02/10/08 Camera Deputati
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La Camera dei Deputati ha approvato il 2 ottobre 2008 il Disegno di Legge n. 1441-bis recante "Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, nonché in materia di processo civile" e collegato alla Finanziaria 2009.

In particolare, il provvedimento - che passa ora all'esame del Senato - contiene:

* riforma del processo civile (modifiche al codice di procedura civile);

* delega al Governo per l'adozione di norme istitutive della mediazione e della conciliazione in materia civile e commerciale;

Il parere del CSM by Claudio Cecchella
Il testo del disegnodi legge n. 1441-bis by Claudio Cecchella

Il parere del CSM

1. Il presente parere ha per oggetto i capi VIII e VIII bis del disegno di legge n. 1441 bis A Camera dei deputati («Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria») nel testo trasmesso all’aula a seguito di deliberazione 24 settembre 2008 delle Commissioni permanenti I e V. A differenza di quanto farebbe pensare la rubrica, il disegno di legge contiene infatti, nei capi sopra citati (articoli 52-64), numerose disposizioni recanti rilevanti modifiche al codice di procedura civile (dal primo al quarto libro) e alla normativa penalistica in tema di spese di giustizia e una delega al Governo per l’adozione di norme istitutive della mediazione e della conciliazione in materia civile e commerciale.

Il testo a cui si fa riferimento è stato profondamente emendato rispetto a quello originario (presentato alla Camera il 2 luglio 2008) e ad esso occorre fare riferimento – conformemente a quanto ritenuto dal Consiglio superiore in casi analoghi – al fine di evitare di offrire al dibattito un contributo superato dalla modifiche medio tempore intervenute. La conseguente ristrettezza dei tempi – gli ultimi emendamenti sono stati presentati il 24 settembre e la richiesta di parere del ministro è pervenuta il 29 settembre – preclude oggi al Consiglio un esame analitico, imponendogli, al fine di intervenire mentre l’iter parlamentare è ancora in corso, di esprimersi esclusivamente con osservazioni generali sui punti di maggior rilievo concernenti le modifiche al codice di procedura civile (riservando a un ulteriore parere, ove i tempi del dibattito parlamentare lo consentano, l’analisi dei profili relativi alla mediazione e conciliazione e alle spese di giustizia). L’analisi che segue è, inoltre, limitata – in ossequio al dato normativo e alla costante prassi consiliare – ai profili riguardanti l’ordinamento giudiziario, l'organizzazione e il funzionamento della giustizia e la disciplina dei diritti fondamentali costituzionalmente previsti.

2. Le modifiche alla disciplina processuale introdotte con il disegno di legge sono, in estrema sintesi, le seguenti:

a1) l'art. 52, comma 1, modifica l'art. 7 del codice di rito, relativo alla competenza per materia e per valore del giudice di pace, disponendo che la competenza passi da euro 2.582,28 a euro 5000,00 per le cause relative a beni mobili e da euro 15.493,71 a euro 20.000,00 per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti;

a2) l'art. 52, comma 2, modifica l’articolo 38, commi primo e secondo, c.p.c. unificando la disciplina relativa all’eccezione di incompetenza che dovrebbe essere dedotta a pena di decadenza con la comparsa di costituzione di risposta “tempestivamente depositata” anche nel caso di incompetenza per materia, per valore e per territorio inderogabile. L'eccezione si avrebbe per non proposta in caso di mancata indicazione del giudice che la parte ritenga competente. Come nella disciplina vigente, l’adesione delle parti costituite all’indicazione del convenuto radicherebbe la competenza del giudice indicato come competente solo nell’ipotesi di competenza territoriale derogabile;

a3) il comma 7 dell’articolo 52 introduce, dopo il secondo comma dell’art. 51 c.p.c, una nuova ipotesi di astensione con riguardo al giudice che sia «chiamato nuovamente a conoscere in sede di reclamo o di opposizione o in altra sede, di un proprio provvedimento, anche relativo a procedimenti esecutivi o concorsuali»;

a4) i commi 11, 12 e 13 dell’art. 52 incidono sulla disciplina delle spese e della responsabilità aggravata. Il comma 11 modifica l’articolo 91, primo comma, c.p.c. – introducendo una specifica disciplina correlata alla conciliazione giudiziale – e prevede che il giudice, se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte, che abbia rifiutato senza giustificato motivo la conciliazione, al pagamento delle spese del processo, salva possibilità di compensazione ai sensi dell’art. 92 c.p.c. Il comma 12 modifica l’art. 92, comma secondo, c.p.c. ancorando la possibilità di compensazione – al di fuori dell’ipotesi di soccombenza reciproca – alla ricorrenza di “gravi ed eccezionali ragioni” da indicare espressamente nella motivazione, ciò che potrebbe avere effetti dissuasivi quanto all’inizio della lite o alla resistenza in giudizio. Il comma 13 prevede che in ogni caso il giudice, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'articolo 91, anche d'ufficio può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, non inferiore alla metà e non superiore al doppio dei massimi tariffari;

a5) il comma 14 dell’art. 52 estende al giudizio di merito la previsione già contenuta, per il giudizio di cassazione, nell’art. 384, terzo comma c.p.c., come novellato dal d.lgs. n. 40/2006, attuando il principio del contraddittorio sulle questioni rilevate di ufficio. La nuova disposizione è inserita al secondo comma dell’articolo 101 c.p.c. e si collega all’articolo 183, terzo comma, c.p.c. che impone al giudice di indicare alle parti le questioni rilevabili di ufficio fin dalla prima udienza di trattazione;

a6) il comma 15 dell’art. 52 modifica l’art. 115 c.p.c., stabilisce che il giudice ponga a fondamento della decisione anche i fatti “ammessi o non contestati”, codificando un pacifico principio informatore del processo civile;

a7) i commi 18 dell’art. 52 ed il comma 3 dell’art. 57 semplificano la redazione dei provvedimenti, espungendo dall’art. 132, secondo comma n. 4 c.p.c. la previsione «dello svolgimento del processo» come requisito autonomo della sentenza, e stabilendo – con una modifica dell’articolo 118, primo comma, disp. att. c.p.c. - che nel caso di domande manifestamente infondate o infondate la “succinta” motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo, ovvero, se del caso, a precedenti conformi;

a8) il comma 19 dell’art. 52 modifica l’articolo 153 c.p.c., relativo ai termini perentori, e consente la rimessione in termini per causa non imputabile. In conseguenza della generalizzazione dell’istituto della rimessione in termini, l’articolo 53, comma 4 del disegno abroga l’articolo 184-bis c.p.c.;

a9) il comma 1 dell’art. 53 semplifica la notificazione dell'impugnazione consentendo che la stessa avvenga con consegna di una sola copia dell’atto al difensore di più parti;

a10) il comma 2 dell’art 53 introduce alcune modifiche all’articolo 182 c.p.c., prevedendo la possibilità di sanatoria dei vizi di rappresentanza nonché l’efficacia retroattiva di tale sanatoria (come accade per tutti i difetti sanabili dei vizi dei presupposti processuali, dopo la sentenza n. 77/2007 della Corte costituzionale), consentendo così il recupero degli atti e impedendo il regresso del processo;

a11) il comma 3 dell’art. 53, con disposizione coerente con l’obiettivo dell’accelerazione del processo, prevede che all’udienza di prima trattazione, di cui all’art. 183 c.p.c., il giudice conceda i termini richiesti dalle parti solo se sussistano gravi motivi;

a12) i commi 5 e 6 dell’art 53 riguardano la consulenza tecnica. Le modifiche all’articolo 191 c.p.c. anticipano la formulazione dei quesiti alla pronuncia dell’ordinanza ammissiva della consulenza stessa; il nuovo articolo 195 c.p.c. stabilisce che la relazione debba essere depositata in cancelleria prima che si svolga la successiva udienza, in modo che le parti ne prendano visione e possano depositare, sempre anteriormente a detta udienza, memorie contenenti le osservazioni alla relazione. Si evita così la celebrazione di un’udienza, destinata unicamente a concedere alle parti un termine per l’esame della relazione;

a13) il comma 7 dell’art. 53 introduce la prova testimoniale scritta. Detta prova è disposta d’ufficio dal giudice, sentite le parti, “avuto particolare riguardo all'oggetto della causa”. Il giudice, esaminate le risposte, può sempre disporre che il testimone sia chiamato a deporre davanti a lui o davanti al giudice delegato. Per dare attuazione a tale disposizione, il comma 1 dell’art 57 introduce l’art. 103 bis disp. att., che prevede il «modello di testimonianza», contenente anche indicazioni circa l’assunzione delle eventuali responsabilità del teste ai sensi dell’art. 251 c.p.c. e l’assenza di interesse nella causa;

a14) il comma 9 dell’art. 53 limita ad un massimo di tre mesi la possibilità di sospensione del processo per una sola volta e su istanza delle parti, mentre i successivi commi 10, 11 e 12 riducono a tre mesi i termini rispettivamente previsti dall’art. 297, dall’articolo 305 c.p.c. e dall’articolo 307, primo e terzo comma c.p.c.;

a15) il comma 12 lett. c modifica il quarto e ultimo comma dell’articolo 307 c.p.c. Come già avveniva nella disciplina processuale anteriore al 1950, si prevede la rilevabilità di ufficio dell’estinzione, da pronunciare con ordinanza. Poiché l’articolo 308 c.p.c. non viene modificato (e, dunque, se la decisione è affidata al collegio, l’ordinanza del giudice istruttore resta reclamabile innanzi a quest’ultimo, che pronuncia sentenza se conferma l’estinzione dichiarata dal giudice istruttore) resterà da chiarire cosa accade se l’estinzione venga pronunciata dal giudice monocratico, oppure dal collegio in sede di decisione. In ogni caso poiché l’ordinanza dichiarativa dell’estinzione chiude il processo, essa è comunque impugnabile come se fosse una sentenza: la modifica sembrerebbe quindi esclusivamente idonea a cambiare la forma e non il regime giuridico dell’atto;

a16) il successivo comma 14 recepisce la più recente giurisprudenza della Cassazione in materia di produzione di nuovi mezzi di prova e nuovi documenti, prevedendo che i primi debbono essere contenuti nell’atto di impugnazione a pena di inammissibilità (Cass. 31 maggio 2006 n. 12984; Cass. 14 marzo 2006 n. 5445) e che i secondi soggiacciono allo stesso criterio di ammissione dei mezzi di prova costituendi (Cass. 20 aprile 2005 n. 8203). Non è stata invece recepita la giurisprudenza in materia di motivi di appello e quindi la previsione che i motivi di appello debbano essere contenuti nell’atto di impugnazione a pena di inammissibilità (Cass. 31 maggio 2006 n. 12984; Cass. 14 marzo 2006 n. 5445);

a17) il comma 15 dell’articolo 53 modifica l’articolo 353 c.p.c. con riduzione a tre mesi del termine per la riassunzione mentre il successivo comma 17 riduce detto termine a tre mesi in sede di rinvio;

a18) il comma 17 dell’art. 53 abbrevia il termine lungo per impugnare la sentenza, riducendolo da un anno a sei mesi;

a19) il comma 1 dell’art. 53 bis introduce l’art. 339 bis che estende l’appellabilità a tutti i provvedimenti pronunciati in primo grado aventi natura decisoria. Ciò (a parte i dubbi che la formulazione della norma potrebbe determinare quanto all’ambito effettivo della sua applicabilità) potrà forse recare un sollievo per il giudizio di cassazione, ma determinerà un pesantissimo aggravio per gli uffici giudiziari d’appello. già oggi al limite del collasso, anche a causa della mole di contenzioso spesso relativa a controversie di scarso valore;

a20) il comma 2 dell’art. 53 bis introduce un filtro all’ammissibilità dei ricorsi per Cassazione. L’art. 360 bis c.p.c. prevede infatti che la Corte di Cassazione, con ordinanza non impugnabile resa in camera di consiglio da un collegio di tre magistrati, decide sull’ammissibilità del ricorso proposto alla Suprema Corte ai sensi dell’art. 360 c.p.c. Secondo tale disposizione il ricorso è dichiarato ammissibile quando: a) il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo difforme da precedenti decisioni della Corte; b) il ricorso ha per oggetto una questione nuova o una questione sulla quale la Corte ritiene di pronunciarsi per confermare o mutare il proprio orientamento ovvero quando esistono contrastanti orientamenti nella giurisprudenza della Corte; c) quando appare fondata la censura relativa a violazione dei principi regolatori del giusto processo; d) quando ricorrono i presupposti per una pronuncia ai sensi dell’art. 363;

a21) il comma 1 dell’art. 54 introduce l’esecuzione indiretta degli obblighi di fare infungibili e degli obblighi di non fare con il nuovo art. 614 bis. Il giudice con il provvedimento che condanna ad un obbligo di fare infungibile o di non fare fissa la somma dovuta all’avente diritto per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata ovvero ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. La disposizione non si applica nelle cause di lavoro, con una ingiustificata esclusione anche delle fattispecie (che più di altre meriterebbero invece di essere presidiate) di condanna a favore del lavoratore. A parte tale pur non secondario rilievo, si tratta di disposizione idonea a ridurre il contenzioso determinato dalla violazione degli obblighi contenuti in pronunce giudiziali. La previsione secondo la quale il provvedimento non costituisce titolo esecutivo per la riscossione delle somme elide tuttavia gran parte delle potenzialità di accelerata risoluzione delle controversie connesse alla violazione degli obblighi in questione;

a22) l’art. 55, comma 1, modifica l’articolo 669-octies c.p.c., stabilendo espressamente che siano liquidate le spese, quando sia concesso un provvedimento cautelare anticipatorio;

a23) il comma 1 dell’art. 56 introduce nel titolo I del libro IV del c.p.c., un capo III – bis e l’articolo 702-bis relativo al procedimento sommario di cognizione, destinato alla rapida formazione non soltanto di un titolo esecutivo, ma anche di una pronuncia con effetti di giudicato;

a24) l’art 58, comma 1, abroga l’art. 3 legge n. 102/2006, in forza della quale alle cause relative al risarcimento dei danni per morte o lesioni conseguenti a incidenti stradali si applica il rito del lavoro.

3. Ciò premesso è possibile addentrarsi nei profili valutativi, limitati, in conformità a quanto si è detto in esordio, agli aspetti di maggior rilevanza anche per le ricadute sulla organizzazione e il funzionamento del servizio giustizia.

Il disegno di legge introduce misure di razionalizzazione, semplificazione e speditezza del processo di indubbio peso. In particolare meritano di essere positivamente segnalate in questa prospettiva: l'unificazione della disciplina relativa all'eccezione e al rilievo d'ufficio dell'incompetenza; alcune previsioni sulle spese processuali, sulla responsabilità aggravata e sull'introduzione di mezzi di coercizione indiretta per contrastare l'uso dilatorio e l'abuso del processo; la riduzione di alcuni termini e l'inserimento di alcune norme a maggior tutela dell'attività difensiva e del contraddittorio; una ulteriore semplificazione della motivazione delle sentenze; l'introduzione di un procedimento sommario di cognizione per le cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica.

Si tratta, peraltro, di misure ancora parziali pur in presenza della più volte segnalata necessità di una riforma organica dell’intero sistema processuale. Ne costituisce esempio l’abrogazione dell'art. 3 della legge 21 febbraio 2006, n. 102 (relativa alla applicazione del rito del lavoro alle cause di risarcimento danni per morte e lesioni conseguenti ad incidenti stradali), mentre resta in vita il rito commerciale e societario anche nelle parti di più conclamata inefficienza, con rinuncia persino al più limitato intervento di renderlo meramente eventuale, sulla falsariga dell'art. 70 ter disp. att. del codice di procedura civile. La stessa importante previsione di un procedimento sommario di cognizione, che pure aspira a configurarsi quale utile strumento di duttilità interna al processo, come è messo in luce dalla forma introduttiva della domanda e dalla deformalizzazione che ne caratterizza lo svolgimento, rischia di rivelarsi un rimedio meno efficace di quanto si vorrebbe se non proprio un doppione del processo ordinario di cognizione. Ben più proficuo sarebbe invece prevedere l'affiancamento al rito tendenzialmente unico, definibile con sentenza appellabile, di un rito sommario, definibile con ordinanza reclamabile dinanzi al tribunale in composizione collegiale, e con possibilità di conversione del rito sommario in ordinario su richiesta delle parti o previa valutazione del giudice.

Scendendo ulteriormente nello specifico, va rilevato che:

b1) suscita gravi perplessità (tanto più in mancanza di un'organica revisione del diritto delle prove) la introduzione di «testimonianze scritte», secondo l’indicazione già contenute nel disegno di legge delega per la riforma del codice di procedura civile approvato dal Consiglio dei ministri nella seduta del 23 ottobre 2003. Tale introduzione appare di dubbia compatibilità con il principio secondo cui prova testimoniale, per il nostro ordinamento, è solo quella che si forma nel processo avanti al giudice, dato che l’art. 111 della Costituzione presuppone lo svolgimento innanzi al giudice terzo ed imparziale del(l’intero) procedimento, e non di singole fasi o segmenti di esso. Si aggiunga che anche il suo effetto di semplificazione è assai discutibile, essendo agevolmente prevedibile l’emergere di contestazioni circa la corrispondenza delle dichiarazioni testimoniali ai quesiti proposti, o circa la necessità di sentire direttamente i testimoni per chiarimenti o specificazioni o per risolvere contrasti, con conseguenti effetti negativi sulla durata del processo. Inoltre, non sono state considerate le implicazioni derivanti dal ricorso alla testimonianze scritta nel processo contumaciale ove la parte contumace potrebbe essere condannata sulla base di testimonianze rese senza contraddittorio e raccolte fuori dal processo e non davanti al giudice. L’introduzione della testimonianza scritta contrasta infine con i principi del sistema processuale italiano in base ai quali sia l’atto notorio che la dichiarazione sostituiva del medesimo non costituiscono fonti legali di prova, ma devono essere considerati, alla stregua dei documenti, il cui contenuto può essere liberamente valutato dal giudice;

b2) l’aumento di competenza per valore del giudice di pace, più contenuto rispetto alle previsioni originarie del disegno di legge, richiederebbe, peraltro, una preventiva analisi in ordine all'impatto di una simile modificazione. Va inoltre segnalato che continuano a restare irrisolti i problemi legati al riassetto della magistratura onoraria, al potenziamento degli strumenti di formazione professionale, alla rigorosa valutazione e verifica periodica del grado di professionalità acquisito, ai criteri di gestione organizzativa dei relativi uffici;

b3) in contrasto con lo scopo di conferire al processo maggior celerità, viene reintrodotto il regolamento di competenza quale mezzo di impugnazione, uno strumento che continua ad essere usato spesso a scopo meramente dilatorio e che il testo originario del disegno di legge (sulla falsariga di quanto già previsto nel progetto presentato nella precedente legislatura) si proponeva di abolire introducendo in suo luogo un procedimento incidentale interno al fine di risolvere le relative questioni;

b4) la disciplina della nuova ipotesi di astensione di cui al novellato art. 51, comma 3, c.p.c., nella parte in cui prevede che l'autorizzazione all'astensione possa essere negata se non è possibile designare un giudice diverso, non appare conforme ai principi del giusto processo di cui all’art. 111 della Costituzione e ai principi di cui all’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Infatti il giudice «chiamato nuovamente a conoscere in sede di reclamo o di opposizione o in altra sede di un proprio provvedimento», secondo il costante insegnamento della Corte Europea dei diritti dell'uomo e della Corte costituzionale, non è infatti un giudice “terzo” e la questione circa la mancanza di terzietà non può essere superata in ragione di esigenze organizzative.

4. Di particolare rilievo sono le previsioni mediante le quali, accanto alla generalizzazione dell'appello per «tutti i provvedimenti pronunciati in primo grado aventi natura decisoria», viene introdotto, per il giudizio di cassazione, un filtro di ammissibilità teso come detto a limitare il giudizio della Suprema Corte ai casi in cui «a) il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo difforme da precedenti decisioni dalla Corte»; «b) il ricorso ha per oggetto una questione nuova o una questione sulla quale la Corte ritiene di pronunciarsi per confermare o mutare il proprio orientamento ovvero quando esistono contrastanti orientamenti nella giurisprudenza della Corte»; «c) appare fondata la censura relativa a violazione dei principi regolatori del giusto processo»; «d) ricorrono i presupposti per una pronuncia ai sensi dell'articolo 363».

Quanto al giudizio di appello, se si vuole accedere a una sua estensione o generalizzazione, non si può prescindere dall’attivazione di misure di “sostegno” del giudizio di secondo grado e, prima ancora, dal recupero di una visione unitaria e complessiva del processo. In difetto tutto rischia di ridursi a uno scarsamente utile gioco “interno” di ridistribuzione e di trasferimento delle disfunzioni da un “grado” del giudizio all'altro, con conseguente aggravio di lavoro proprio delle corti d’appello che già rappresentano la strozzatura più rilevante nello sviluppo del processo per numero di procedimenti pendenti e tempi di definizione degli stessi. Una modifica così netta non può inoltre prescindere da una maggior chiarezza in ordine alla portata effettiva della previsione secondo cui diventano appellabili non solo le sentenze ma, più in generale, tutti i provvedimenti aventi natura decisoria.

Quanto al nuovo “filtro” con cui viene ripresa – sia pure con una formulazione migliore – la proposta già avanzata nell'ambito del decreto legge n. 112/2008, e che aveva suscitato ferma opposizione anche del Consiglio nazionale forense, il condivisibile (e condiviso) intento di porre rimedio alla insostenibile mole di ricorsi che incide pesantemente sulla funzionalità della Corte rischia di provocare soluzioni discutibili.

Già colpisce pensare a un giudizio costruito in termini di ammissibilità, anziché di inammissibilità; e ancor di più colpisce il fatto che in questo modo verrebbe ricondotto nella categoria dell'ammissibilità/inammissibilità ciò che propriamente attiene all’ambito della manifesta fondatezza/infondatezza del ricorso (cui nella disciplina attuale già si provvede con il procedimento di cui agli articoli 375 e 380 bis c.p.c.). Ma simili strappi sul terreno delle categorie concettuali potrebbero forse riuscire accettabili se non fosse che ad essi si accompagna il rischio di alterazioni profonde sul piano sostanziale della tutela e su quello del ruolo istituzionale della Corte. I margini di opinabilità/discrezionalità insiti nella identificazione di ciò che può considerarsi deciso in modo “conforme” o “difforme” da precedenti decisioni della Corte, di ciò che può ritenersi profilo “nuovo” o semplice riedizione di tesi già esaminate in altro giudizio, dei criteri che possono indurre in un caso ad approfondire e in un altro a decidere di non farlo, dei parametri in base ai quali può ritenersi fondata – ai fini dell'ammissibilità del ricorso – la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo, devono indurre a meditati approfondimenti prima di introdurre formule che l'esperienza potrebbe presto consigliare di abbandonare. E ciò tanto più in considerazione dei dubbi che la formulazione del testo apre sullo stesso piano procedimentale, non essendo tra l'altro chiaro in che modo e in base a quali criteri debba essere costituito il collegio cui è devoluto il vaglio di ammissibilità: se tale collegio (composto da tre magistrati, e non da cinque come tutti i collegi in cassazione) debba essere incardinato all'interno di ciascuna sezione o a “valle” di esse; se il giudizio di ammissibilità sia vincolante per il collegio che deciderà nel merito il ricorso, essendo comunque da ritenere che la dichiarazione di ammissibilità sotto i profili indicati nell'art. 360 bis non sia e non possa essere di ostacolo alla dichiarazione di inammissibilità, da parte del collegio “ordinario”, per profili diversi, così come è ben possibile che la sentenza impugnata contenga più statuizioni alcune soltanto da ritenere ricorribili in base al nuovo testo, profilandosi anche per questa via uno sdoppiamento e una moltiplicazione di tempi e di “passaggi” di giudizi che è esattamente l'opposto di ciò di cui ha bisogno la cassazione.

Un filtro per il giudizio di cassazione è certamente necessario come riconosciuto da tutti gli operatori, ma sarebbe più opportuno demandarlo a percorsi differenziati nella trattazione dei ricorsi, nella forma dei provvedimenti e nella motivazione delle decisioni, ricercando anche sul terreno organizzativo quei “filtri” che sul terreno processuale difficilmente potrebbero essere attuati prescindendo da una visione generale e unitaria del processo, e dall'insieme di bisogni in tema di risorse e di strutture.