale avverso le pronunce del collegio.
Il regime nel caso di pendenza del giudizio di appello ove è necessario il coinvolgimento del collegio, a cui è affidato l'intero giudizio, si risolve necessariamente nell’attribuzione della funzione decisoria al collegio che deciderà tuttavia senza particolare formalità alla udienza fissata per l'esame dell'istanza.
8. Le impugnative.
La formula sibillina ("nei modi ordinari") adottata per regolare i rimedi avverso le determinazioni esecutive del giudice in materia di famiglia ha suscitato vaste critiche.
Invero il legislatore, pur potendo adottare una formula più intelleggibile, intendeva richiamarsi alle forme previste per i vari procedimenti nel contesto dei quali è reso il provvedimento attuativo o sanzionatorio .
Quindi se si tratta di una misura pronunciata nell'ambito del procedimento ex art. 710 c.p.c., il rimedio coincide con il reclamo alla Corte di appello.
Se invece è dettata dal presidente in sede sommaria, la via è tracciata dall'art. 708, u.c., c.p.c. (cfr. cap. 3) oppure dal g.i. in sede di separazione e divorzio, la soluzione porta con sé il problema della reclamabilità di tali provvedimenti, a cui si sono date nel silenzio del legislatore diverse soluzioni, sino a negarne addirittura l'impugnabilità. La prospettiva di cui si da conto in questa sede senza particolare motivazione, per esigenze di economicità, è data dall'impugnazione ex art. 669 - terdecies c.p.c., in analogia al modello cautelare .
Se al contrario si sostiene la competenza funzionale del collegio, è inevitabilmente all’appello con rito camerale che si deve rivolgere l’attenzione dell’interprete.
In tutti gli altri casi si tratterà dei rimedi ordinari o comuni avverso la forma del provvedimento che contiene le misure attuative e sanzionatorie: quindi reclamo avverso i decreti e appello o ricorso per cassazione avverso le sentenze.
9. Il residuo ruolo esecutivo del giudice tutelare.
Sia l'art. 337 c.c. e sia l'art. 6, 10° comma, della legge n. 898 del 1970 regolano un residuo ruolo "di vigilanza" del giudice tutelare in sede esecutiva. L’art. 709 – ter c.p.c. tace.
Si tratterà, quindi, di una funzione accessoria, che non consente al giudice tutelare di intervenire sui contenuti dei provvedimenti attuativi o sanzionatori, svolgendo egli soltanto un'iniziativa di controllo ed impulso affinché i contenuti determinati aliunde dal giudice del processo pendente o dal giudice della revoca e modifica siano effettivamente attuati .
In difetto egli potrà farsi promotore delle necessarie iniziative del Tribunale ex art. 709 - ter c.p.c., che possono essere promosse d'ufficio, vista la peculiarità della materia .
10. Le forme di esecuzione indiretta.
Si è detto in apertura come le difficoltà determinate dalla infungibilità della prestazione in materia familiare non possono risolversi con la semplice constatazione della impossibilità di un'esecuzione forzata e con la conversione del diritto in prestazione economica fungibile.
Alla necessità rispondono i mezzi di c.d. esecuzione indiretta (perché volti ad indurre la prestazione insostituibile dell'obbligato), offrendo rilievo penale all'inottemperanza art. 12 - sexies legge n. 898 del 1970 per il caso di violazione dell'obbligo di contributo economico oppure introducendo adeguate sanzioni civili di natura patrimoniale, così ad esempio l'istituto del sequestro a presidio dei provvedimenti di mantenimento, ai sensi dell'art. 156 c.c., privo di ogni funzione cautelare.
Questa è la via tracciata dall'art. 709 - ter, 2° comma , ove per i casi più gravi, oltre alla prospettiva di una modifica dei provvedimenti sull'affidamento o la potestà , consente al giudice l'applicazione di una sanzione civile, dall'ammonizione (che prelude evidentemente la modificazione successiva del provvedimento di affidamento), al pagamento di una somma a favore del genitore o del minore pregiudicato (che il legislatore definisce con formula infelice "risarcimento del danno", ma si tratta sul modello nordamericano di un risarcimento c.d. “punitivo” e non “compensativo” ) o a favore della Cassa ammende.
Ora la disposizione va indiscutibilmente inserita nell'ambito delle forme di esecuzione indiretta e, nonostante l'equivocità della formulazione ("risarcimento del danno"), deve essere escluso un'inquadramento in termini di responsabilità del genitore inadempiente che secondo le regole generali dovrebbe imporre al genitore istante la prova degli elementi oggettivi e soggettivi dell'illecito e del danno provocato .
Questo tipo di tutela risarcitoria , che ha le sue fondamenta sulla responsabilità civile, è del tutto esonerata dalle forme – assai spesso sommarie – del giudizio ex art. 709 – ter c.p.c. e a nostro avviso affidate alle forme ordinarie di cognizione, ovvero ad un’azione che segua regole comuni nella introduzione, nel suo svolgimento, nella decisione.
Al contrario la qualificazione in termini di sanzione civile, oltre a giustificare la speciale azione dell’art. 709 – ter c.p.c. in commento - esonera l'istante non solo dall'onere di provare l'illecito e i suoi effetti, ma addirittura dalla istanza, nel senso che la misura può essere pronunciata dal giudice d'ufficio, trattandosi di adottare misure coercitive alla ottemperanza dei provvedimenti di affidamento e potestà .
Peraltro una diversa lettura incontra poi il limite della condanna a favore del minore che non ha formulato alcuna domanda e non è neppure parte in causa .
Discutibile l'alternativa di una sanzione amministrativa , la quale pone dubbi di opportunità sia in relazione alla compiutezza delle sanzioni economiche già regolate, sia in ordine alla scarsissima tipizzazione delle condotte da sanzionare.
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