13/06/08 Forum nazionale
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Il Forum nazionale dell'Osservatorio sul diritto di famiglia, associazione di Avvocati di famiglia, si tiene quest'anno a Fiuggi, il tema suggerito è quello della tutela cautelare nel diritto di famiglia, di grande interesse per la confluenza nel processo familiare di istituti affini alla tutela cautelare, come la tutela anticipatoria e coercitiva, di cui è oggi, per evidenti lacune legislative, problematica la piena applicazione delle regole del c.d. processo cautelare uniforme.

La relazione sulle misure coercitive by Claudio Cecchella
Il programma by Claudio Cecchella

La relazione sulle misure coercitive

Le misure coercitive.

di Claudio Cecchella

(Relazione al Forum nazionale dell’ Osservatorio sul diritto di famiglia

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Fiuggi, 13-14 giugno 2008).

Sommario: 1. Premessa sulla strumentalità del processo familiare e sulla tutela giurisdizionale differenziata in materia di famiglia. Le ricadute sul piano esecutivo. 2. Premessa sulle nuove frontiere della tutela cautelare a servizio dell’esecuzione: le misure coercitive in forme cautelari. 3. Il sistema della tutela dei crediti di mantenimento. 4. Alcuni strumenti di diritto sostanziale. 5. Il sequestro. 6. La surrogazione nella prestazione periodica e continuativa da parte di un terzo. 7. La tutela penale dei crediti di mantenimento.

1. Premessa sulla strumentalità del processo familiare e sulla tutela giurisdizionale differenziata in materia di famiglia. Le ricadute sul piano esecutivo.

Il processo di famiglia e le tutele in esso offerte risentono in modo intenso del carattere strumentale della tutela giurisdizionale rispetto alle esigenze postulate dal diritto sostanziale e dalla tutela degli interessi protetti.

Si pensi, ad esempio, al carattere necessario e preliminare di una tutela provvisoria anticipatoria resa nei procedimenti per separazione e divorzio dal presidente del tribunale (art. 708 c.p.c.) - perché la crisi familiare necessita di una regola e non può restare nell'incertezza dettata dai tempi della tutela ordinaria - e al continuo adattamento delle misure giurisdizionali alle evoluzioni della fattispecie attraverso il generalizzato e illimitato potere di revoca e modifica del giudice istruttore (art. 709 c.p.c.), con tutte le peculiarità ulteriori del relativo rito in deroga al processo di diritto comune.

Esiste poi l’esigenza postulata dalla infungibilità della prestazione obbligata a fronte di diritti che necessitano di tutela in forma specifica e non per equivalente, donde le speciali tutele sommarie anticipatorie ed esecutive, assicurate con adeguate misure coercitive, di cui pur frammentariamente godono i diritti al mantenimento (artt. 146, 148 e 156 c.c.) e alcuni diritti personali, come la potestà e l'affidamento (tra tutte l'obbligo di consegna del minore) e le risposte offerte dall'ordinamento, in origine con l'art. 6, 10 ° comma, della legge n. 898 del 1970 - e oggi con l'attualissimo art. 709 - ter c.p.c., dovuto alla legge n. 54 del 2006.

Laddove la prestazione obbligata non è surrogabile con un’attività giuridica dell’ufficio esecutivo, come nel caso delle forme ordinarie per espropriazione o specifiche, si deve coartare l’attività dell’obbligato e quindi costringerlo con misure coercitive. L’esigenza è assolutamente centrale nel diritto di famiglia.

Chi studia il processo dunque deve sempre muovere da una piena consapevolezza degli interessi da tutelare e delle regole di diritto sostanziale che li disciplinano, essendo il processo non un bene giuridico in sé, ma uno strumento al servizio del diritto sostanziale, allo scopo di garantirne l'effettività.

Orbene questa esigenza, presente in tutte le materie, è assolutamente costante nell'ambito del diritto di famiglia, perché qui le ragioni di una tutela giurisdizionale differenziata si impongono in modo assolutamente prevalente, chiave di lettura dell'intero ordinamento, tanto che il sistema processuale si caratterizza - peraltro in una regolamentazione non sempre coerente e razionale - per la intensità delle deroghe al regime del diritto comune, sotto il profilo del processo di cognizione come anche del processo esecutivo.

L'intervento del legislatore è tuttavia frammentario, assai spesso solo abbozzato, originato da stratificazioni normative succedutesi nel tempo non sempre coerenti tra loro e spesso dettate dalla contingenza di interessi tutelati volta per volta, tutte certamente nel segno di una tutela giurisdizionale differenziata, ma necessitanti di un disegno che le riconduca ad unità e a sistema, particolarmente in relazione ai fenomeni, differenti ma non scevri di analogie, che sono la famiglia fondata sul matrimonio e la famiglia fondata sulla convivenza c.d. more uxorio (ove vi è uno spontaneo adeguamento delle condotte ai doveri e agli obblighi della famiglia fondata sul matrimonio), nel momento (attualmente esclusivo) di intersecazione delle due materie che è costituito dalla tutela dei diritti personali e patrimoniali connessi all'affidamento e alla potestà sul minore.

Ma vi è in tale prospettiva un nucleo assai significativo di situazioni implicate dal diritto di famiglia, che necessitano in primo luogo di un’urgenza inderogabile di tutela (tanto che si può sostenere che l'esigenza cautelare è immanente nella materia) e di mezzi che reagiscano alla infungibilità della prestazione volta ad assicurare il diritto, si pensi ad esempio all'obbligo di consegna del minore o agli obblighi sottesi al mantenimento, tanto per citare i casi più evidenti, ove gli strumenti dell'attuale processo ordinario o esecutivo comune, tutto fondato sulla fungibilità della prestazione e sulla sostituzione dell'obbligato da parte dell'organo esecutivo o comunque su di una tutela per equivalente, non possono essere idonei alla assicurazione del diritto.

Questo è pure il caso del diritto al mantenimento, che coincide con un credito in denaro e quindi si identifica, per il suo oggetto, con una prestazione per definizione fungibile; ma nel diritto al mantenimento infungibile è il bene indirettamente garantito dalla prestazione pecuniaria, che è la vita, l'esistenza libera e dignitosa della persona, tanto che nonostante la sua fungibilità può essere colpito da una danno grave ed irreparabile, cui difficilmente sopperiscono gli istituti di tutela per equivalente o per sostituzione dell'organo esecutivo.

Questa è la ragione per la quale, pur coincidendo con un diritto la cui violazione è astrattamente rimediabile - trattandosi di un credito - è cionondimeno tutelabile nelle forme dell'art. 700 c.p.c., anzi tutti i diritti sono assicurabili con lo speciale mezzo atipico laddove non esista uno tipico consentito, anche di natura latamente anticipatoria (come l’ordinanza presidenziale).

Oltre alla indiretta fungibilità del bene della vita, esiste un'ulteriore peculiarità della situazione sostanziale in esame, degna di rilievo: il carattere continuativo e periodico della prestazione ovvero il carattere permanente del diritto, ciò che limita fortemente l'efficacia dei tradizionali mezzi esecutivi, i quali presuppongono che il diritto sia esigibile e quindi già maturato o scaduto (art. 474, 1° comma c.p.c.) e perciò rendono necessaria la reintroduzione di un autonomo processo esecutivo per ogni prestazione mancata.

L'ordinamento deve perciò provvedere a strumenti che assicurino la prestazione della parte obbligata al mantenimento, al di là dei tradizionali mezzi cautelari ed esecutivi.

I profili processuali della tutela del contributo al mantenimento si presentano come paradigma, per un verso, della specialità della disciplina e per altro verso della sua incoerenza sistematica, essendo adottate soluzioni affatto coordinate nell'ambito del procedimento per separazione rispetto a quello divorzile, come anche quello della tutela della famiglia di fatto.

Il problema presenta poi tutta la sua drammaticità, sia in ordine alla urgenza di tutela, sia per il carattere infungibile della prestazione e la sua proiezione nel futuro, anche in relazione alla tutela dell’affidamento o del coaffidamento (cui è sotto specie il diritto di visita). Si tratta tuttavia di tema, che qui può essere solo accennato rientrando nell’economia di altra relazione, dove il legislatore sembra percorrere, pur nella corrispondente introduzione di mezzi coercitivi, vie diverse dalle forme della tutela cautelare.

2. Premessa sulle nuove frontiere della tutela cautelare a servizio dell’esecuzione: le misure coercitive cautelari.

All’esigenza postulata dalla materia, corrisponde, e merita un’adeguata riflessione, un’evidente evoluzione legislativa e di sistema che interessa la tutela cautelare, in sé considerata, a prescindere dalla sua applicazione alla materia familiare.

Crediamo che qui la riflessione del processualista, non solo del familiarista, deve essere puntuale, anche a costo di mettere in discussione categorie tradizionali, a cui siamo stati abituati da quasi un secolo, a partire da Calamandrei in poi.

Ci riferiamo all’attuale dinamica della normativa processuale, ove la tutela cautelare ha compiuto un vistoso “strappo” rispetto alla funzione strumentale e accessoria a cui è stata da sempre relegata, non potendo avere vita autonoma rispetto alla tutela ordinaria e di merito, e si è per così dire autonomizzata, conquistando nuovi lidi, come quelli della tutela anticipatoria autosufficiente, pur con una stabilità diversa dal giudicato.

Intendiamo richiamarci in particolare all’intervento, dovuto alla legge n. 80 del 2005, sull’art. 669 – octies c.p.c. e alla codificazione di una distinzione netta – cui segue tutta una diversa disciplina applicabile, tra tutela cautelare conservativa e tutela cautelare anticipatoria. La prima soltanto destinata alle categorie dogmatiche tradizionali e poco rispondente alle rilevate esigenze della materia familiare (la conservazione del patrimonio in vista di una futura lontana tutela non si adegua alla effettività e urgenza delle situazioni familiari). La seconda destinata ad aprire un mondo del tutto nuovo, tanto che si è parlato ormai da più parti di una tutela giurisdizionale anticipatoria, non destinata al giudicato ma alla pronuncia rapida di una regola al conflitto (che è – si badi bene – l’esigenza fondamentale dell’attuale congiuntura economica e immanente, per le ragioni già vedute, nella materia familiare), alternativa alla improbabile, per tre lunghi infiniti gradi di giudizio, di una tutela comune destinata al giudicato.

Quindi la tutela cautelare tende a conquistare nuovi territori, particolarmente quello della tutela anticipatoria autosufficiente, per la quale è irrilevante la introduzione o meno di un successivo giudizio di merito (salvo per il prevalere della cognizione piena sulla cognizione sommaria, soccombere alla eventuale tutela di merito introdotta contestualmente o successivamente, qualora neghi la tutela assicurata in via cautelare).

Ma la nuova frontiera, sul piano cognitivo, ha interessanti riflessi, per quello che qui interessa sul piano esecutivo, a dimostrazione della grande duttilità del mezzo cautelare, che costituisce strumento a sua volta fungibile e adattabile per differenti esigenze del processo.

Si deve dire in proposito che, già sul piano sistematico, lo strumento cautelare si presta ad un passaggio, senza soluzione di continuità, tra la tutela di cognizione e la tutela esecutiva. La dottrina che si è impegnata ha per lo più rifiutato di distinguere nella tutela cautelare un profilo cognitivo da un profilo esecutivo e probabilmente ne è il risultato l’art. 669 – duodecies c.p.c., sull’attuazione della misura cautelare, pur con l’importante soluzione di continuità costituita dalla tutela dei crediti aventi ad oggetto somme di denaro, ove la necessità di preservare la par condicio creditorum impone il richiamo alle forme esecutive ordinarie e dove, quindi, si pone una cesura tra cognizione ed esecuzione. Nella citata disposizione, infatti, tutto si svolge innanzi allo stesso giudice, il quale oltre a prescegliere i contenuti della tutela, particolarmente in occasione della tutela atipica, sceglie anche le forme della esecuzione e risolve i conflitti nel suo corso, almeno quelli che attengono alla tecnica di esecuzione.

E’ evidente che questa appartenenza della tutela esecutiva alla tutela cautelare, come suo aspetto immanente, ma nel contempo soprattutto la condivisione anche da parte delle tecniche esecutive, oltreché di quelle di tutela cognitiva, della discrezionalità delle forme dettate dallo stesso giudice, senza l’irrigidimento di quelle dettate in via ordinaria dal libro III del codice di procedura civile, non poteva non essere mutuata in ambiti particolari, come quello familiare.

Infatti, laddove la rapidità di tutela in unione alla sua proiezione nel futuro e soprattutto alla infungibilità della prestazione non surrogabile dall’ufficio esecutivo impone nuove frontiere alla tecnica esecutiva, ecco emergere la grande duttilità dello strumento cautelare e convertirsi esso stesso in strumento esecutivo.

Ne nasce il profilarsi di misure indirette di natura coercitiva rivestite delle forme della tutela cautelare, in primis i sequestri a tutela dei crediti di mantenimento, nel segno della conquista di nuovi territori da parte dell’espansione prepotente della tutela cautelare. Donde la rilevata capacità del mezzo cautelare di conquistare nuove frontiere, non solo quelle della tutela anticipatoria autonoma, ma anche di quella esecutiva.

In tale evidente evoluzione del sistema, che sfugge alla tradizionale metodologia ricostruttiva della tutela cautelare ereditata dalla classica monografia di Calamandrei, esiste – oltre a quello di rendere più efficienti le tecniche di tutela dei diritti in sintonia con il dettato costituzionale dell’art. 24 – un ulteriore dato che l’interprete non deve dimenticare. La disciplina del processo cautelare uniforme, dovuta alla legge n. 353 del 1990 è una delle produzioni migliori del nostro legislatore, in tempi di legislazione assistematica e tecnicamente discutibile, particolarmente in materia di processo familiare, laddove ha proposto un prototipo generale di forme adattabili alla tutela conservativa, come a quella anticipatoria, come, infine, come tra breve vedremo, a quella esecutiva, che a noi interessa in modo particolare. L’interprete ha così modo di attingere ad un sistema di norme innanzi a tutte le difficoltà applicative, potendo sempre contare sulle regole del processo cautelare uniforme: ci riferiamo alla tutela impugnatoria o modificativa dettata dagli artt. 669 – decies e terdecies c.p.c., a cui tuttavia la giurisprudenza non ha sempre attinto, conservando un’impostazione più tradizionale, dove si rinchiude erroneamente il mezzo nell’orizzonte limitato della sola funzione strumentale e non si colgono le rivoluzionarie prospettive, in ambito di tutela anticipatoria esecutiva (di accertamenti con finalità esecutiva, come direbbe Chiovenda).

Questa importante evoluzione, nella incongruenza delle scelte sistematiche del nostro ultimo legislatore, ha una soluzione di continuità nell’art. 709 – ter c.p.c., il quale proprio per questo si propone come norma enigmatica, sino al punto da mettere in discussione, come sembrebbe la scuola civilistica, il carattere coercitivo delle sanzioni contemplate (che si vorrebbero inserire nel sistema di responsabilità civile, ove continua a specchiarsi come Narciso il sostanzialista, confrontandosi solo con le sue categorie oggettive e soggettive: il dolo e la colpa). Ma quello che a noi interesse sottineare è la non-scelta del legislatore della legge n. 54 del 2006, laddove ha in concreto dettato una norma “in bianco” sul piano processuale, con rinvio alle forme ordinarie nel cui contesto si vengono a formare le misure coercitive e richiamando a chiusura le forme dell’art. 710 c.p.c.

Anche qui perché il legislatore non ha voluto, come in altri luoghi, attingere alle forme del processo cautelare uniforme? Tanti problemi applicativi sarebbero svaniti grazie al rinvio alle forme e ai contenuti della tutela cautelare generosamente prestate al servizio di quella esecutiva.

3. Il sistema della tutela dei crediti di mantenimento.

Delle peculiari situazioni del diritto di famiglia, si muoverà dalle esigenze di tutela postulate dai crediti di mantenimento, dove si rappresentano – in modo non meno evidente – i problemi suscitati dal binomio rapidità di tutela-infungibilità della prestazione particolarmente per la sua proiezione nel futuro e dove sul piano positivo è verificabile l’espansione delle forme cautelari di tutela.

Il tema dei diritti personali connessi all’affidamento, che implicano la ricostruzione del nuovo strumento dell’art. 709 – ter c.p.c., avulso dalle forme cautelari di tutela, saranno oggetto di altra relazione.

Sotto questo profilo, muovendo dagli interessi economici tutelati, è necessario evidenziare una distinzione, che ha scarso rilievo nell'ambito della famiglia di fatto, ma che, come presto vedremo, è centrale nello studio dei mezzi giurisdizionali di tutela nella famiglia consacrata sul matrimonio.

Il credito di mantenimento dei figli può necessitare di una tutela nell'ambito della crisi, ovvero nel contesto dei processi di separazione e divorzio, mediante quella forma di tutela anticipatoria fondata su di una cognizione sommaria che è l'ordinanza presidenziale, all'interno della quale possono essere dettate tutte le misure note a tutela del credito al mantenimento.

Può diversamente collocarsi in una tutela che prescinde dalla crisi familiare, quando l'esigenza si pone nel contesto di una separazione di fatto o semplicemente non presuppone una separazione (artt. 146 e 148 c.c) e in tal caso quelle misure sono dettate al di fuori di un procedimento di separazione (e ovviamente anche di divorzio).

Può infine collocarsi nell'ambito di un rapporto familiare di fatto, ove la convivenza, l'unione, non è fondata su di un matrimonio e dove l'interesse protetto dall'ordinamento è soltanto il credito al mantenimento del figlio, poiché non esiste alcun obbligo di mantenimento del coniuge di fatto. Anche in tal caso si deve pensare a forme che esprimano i contenuti di tutela propri della filiazione legittima, ma al di fuori dei procedimenti per separazione e divorzio, e che tuttavia non potranno beneficiare degli strumenti di tutela anticipatoria in limine litis. Il rapporto familiare di fatto può inoltre derivare dalla dichiarazione di nullità di quello celebrato, soccorrendo in tal caso gli effetti del matrimonio putativo, cui consegue il diritto al mantenimento del coniuge in buona fede per un triennio ex art. 129 c.c. e comunque il diritto al mantenimento dei figli nati o concepiti durante il rapporto o prima di esso se riconosciuti anteriormente alla sentenza che dichiara la nullità del matrimonio (sulla applicabilità dello speciale istituto del sequestro al matrimonio putativo, cfr. Cass., 11 ottobre 1983, n. 5887, in Giust. civ., 1984, I, 1569).

Ora è interessante notare sul piano normativo come tutte queste situazioni, perfettamente identiche tra di loro, salvo la diversità della fattispecie che ne è all'origine, implicano tutte quelle esigenze di diritto sostanziale, evidenziate nella trattazione che precede, che devono tradursi in una tutela giurisdizionale differenziata, particolarmente di carattere anticipatorio e esecutivo. Ciononostante le risposte dell'ordinamento processuale non sono assai spesso unitarie con una regolamentazione coerente. L'interprete in ognuna delle disposizione sostanziali di tutela potrà tuttavia cogliere negli istituti processuali coinvolti peculiarità generali, i cui tratti tendenzialmente unitari possono essere facilmente delineati.

Anzitutto si rinviene un sequestro dei beni dell'obbligato, che assume la denominazione del mezzo cautelare tipico e che tuttavia, come tra breve vedremo, costituisce un adattamento del mezzo alle esigenze di tecnica esecutiva: l'istituto compare nel contributo di mantenimento del procedimento di separazione, art. 156, 6° comma, c.c.; nell'assegno divorzile e nel contributo di mantenimento dei figli, art. 8, 7° comma, legge n. 898 del 1970; nel contributo del coniuge o del genitore in costanza di matrimonio, art. 146, 3° comma, c.c. La disposizione era tuttavia dettata solo per la tutela del mantenimento del coniuge, oggi attraverso interventi plurimi del giudice della costituzionalità della legge deve ritenersi esteso alla tutela del mantenimento del figlio legittimo (e dunque in forza dell'art. 261 c.c., anche del figlio naturale e dunque nell'ambito della famiglia di fatto).

Inoltre è codificato l'effetto - in vario modo raggiungibile - di una surrogazione del creditore all'adempimento di terzi obbligati a prestazione unitarie o periodiche: l'istituto si rinviene in costanza di matrimonio nell'art. 148, 2° comma, c.c., nel procedimento di separazione personale all'art. 156, 6° comma, c.c., e infine nel procedimento divorzile all'art. 8, 3° comma, legge n. 898 del 1970. Manca ancora una previsione per il caso della tutela del figlio naturale, ma in virtù della assimilazione più volte ricordata deve ritenersi interpretativamente estesa anche a quest'ultimo.

Le tutele giurisdizionali speciali, pur riconducibili, come veduto, ad un ceppo comune sono, e questo è il segno dell'irrazionalità e approssimazione del sistema, regolate diversamente, con soluzione sul piano delle forme e dei presupposti talmente differenti da rischiare di implicare in alcuni casi la natura del mezzo offerto. Esse tuttavia per l'assimilazione più volte ricordata devono essere ricondotte anche alla posizione particolare del figlio nato in una famiglia di fatto.

4. Alcuni strumenti di diritto sostanziale.

Accenniamo, solamente per completezza di esposizione, trattandosi di istituti di diritto sostanziale, tra gli strumenti a protezione dei crediti di mantenimento, all'iscrizione ipotecaria (art, 156, 5° comma, c.c. e art. 8, 2° comma, legge n. 898 del 1970), quale effetto della (sola) sentenza che pronuncia la separazione oppure il divorzio (da estendere al decreto di omologa della separazione consensuale, a seguito di Corte cost. n. 186 del 1988, in Giust. Civ., 1988, I, 879 ss), essendone esclusa l'ordinanza presidenziale (Cass., 5 ottobre 1960, n. 2564, Giust.civ., 1961, 1, 46). Si tratta nella sostanza di una misura, fondata sull’inadempimento del credito di mantenimento (e non di altri crediti eventualmente oggetto di pattuizione in sede di separazione consensuale e che risultano da una divisione o da una transazione tra i coniugi, per i quali può valere solo la tutela ex art. 2818, 1° comma, c.c.), che offre nella sostanza una tutela di tipo conservativo in funzione degli adempimenti presenti e futuri, in caso di inadempimento dei primi, quindi non differente quanto agli effetti ai sequestri che saranno tra breve esaminati (anche se in questo caso la tecnica e le forme utilizzate non sono quelle cautelari, gli effetti sono comunque cautelari con l’ulteriore prerogativa di creare una nuova ipotesi di prelazione, quella ipotecaria, oltre al privilegio del credito alimentare, a riprova della frammentarietà e assistematicità delle tecniche di tutela adottate). Sulla applicabilità alla famiglia di fatto e quindi ai figli naturali non vi sono estensioni per via di declaratoria di incostituzionalità, continuando la tutela in questo caso a condursi parallelamente attraverso l’art. 2818, 1° comma, c.c. (ancora Graziosi, I processi per separazione e divorzio, a cura di Andrea Graziosi, Torino, 2008, 247).

Ugualmente, ancora come prerogativa della sola sentenza (Trib. Milano, 5 dicembre 1995, Foro it., 1996, I, 1050), il disporre ex art. 156, 4° comma, c.c. e art. 8, 1° comma, legge n. 989 del 1970, che l'obbligato presti idonea garanzia reale o personale, quando vi sia pericolo che egli possa sottrarsi all'adempimento (ad esempio perché muti con frequenza l'attività lavorativa impedendo una tutela per surrogazione nel credito verso il datore di lavoro oppure si trasferisca all'estero o tenga una gestione disordinata o rischiosa del suo patrimonio). Quest'ultimo istituto ha peculiarità evidenti, poiché applicabile d'ufficio (senza la necessità di una domanda di parte), all'interno di una pronuncia che può non essere stata fatta precedere o seguire da un contraddittorio (nelle forme dell'art. 669 - sexies c.p.c.) e a cui l'obbligato può reagire soltanto con i mezzi di impugnazione, ovvero l'appello, o con la modifica e revoca in sede camerale, nelle ipotesi di mutamento delle circostanze o di giustificati motivi sopravvenuti (rispettivamente art. 710 c.p.c. e art. 9, 1° comma, legge n. 898 del 1970).

Non pare dubitabile che, con l'estensione delle tutele del figlio naturale, questi istituti possano essere applicati anche in sede di tutela del contributo di mantenimento del figlio nella famiglia di fatto.

5. Il sequestro.

Non si deve pensare che il sequestro che il giudice può disporre a tutela del credito di mantenimento (artt. 146 e 156 c.c.; art. 8 legge n. 898 del 1970) coincida con il sequestro conservativo e con i suoi presupposti, nonostante il nomen, e pur tuttavia proprio con questo istituto entriamo in media res, ovvero nell’espansione evidenziata delle tecniche cautelari verso le esigenze postulate dalla esecuzione delle tutela. Infatti, assumendo in primo luogo l'ipotesi regolata nell'ambito della separazione personale (art. 156 cit.), è opportuno evidenziare che mancano i presupposti della cognizione cautelare per sequestro conservativo: il concreto (e non astratto) periculum e il fumus boni iuris (cfr. Acone, La tutela dei crediti di mantenimento, Napoli, 1984, 53 ss.; Vullo, Inapplicabilità della nuova disciplina cautelare uniforme ai provvedimenti ex art. 156, 6° comma, c.p.c., in Fam. Dir., 1995, 370; Graziosi, op. cit., 248).

Il primo perché non contemplato nella norma che fonda la misura, oltre che sulla istanza della parte, sull'inadempimento tout court e prescinde da un pericolo concreto di alterazione della garanzia patrimoniale (cfr. Cass., 28 maggio 2004, n. 10273 e soprattutto Cass., 12 maggio 1998, n. 4776, in Giust. civ., 1998, I, 2533 e in Fam. dir., 1998, 516 con nota adesiva di Carratta; Trib. Pavia 19 novembre 1985, in Giur. merito, 1987, 71: la misura potrebbe essere data quindi anche fuori dai presupposti del pericolo di atti o condotte che fondano il sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c.).

Con questo non si vuol negare che un periculum debba comunque sussistere, ma si tratta di un periculum diverso, poco evidenziato perché immanente alla materia familiare, ovvero quel pericolo astratto che discende dall’inadempimento dell’obbligo di mantenimento, condotta odiosa del coniuge economicamente dominante che è sempre sintomatica, seppure in astratto, di inadempimenti futuri (si tratta di un periculum che avvicina molto lo strumento alla tutela per sequestro giudiziario, dove ha rilievo l’astrattezza del pericolo di danno).

Sfuma pure il fumus, ma non perché il giudice non conosca l’esistenza del diritto prima ancora di cautelarlo, semplicemente perché la misura è preceduta da una cognizione piena o sommaria esaurita (e che fonda il contributo già imposto dal giudice all'obbligato), all'interno della sentenza di separazione-divorzio o con il provvedimento presidenziale o del giudice istruttore. Perciò il giudice che concede la misura in esame non conosce del diritto solo perché è impossibile duplicare un accertamento già effettuato.

Anche dopo la novella del 2005, che è intervenuta sull'art. 669 - octies c.p.c. diminuendo il vincolo di strumentalità tra tutela cautelare e tutela di merito, per non rendere più necessario a pena di inefficacia la introduzione del giudizio a cognizione piena e la sua conclusione con un provvedimento di merito, il sequestro, tipica misura "conservativa" non è stato esentato dall'onere ed è rimasto fortemente influenzato dalla originaria strumentalità.

Ciò che non si verifica nel caso nostro, per la veduta diversità di presupposti e funzione, poiché la misura resta pienamente efficace, ancorché non seguita da un giudizio di merito (che non avrebbe senso alcuno per essersi già esaurito nella sentenza di separazione-divorzio o per essere in corso, nel caso si tratti di attuare una misura sommaria anticipatoria). Probabilmente il problema si può porre soltanto nel caso dell’art. 146 c.c., ove la misura ha carattere preliminare, in funzione del futuro accertamento degli obblighi previsti dagli artt. 143 e 146 (cfr. l’ultimo comma della disposizione richiamata). Qui, come Graziosi (op. cit., 242), ci sentiremo di ritenere necessario il rispetto dell’art. 669 – octies, 1° comma, c.p.c.

Peraltro l'esigenza postulata non è affatto o principalmente quella di conservare il patrimonio alla futura azione esecutiva, sia perché il creditore è già munito di un titolo esecutivo (la sentenza di separazione o il provvedimento sommario presidenziale) e potrebbe già avviare un pignoramento, sia per l'inapplicabilità dell'art. 686 c.p.c. sulla conversione del sequestro in pignoramento, per la già evidenziata preesistenza del titolo esecutivo (conf., Trib. Foggia 2 maggio 2000, in Riv. es., 2000, 343 con nota di Siracusano).

La misura perciò va inquadrata in una delle tante forme - sempre più diffuse nell'attuale sistema, solo che si pensi alle sanzioni civili applicabili a tutela dei provvedimenti di affidamento o di potestà genitoriale secondo l'art. 709 - ter, c.p.c. - di coercizione mediante esecuzione indiretta: l'obbligato subisce il sequestro parziale del suo patrimonio, non potendo efficacemente disporne sin tanto che non si esaurisca il suo obbligo contributivo, allo scopo di indurne uno spontaneo adempimento (conf. soprattutto Cass., 12 maggio 1998, n. 4776 cit.; Trib. Messina 7 maggio 1993, in Foro it., 1993, I, 1989).

Questa peculiarità non esclude – con il limite della compatibilità (già si è veduta l’incompatibilità dell’onere di introduzione del giudizio di merito una volta che il sequestro è autorizzato) – l’applicazione delle regole del processo cautelare uniforme (in senso contrario Graziosi, op. cit., 249 che richiamando l’art. 38, 2° e 3° comma, disp. att., c.c. preferisce un rinvio alla disciplina delle forme camerali, seguito da Cass., 5 febbraio 1988, n. 1261, in Corr. Giur., 1988, 612 ss.).

Della nostra opinione non è la giurisprudenza, nella denunciata visione tradizionale del sistema di tutela cautelare, affermandosi un indirizzo che nega l'applicabilità delle forme del processo cautelare uniforme, ai sensi dell'art. 669 - quaterdecies, e particolarmente della norma sulla reclamabilità (lettura assolutamente prevalente, cfr. fra le tante Trib. Catania 23 aprile 1993, in Dir. fam., 1994, 217 con nota critica di Bongiorno e Ziino e Trib. Messina 7 maggio 1993, cit.; più recentemente, Trib. Foggia 12 giugno 2000, Foro it., 2001, I, 2054 con nota critica di Cea; in senso sfavorevole isolata, Trib. Cagliari, 21 maggio 1998, ivi 1998, I, 2285 con nota adesiva di Cipriani; la dottrina è al contrario tendenzialmente favorevole all'ammissibilità). Ugualmente, per la mancanza di un accertamento idoneo al giudicato, è correttamente inammissibile il ricorso straordinario innanzi al giudice di legittimità, cfr. Cass., 19 febbraio 2003, n. 2479, in Fam. dir., 2003, 339.

La lettura che abbiamo cercato di offrire è diversa, pur espandendosi le forme cautelari ad ambiti nuovi, quale quello esecutivo ovvero delle misure coercitive, non è dubitabile che il legislatore abbia scelto le forme cautelari (in analogia, potremo dire, al processo possessorio che non è cautelare eppure fa uso delle forme cautelari e di cui non si è mai negata la estensione delle regole del processo cautelare uniforme laddove compatibili) e quindi alla relativa disciplina deve essere ricondotto l’istituto. Per questo riteniamo applicabili le disposizioni sul reclamo e sulla revoca e modifica, dettate rispettivamente dagli artt. 669 – terdecies e 669 – decies, c.p.c. (in senso contrario Graziosi, op. cit., 249, che in coerenza alla sua ricostruzione predilige il richiamo all’art. 739 c.p.c., ma nella sostanza il mezzo non è poi così differente se l’art. 669 – tercedies cit. fa richiamo alle forme del rito camerale).

La incompatibilità potrebbe cogliersi solo nell’ipotesi in cui la misura sia contenuta nella sentenza, poiché in tal caso il reclamo resta del tutto assorbito nel mezzo ordinario di impugnazione, ovvero nell’appello.

Quanto alla revoca e modifica si deve dire che la parte inadempiente potrà anche invocare i "giustificati motivi" che consentono una revoca della misura ex art. 156, 7° comma, c.c. Essi vengono a coincidere con l'offerta di idonee garanzie da parte dell'obbligato che fughino ogni concreta possibilità di inadempimento futuro. Si tratterà di una modifica che la parte può introdurre in sede di gravame (Cass., 11 ottobre 1983, n. 5887, in Giust.civ., 1984, I, 1569) o, in mancanza di pendenza del giudizio di merito, nelle forme dell'art. 710 c.p.c. Se la misura è data nell’ordinanza presidenziale, con l’istituto regolato nell’art. 709 c.p.c., in tale direzione derogativo per incompatibilità dell’art. 669 – decies c.p.c.. Se invece contenuto in un’ordinanza provvisoria del giudice istruttore è inquivocabilmente l’art. 669 – decies cit. ad essere applicato.

L’applicabilità delle forme del processo cautelare uniforme, con il limite della compatibilità, risolve un grave problema interpretativo sul rito, quando non pende un giudizio di merito e l’inadempimento si manifesta a seguito della tutela sommaria o ordinaria del credito di mantenimento.

A nostro avviso si applicano le regole del processo cautelare: quando pende il giudizio di merito, nel caso in cui l'inadempimento coincida con l'inottemperanza al provvedimento sommario del presidente e del giudice istruttore oppure, pende l'appello alla sentenza di separazione, consentendosi una domanda incidentale ex art. 669 – quater c.p.c.. In tutti questi casi infatti l'istanza potrà essere proposta incidentalmente e resa nelle forme dell'ordinanza dal giudice istruttore (in questo senso rinveniamo Trib. Torino 16 giugno 1986, in Dir. fam., 1986, 1110; Trib. Roma 15 ottobre 1975, in Giur. merito, 1976, 306; contra Trib. Milano 5 dicembre 1995, in Foro it., 1996, I, 1050 che preferisce una decisione collegiale e nella stessa direzione, Cass. 5 agosto 1988, n. 1261 in Corr. giur., 1988, 612) oppure della ordinanza pronunciata dal collegio se la questione sorge in sede di decisione o in sede di appello.

Se invece non pende un giudizio di merito, essendo l'inadempimento un fatto sopravvenuto, non vediamo controindicazioni a fare uso delle forme processuali del processo cautelare autonomo e non incidentale, con una istanza ex art. 669 – ter c.p.c. La giurisprudenza, si deve dire, rifiuta il richiamo alle forme cautelari e ritiene applicabili le forme dei mezzi di modifica delle condizioni di separazione, ovvero il rito camerale di cui all'art. 710 c.p.c. (in questa direzione Trib. Catania 28 aprile 1993, in Dir. fam. 1994, 217). Oppure per il caso della filiazione di fatto, un'ordinaria azione (ma proprio in questo caso si percepisce la maggiore utilità delle forme cautelari).

Qualche considerazione merita il presupposto individuato dalla legge nell'inadempimento. Non si deve pensare che esso riguardi solo l'obbligazione di corrispondere il contributo di mantenimento, ma qualunque violazione inerente, ivi compresa, ad esempio, la violazione dell'invito a costituire idonea garanzia reale e personale, secondo quanto ha ritenuto opportunamente Cass., 12 maggio 1998, n. 4776, cit. Questa indicazione interpretativa è estremamente suggestiva, poiché offre l'esatto inquadramento dell'istituto. Con un'eloquente gradualità il giudice invita l'obbligato a costituire la garanzia e solo qualora questi resti inadempiente pronuncia il sequestro, il cui effetto è perciò quello di imporre un vincolo parziale al patrimonio dell'obbligato per tutte le utilità esecutive che nel futuro si proporranno: una sorta di garanzia atipica giuridiziale.

Ugualmente il letterale limite del sequestro solo a parte del patrimonio è significativo. Tale peculiarità lo svincola evidentemente da una finalità meramente conservativa in funzione della tutela del credito e lo radica invece nell'ambito sanzionatorio e coercitivo.

La Corte costituzionale ha avuto occasione di estendere l'istituto al caso di figlio naturale (quindi al di fuori del matrimonio e del procedimento per separazione), con sentenza interpretativa di rigetto, cfr. Corte cost., 18 aprile 1997, n. 99, in Corr. giur., 1997, 713 ss.; al contributo convenuto in sede di separazione consensuale (Corte cost., 31 maggio 1983, n 144, in Foro it., 1983, I, 1493; Id, 19 gennaio 1987, n. 5, ivi 1987, I, 670) e al contributo fissato nel provvedimento sommario presidenziale, Corte cost. 19 luglio 1996, n. 258, in Foro it., 1996, I, 3603 con nota critica di Cipriani, quest'ultima di un certo interesse perché qualifica l'atipicità dell'istituto in linea con i citati orientamenti della S.C.

Questo inquadramento del sequestro concesso in occasione della separazione, esteso dalla Corte cost. a favore del figlio naturale e del coniuge nel matrimonio putativo e in generale in costanza di matrimonio e prima della separazione a tutela dell'obbligo generale di mantenimento ex art. 146, 3° comma, c.c., sembra non potersi ripetere per la simmetrica previsione del rito divorzile.

L'art. 8 u.c. della legge n. 898 del 1970 contiene una disciplina diversa: manca ogni limitazione quantitativa (il sequestro può essere concesso sull'intero patrimonio) e il presupposto non è più l'inadempimento ad un contributo accertato bensì una generale garanzia strumentale alla tutela dei contributi di mantenimento: l'assegno e il contributo a favore del figlio. Peraltro la dizione: "assicurare che siano soddisfatte e conservate le ragioni del creditore" sembra maggiormente fondare un intento cautelare che era meno evidente nella parallela disposizione del procedimento per separazione.

Peraltro l'intento cautelare anche sattisfattivo fa propendere per una misura cautelare non perfettamente coincidente con il sequestro, che ha funzione essenzialmente conservativa. Più oltre la norma parla di "somme sottoposte a sequestro e pignoramento" prevedendo una conseguenzialità che si giustifica solo con l'applicazione di istituti come la conversione del sequestro in pignoramento.

Tuttavia, nonostante la denunciata diversità letterale, non possiamo pensare per un verso ad un "doppione" della tutela per sequestro conservativo o per misura d'urgenza, poiché una duplicazione di ambiti di applicabilità è segno di grave irrazionalità del sistema e, per altro verso, propendere per la identità delle esigenze di tutela sottese alla peculiarità della situazione tutelata: dobbiamo quindi pensare ancora ad una misura coincidente con quella sanzionatoria e coercitiva che abbiamo incontrato nel procedimento per separazione.

Sembra tuttavia che, in difetto del verificarsi di un vero e proprio inadempimento, possa la misura fondarsi anche soltanto sul pericolo di inadempimento e quindi sia evidenziabile anche una funzione latamente cautelare dell'istituto.

Questo inquadramento, per quanto abbiamo già ritenuto in relazione al sequestro in sede di separazione, non esclude – salvo il limite della compatibilità – l’applicazione del regime cautelare ed in particolare, pur in mancanza di una declaratoria di incostituzionalità, come per l’art. 156, 6° comma, c.c., che la misura possa essere data dal g.i. a protezione dei provvedimenti presidenziali, applicandosi l’istanza cautelare in pendenza del processo di merito (art. 669 – quater, c.p.c.; conf. anche se non con la stessa motivazione, Trib. Messina 24 aprile 1997, in Fam. dir., 1998, 265 ss.; in senso contrario Graziosi, op. cit., 255 in linea con la ritenuta mancata applicazione della disciplina cautelare unforme).

6. La surrogazione nella prestazione periodica e continuativa

da parte di un terzo.

Ma è certamente l'istituto della cessione coatta del credito vantato dall'obbligato verso terzi a costituire lo strumento più efficace di tutela, innanzi ai limiti della tutela esecutiva imposti dal requisito della esigibilità del credito, sancito nella disciplina del titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c., che la rende meno efficace innanzi alle prestazioni future e alla loro necessaria continuità: con l'enorme dispendio di reiterate esecuzioni a tutela della parte di prestazione scaduta e rimasta inadempiuta.

Una soluzione potrebbe prospettarsi nell'ambito delle misure coercitive civili, astreintes o sanzioni civili in genere, ma la risposta del legislatore è su questo piano deludente, poiché tale tipo di misure sono concesse nell'ambito dell'art. 709 - ter c.p.c. esclusivamente all'ipotesi della tutela di diritti strettamente personali.

Per sopperire al problema il sistema propone invece misure esecutive vere e proprie (perciò non assimilabili né a sanzioni civili né a misure cautelari, conf. al fine di escluderne la reclamabilità Trib. Modena 13 aprile 1995, in Gius, 1995, 3374, né ad accertamenti decisori come tali non ricorribili per cassazione, così Cass. 27 aprile 2004, n. 3979) di grande efficacia, ma ancora una volta diversamente regolate nel processo per separazione rispetto al processo divorzile, ma anche al di fuori dei procedimenti della crisi.

Il processo per separazione, infatti, all'art. 156, 6° comma, c.c., regola innanzi all'inadempimento (sul quale non è dato al giudice compiere alcuna valutazione discrezionale, essendo il provvedimento dovuto innanzi ad una anche minima violazione o ritardo, cfr. Cass. 6 novembre 2006, n. 23668, in Foro it., 2006, anticipazioni e novità, 14) un "ordine" giudiziale ai terzi tenuti a corrispondere somme anche periodiche di denaro all'obbligato, affinché una parte di essa venga versata direttamente all'avente diritto (a tutela sia del coniuge che dei figli, cfr. Cass. 4 dicembre 1996, n. 10813, in Giur.it., 1997, I, 1, 1532). Il giudice in tal modo, con un ordine che ha portata per il futuro (e certamente questa è l'effetto più innovativo dell'istituto, poiché il pignoramento dei crediti può perfezionarsi solo per crediti già esigibili), costituisce un effetto giuridico assimilabile a quello della cessione del credito, grazie al quale l'adempimento si perfeziona soltanto verso l'avente diritto al contributo di mantenimento. La pronuncia compete al collegio o al giudice istruttore, a seconda che sia o meno giunta alla fase decisoria (cfr. App. Perugia 29 gennaio 1987, in Dir. fam., 1987, 659; Trib. Torino 16 giugno 1986, ivi, 1986, 1110; Trib. Roma 15 ottobre 1975, in Giur. merito, 1976, 306).

Il terzo debitore non viene coinvolto nel procedimento, per la ragione che sul piano sostanziale la cessione del credito si produce senza il consenso del debitore ceduto e per l'esclusività del contenzioso matrimoniale. Tuttavia può con un'autonoma azione di cognizione oppure in sede di opposizione alla esecuzione contestare la esistenza del credito oppure la sua dimensione, conservando integralmente le eccezioni tutte verso il suo creditore originario, secondo il regime della cessione. Il credito assegnato, infine, non deve necessariamente coincidere con un'erogazione periodica.

Una regola assai simile, anche se non perfettamente coincidente, la si trova, al di fuori della crisi familiare, anche nell'art. 148 c.c. Qui tuttavia è disciplinata in maniera peculiare la procedura: istanza al presidente, instaurazione del contraddittorio, acquisizione eventuale di sommarie informazioni e pronuncia con decreto, che viene notificato al debitore ed al terzo. Dalla notifica si provoca l'effetto di cessione/assegnazione del credito. La particolarità sta inoltre nelle forme con le quali il terzo può far valere le eccezioni spendibili nei confronti del debitore o del ex coniuge creditore: l'opposizione entro venti giorni dalla notifica regolata dalla disciplina dell'opposizione a decreto ingiuntivo, ai sensi dell'art. 148, 3° e 4° comma, c.c. Questa regolamentazione impone al terzo una reazione immediata, in difetto della quale si forma giudicato sull'esistenza del credito ceduto, secondo l'accertamento compiuto nel decreto presidenziale. Il debitore e il terzo, alla luce dell'ultimo comma del cit. art. 148, possono chiedere oltre il giudicato solo la modifica o la revoca del decreto, ma si tratterà di istanze giustificate da fatti o circostanze sopravvenute, alle quali non può opporsi il giudicato.

Questa è la disposizione a cui si può fare riferimento in via analogica al caso del figlio concepito nella famiglia di fatto, sia che la convivenza sia in atto, sia che non lo sia.

La regola trasferita nell'ambito del processo divorzile è ancora più deformalizzata ed agile, poiché esclude addirittura l'intervento del giudice e ammette l'avente diritto alla costituzione dell'effetto della surrogazione nel credito sul piano stragiudiziale (art. 8, 3° e 4° comma, legge n. 898 del 1970). Infatti la norma consente all'avente diritto di mettere in mora l'obbligato mediante raccomandata e, decorsi inutilmente trenta giorni, di notificare al terzo (identificato questa volta esclusivamente con chi sia tenuto a corrispondere periodicamente una somma di denaro: datore di lavoro, conduttore in un rapporto di locazione, cliente del lavoratore autonomo o dell'imprenditore legato da un rapporto continuativo e così via) il provvedimento che accerta il diritto del mantenimento, contestualmente ad un atto con il quale si invita il terzo a versare direttamente all'avente diritto alla prestazione di mantenimento la somma relativa (e notiziandone l'obbligato: sarebbe buona regola notificare anche a questi l'atto, ma è sufficiente una significazione anche stragiudiziale, poiché ciò che rileva ai fini dell'effetto di cessione del credito è la notifica al terzo). In tal modo non solo si crea un'effetto di cessione/assegnazione del credito, ma l'avente diritto ha addirittura azione esecutiva verso il terzo a sua volta inadempiente. Anche in tal caso il terzo, questa volta nella forma necessitata della opposizione alla esecuzione, avrà diritto a contestare l'esistenza o l'ammontare del credito ceduto formulando tutte le eccezioni opponibili al debitore.

Qualora, infine, il credito sia già stato pignorato, all'avente diritto non resta che partecipare, con un intervento, nell'esecuzione, essendo in proposito già munito di un titolo esecutivo, nella logica del concorso. Alla tutela del suo credito provvederà il giudice dell'esecuzione (comma 5), considerando anche che i crediti di mantenimento godono di un privilegio legale sui mobili ai sensi degli artt. 2751 n. 4 e 2778 n. 17 c.c.

Com'è possibile evidenziare, pur non essendo violati i diritti del terzo ceduto (il quale ha le stesse prerogative del debitore ceduto nella cessione del credito), l'istituto manifesta un'efficacia ben diversa dall'ordinario pignoramento dei crediti, sia per la sua proiezione nel futuro (il pagamento periodico consente all'avente diritto di essere soddisfatto anche per le prestazioni ancora non esigibili) e sia per la immediatezza dell'effetto della assegnazione e/o cessione, che nella legge divorzile si produce addirittura sul piano stragiudiziale (è da domandarsi se a tale modello non possano attingere i crediti a prestazione periodica in genere a seguito di un pignoramento).

Qualche dubbio pone l’istituto in relazione alle esigenze del concorso, solo attenuate dalla natura privilegiata del credito al mantenimento (rispetto al quale può concorrere qualche altro credito privilegiato). I creditori concorrenti non sembrano avere tutela diversa dall’introdurre un’azione di accertamento, con la quale l’effetto di assegnazione sia prodotto in proporzione anche alla tutela della propria posizione (forse la previsione di una forma di tutela speciale incidentale o autonoma avrebbe potuto essere introdotta da parte del legislatore).

La cessione coatta, nonostante la lacuna dell'art. 156, 3° comma c.c. (il quale però significativamente ammette una cessione solo di parte del credito, ma in senso contrario v. Cass. 2 dicembre 1998, n. 12204, in Giust. civ., 1999, I, 2088, che ammette una cessione totale; conf. invece Trib. Modena 5 febbraio 1999, in Fam. dir., 1999, 165 con nota adesiva di De Marzo) e grazie alla espressa previsione dell'art. 8, 6° comma legge n. 898 del 1970, non esclude l'applicabilità del regime dei limiti alla pignorabilità dei crediti, essendo essi - per ragioni alimentari - pignorabili sino a quota pari alla metà, anche al fine di non privare del tutto dei mezzi di sostentamento l'obbligato (così Trib. Torino 16 giugno 1986, in Dir. fam. 1986, 1110).

Si deve da ultimo evidenziare come grazie ad alcuni importanti interventi della Corte costituzionale, gli esaminati istituti godano oggi di un maggiore ambito di applicabilità perché ammessi anche in sede di separazione consensuale (Corte cost. nn. 143/1983 e 51/1987, cit.) e anche a tutela dei crediti accertati dai provvedimenti diversi dalla sentenza, come le ordinanze presidenziali o del giudice istruttore, diventando in tal modo prerogativa anche dei provvedimenti anticipatori nelle more del giudizio sommario o di merito (per l'art. 156 c.c., Corte cost. nn. 278/1994 e 258/1994, cit.). Qualche dubbio, quanto a quest'ultimo aspetto, può residuare in relazione al processo divorzile, ma non pare ipotizzabile salvo investirne nuovamente la Corte costituzionale una diversità di trattamento di situazioni identiche (in tal senso Trib. Messina 24 aprile 1997, in Fam. dir., 1998, 265).

Infine, come per ogni misura nell'ambito del processo di famiglia, sia essa cognitiva come anche cautelare ed esecutiva, la conservazione dei suoi effetti si propone rebus sic stantibus, come esplicitamente evidenzia l'art. 156, 7° comma, c.c. Ne consegue, che é possibile revocare o modificare gli effetti delle misure in sede di modifica ex artt. 710 e art. 9, cit., se sono dettate dalla sentenza, oppure in sede di revoca e modifica della misura anticipatoria del presidente e del giudice istruttore negli altri casi. Ovviamente in sede di cognizione ordinaria nel caso del figlio nato nel contesto di una famiglia di fatto. Qualora la sentenza che conclude il giudizio di separazione e divorzio non contempli le misure, è inevitabile che la domanda dell'avente diritto debba essere formulata in sede di modifica e revisione delle disposizioni di separazione e divorzio, ai sensi ancora degli artt. 710 e 9 citt., trattandosi di integrare (e quindi modificare) i contenuti della sentenza finale. In tal caso è necessario agire con ricorso innanzi al collegio del tribunale, il quale pronuncia con rito camerale.

7. La tutela penale del contributo.

Del tutto avulsa dall’ambito della relazione, ma che per completezza merita attenta considerazione, sono le misure coercitive di natura penale, dall’art. 570, all’art. 21 della legge m. 74 del 1987 che ha introdotto l’art. 12 sexies nella legge divorzile, sino alla vasta latitudine dell’art. 3 della legge n. 54 de 2006, dovuta al successivo art. 4 (tutela della famiglia di fatto, dello scioglimento e della invalidità).

Questa evoluzione normativa tuttavia denuncia una tendenza del legislatore, quella di relegare alla tutela penale l’esecuzione dei provvedimenti relativi ai crediti di mantenimento e quella di affidare a misure coercitive private i soli provvedimenti personali di affidamento o affidamento condiviso.

Tendenza che chi ha a cuore la effettività della tutela non può vedere positivamente, sia per gli scarsi risultati della tutela penale che confluisce assai spesso in archiviazioni disattente, per la scarsa sensibilità del titolare dell’azione e per una certa interpretazione restrittiva delle fattispecie, sia peggio ancora in condoni o amnistie, per cui l’auspicio del civilista è che si continui a sperimentare la via delle misure coercitive in forma cautelare, sulla scia dei sequestri degli artt. 146, 156 e 8 citt.