la relazione. Appunti per un modello unitario e razionale della tutela giurisdizionale dei diritti in materia di famigliaAppunti per un modello unitario e razionale della tutela
giurisdizionale dei diritti in materia di famiglia
Prof. Avv. CLAUDIO CECCHELLA
(Relazione al Forum nazionale
dell’Osservatorio sul diritto di famiglia
Roma, 20-21 novembre 2009)
1. Le suggestioni provenienti dal diritto sostanziale.
Come sempre il processo deve muovere, anche in sede di formazione legislativa e riforma, da un’attenta ponderazione delle suggestioni provenienti dal diritto sostanziale.
Sotto questo particolare profilo, e qui il compito del processualista è molto facilitato, le situazioni tutelate,
siano esse personali, come l’affidamento, la potestà;
siano esse patrimoniali, come il mantenimento, l’assegno,
siano esse miste, come l’assegnazione della casa
hanno peculiarità comuni, nonostante l’apparente diversità posta dalla natura di diritti personali e diritti economici.
a) Quelle personali rendono irrinunciabile una tutela urgente e in forma specifica: sulla urgenze e sulla effettività si consuma integralmente la tutela giurisdizionale dei diritti.
La dinamica temporale della fattispecie presupposta dal diritto, soggetta ad una grande mutevolezza dei fatti e delle circostanze rilevanti, atteggia in modo assai peculiare l’urgenza, poiché essa assume i caratteri anche dell’urgenza dell’adattamento alla mutevolezza nel tempo dei fatti e delle circostanze.
Quindi il sistema giurisdizionale che rispetti la sua funzione strumentale deve offrire una tutela urgente anticipatoria, capace di adattarsi alla fattispecie con tempestività e necessitante di una tutela specifica, dove l’interesse deve essere tutelato in via diretta e non indiretta o per equivalente.
b) Quelle patrimoniali, coincidenti con diritti di credito (il credito al mantenimento o all’assegno), sono solo apparentemente diverse, poiché tutelano in realtà interessi di natura profondamente personale (la vita, la dignità, l’onore), in via indiretta, e perciò anch’esse mutuano dalle prime la necessità di una tutela d’urgenza, da adattare alle evoluzione della fattispecie nel tempo, e necessitano di una tutela in forma specifica (non potendo la tutela mediante le forme ordinarie del processo esecutivo sostituire per equivalente quanto possa raggiungersi attraverso l’adempimento spontaneo dell’obbligato).
c) Stesse caratteristiche hanno le situazioni miste, come l’assegnazione della casa coniugale che soddisfano interessi indubbiamente personali con evidenti ricadute patrimoniali, dove ugualmente si impone un’esigenza di tutela d’urgenza contro gli atti di disposizione dell’obbligato che possono annientare alla radice il diritto, come anche un adeguamento della misura alle evoluzioni della fattispecie nel tempo e un’effettività che può essere raggiunta solo in forma specifica.
In conclusione le principali categorie di diritti che sorgono nella crisi della famiglia e nel suo scioglimento rendono necessaria una tutela che risponda ad esigenze
a) di urgenza,
b) di urgente adattamento alla fattispecie,
d) di effettività.
2. La risposta dell’ordinamento. La tutela anticipatoria.
L’ordinamento processuale, in una lenta evoluzione, progredita mediante interventi settoriali e incoerenti, offre soluzioni di diritto positivo che necessitano di una riscrittura nella direzione di una generalizzazione di istituti, spesso concepiti per questo o quel diritto, tanto da avere in alcuni casi reso necessario in alcuni casi l’intervento del giudice della legittimità costituzionale delle leggi e in altri di un’interpretazione estensiva e costituzionalmente coordinata del giudice di legittimità.
a) l’esigenza postulata dall’urgenza di una anticipazione degli effetti della sentenza finale assume peculiarità tutte particolari, poiché il carattere immanente del periculum da ritardo della tutela, snatura il profilo tipico della tutela cautelare per diluirla verso misure anticipatorie dove la cognizione della irreparabilità e gravità del danno assume i caratteri dell’irrilevanza tanto è immanente nelle situazioni implicate.
Questo aspetto molto evidente all’indomani della introduzione del processo cautelare uniforme, è oggi fortemente stemperato dalla autonomia che assume oggi, dopo la riscrittura dell’art. 669- octies c.p.c. sulla tutela cautelare anticipatoria, ormai liberata dai nessi necessario con il susseguente giudizio di merito.
La risposta sono evidentemente i provvedimenti presidenziali, all’esaurimento della fase sommaria, nella duplice fase sommaria-ordinaria del processo per separazione e divorzio, i quali sono destinati ad anticipare gli effetti della sentenza finale in tutti i suoi possibili contenuti, dall’affidamento, al mantenimento o assegno, all’assegnazione della casa coniugale. La peculiarità è poi di misure che non giungono mai alla stabilità del giudicato, ma conservano nel tempo la loro efficacia a prescindere dalla prosecuzione o meno del giudizio di merito, fino a revoca o modifica (art. 189 disp. att. c.p.c.).
Tuttavia questa tutela si manifesta come rispondente all’esigenza postulata dai diritti da tutelare solo nella famiglia legittima e in occasione della crisi.
Manca una tutela dello stesso tipo al di fuori della crisi (se si esclude il caso eccezionale, artt. 342 – bis c.c. e 736 – bis c.p.c., della tutela contro la violenza in famiglia ove con provvedimento anticipatorio è possibile ottenere misure personali e patrimoniali), e nella famiglia non fondata sul matrimonio.
Soccorre in questo caso una lettura estensiva dell’art. 148 c.p.c., che in forme simil-monitorie consente all’avente diritto il conseguimento con decreto di una misura patrimoniale, a contraddittorio instaurato, destinata però a favorire un pagamento diretto mediante cessione coatta pro futuro del credito che l’obbligato vanta nei confronti di un terzo e che la giurisprudenza ha riadattato all’esigenza di accertare il contributo di mantenimento. Sotto questo profilo è degno di segnalazione come la prassi “pieghi” alle esigenze della tutela dei diritti istituti nati con rationes differenti.
Prima del provvedimento presidenziale, alla necessità di tutela risponde – oltre all’art. 148 c.p.c. – inevitabilmente la tutela d’urgenza ex art. 700 c.p.c., che sembra postulabile non soltanto a tutela dei diritti personali, ma anche dei diritti patrimoniali, sino anche al diritto all’assegnazione, in mancanza di quella tutela, per così dire cautelare, che scaturisce dalla trascrizione (essendo contemplata la sola trascrizione della ordinanza e non della domanda introduttiva). Qui è noto come si impone tutto un problema interpretativo, a cui confessiamo non troviamo via d’uscita, vista la tassatività dei casi di trascrizione e il formalismo dei conservatori.
L’uso della misura d’urgenza pone poi un problema di verifica del periculum particolarmente accentuato, che l’art. 700 c.p.c. impone e che non può, come nei provvedimenti presidenziali, essere del tutto trascurato.
La tutela sommaria anticipatoria che ne scaturisce, non necessariamente cautelare, per quel caratterizzarsi del processo cautelare uniforme, particolarmente dopo la riforma dell’at. 669 – octies già citata, e la sua estensione in numerosi episodi, come la tutela possessoria, la tutela inibitoria degli effetti esecutivi del titolo del processo esecutivo (art. 624 c.p.c.), i cui caratteri cautelari sono sempre stati messi in discussione, rende necessaria, di fronte alle gravi oscillazioni della giurisprudenza (particolarmente in relazione alle ordinanze del g.i.), una generale sua applicazione anche a queste ordinanze, da ritenere perciò reclamabili, ai sensi dell’art. 669-terdecies, e modificabili e revocabili, ai sensi dell’art. 669 – decies cpc.
A questa impostazione reagisce invero l’attuale congiuntura del legislatore italiano, che anziché far uso ed estendere la disciplina del processo cautelare uniforme che ha dato ottima prova di sé, coniugando le esigenze di garanzie con quelle di celerità, introduce istituti ibridi, come il processo sommario ex art. 702 - bis c.p.c., costituenti invero piuttosto un nuovo rito speciale che disciplina la introduzione del processo a cognizione piena (piuttosto che un vero e proprio processo sommario), in cui la sommarietà conduce al giudicato o alla cognizione piena mediante conversione oppure appello. L’istituto non pare mutuabile nel rito familiare per il carattere prevalentemente collegiale delle controversie relative, mentre la disposizione in esame è applicabile solo alle materie assoggettate al rito monocratico.
3. La tutela di merito.
Le esigenze di tutela anticipatoria, impongono comunque un esame della tutela di merito, la quale – non soltanto in coerenza con le suggestioni provenienti da recenti disegni di legge di riforma della c.d. legge Pinto che impongono l’esaurimento in un biennio di ogni grado di giudizio – deve pure rispondere alle esigenze immanenti ad una sistema di giustizia civile, coerente con la Costituzione e le fonti internazionali, di un suo esaurimento, con la stabilità del giudicato, in tempi accettabili, pur nelle rigorosa osservanza dei principi del giusto processo.
E’ troppo noto per insistere sul carattere incoerente, e illogicamente diversificato per le stesse situazioni, dell’attuale disciplina positiva.
A)
Si pensi all’uso, per i procedimenti per separazione e divorzio, applicabili alla crisi della famiglia legittima, del processo a cognizione piena di rito ordinario (i cui nessi con la fase sommaria che precede sono finalmente risolti sul piano normativo dalla legge n. 80 del 2005 che hanno riscritto l’art. 709 c.p.c. e il coordinamento del rito con l’udienza di trattazione di cui all’art. 183 c.p.c.), secondo uno schema suggestivo, che ha riscontri soltanto nella disciplina fallimentare preriforme del 2007 e 2008 e nell’attuale disciplina del processo possessorio, mediante struttura bifasica (sommaria seguita da ordinaria), a cui avrebbe ben potuto mutuare, a nostro sommesso avviso, la riforma generale del processo civile.
B)
Si pensi al contrario all’uso del rito camerale per le altre ipotesi, siano esse originate dalla famiglia legittima che dalla famiglia di fatto, quando si tratta di tutelare i profili personali del rapporto con il minore (art. 38 disp. att. c.c.). Invero, anche in caso di connessione con domanda vertente sui profili economici (ciò che costituisce l’assoluta prevalenza delle controversie di famiglia), dopo che Cass. Sez un. 3 aprile 2007, n. 8362, in Riv. dir. proc, 2008, 529 ha ritenuto sopravvissuto alla legge n. 54 del 2006, relegata ad un ambito esclusivamente di diritto sostanziale, la competenza e il rito del tribunale dei minorenni per le controversie sull’affidamento o la potestà e per le domande di mantenimento se connesse.
Rito camerale che contrariamente ad altre esperienze non ha subito alcuna opera di ingegneria giuridica operata dal giudice di legittimità, nel costante adattamento alle garanzie del giusto processo, del contraddittorio, del diritto di difesa, della motivazione e del controllo di legittimità, come nel caso dei riti fallimentari, dei riti camerali familiari che si svolgono innanzi al tribunale ordinario.
Al contrario innanzi ai tribunali per i minorenni si assiste ad un rito abbandonato alla discrezionalità del giudicante, di cui non si conoscono preventivamente le regole e, quel che è peggio, dove l’avvocato è appena tollerato, col sacrificio del diritto di difesa sull’altare di una istruttoria segreta o di una trattazione ex ufficio cui non è dato neppure contraddire.
Basti qui ricordare il “ritardo interpretativo” della giurisprudenza minorile sull’obbligo di difesa del minore, se si esclude l’autorevole precedente del tribunale minorile di Milano, grazie alle intuizioni e al coraggio della relatrice che interverrà dopo la mia relazione.
Peraltro deve aggiungersi nel contesto particolare dei riti camerali non è dato cogliere una tutela anticipatoria sul modello delle ordinanze presidenziali e il carattere refrattario di quel rito a porsi come concorrente con misure di carattere cautelare (il rito camerale non tollera alternative a sé stesso), non consente di aggrappare l’interpretazione sull’ancora di salvezza delle misure d’urgenza. Ne consegue una intollerabile mancanza di tutela anticipatoria, che costituisce un altro buon motivo per abrogare quel modello.
4. La riforma della tutela anticipatoria e della tutela di merito.
Esaminate le esigenze postulate dai diritti coinvolti e le risposte lacunose e non generalizzate dell’ordinamento, si impone la necessità di tracciare un disegno riformatore, a cui l’avvocatura e le sue associazioni non possono più sottrarsi.
In questo ambito è opportuno fare uno sforzo di sistemazione unitario radicale, abrogando le norme codicistiche sulla competenza civile del tribunale per i minorenni e trasferendo la competenza, per ogni profilo, sia esso relativo ad un diritto personale che ad un diritto patrimoniale, al tribunale ordinario organizzato in sezione specializzate, ma non necessariamente.
Se tale soluzione rischia infatti di incorrere nelle forche caudine delle problematiche di ordinamento giudiziario e di carenza dei magistrati, oltre ad auspicare una maggiore frequentazione di concorsi per l’immissione in ruolo di nuovi magistrati si potrebbe pensare ad un giudice della famiglia come giudice unico, sul modello delle controversie di lavoro, certamente non meno delicate di quelle della famiglia e sulle quali nessuno ha gridato allo scandalo del giudizio espresso dal giudice singolo, poiché:
a) la collegialità può essere recuperata in sede di appello, com’è appunto nelle cause e di lavoro;
b) l’ausilio dell’esperto può esprimersi in sede di consulenza, che resta l’ipotesi maestra per l’ingresso nel processo di cognizioni tecniche.
In tal modo sarebbero definitivamente riunite le giurisdizioni e le competenze, con un rito – è bene sottolinearlo - da mutuare interamente dai procedimenti per separazione e divorzio - preceduto, secondo il modello bifasico, sommario (necessario) seguito da merito (eventuale) che ha dato ottima prova di sé in altre esperienze, come quella fallimentare e oggi particolarmente quella possessoria.
Si potrebbe prevedere, similmente all’ultimo comma dell’art. 703 c.p.c. per il processo possessorio, un merito a cognizione piena eventuale, su impulso di parte, in un termine perentorio, potendo, altrimenti, secondo quanto stabilisce l’art. 189 disp. att. del c.p.c., ammettersi la sopravvivenza degli effetti della misura presidenziale, salvo la riconciliazione tra coniugi.
Si crede infatti fermamente che il processo sommario (vero e autentico non contaminato dalla conversione in cognizione piena o dal giudicato), sia la risposta corretta all’esigenza di una regolamentazione anticipata del conflitto, cui può (e non deve) seguire la tutela di merito, potendo le parti acquietarsi e spegnere il conflitto sulla soluzione data dalla misura anticipata, senza riempire inutilmente i ruoli dei giudici di merito.
Questa forse una risposta seria ed ispirata alla prassi e alla conoscenza delle aule giudiziarie, cui dovrebbe attingere il legislatore.
Peraltro la misura anticipatoria non potrebbe mai assurgere alla stabilità del giudicato, pur conservando i suoi effetti nonostante la mancata introduzione de giudizio di merito o la sua prosecuzione sino ad una sentenza di merito confermativa, conducendosi la tutela rigorosamente sul piano del rito sommario, sino al gravame da ammettere nelle forme del reclamo cautelare.
5. L’adattamento urgente alla evoluzione della fattispecie, de iure condito e de iure condendo.
Esiste, poi, l’esigenza di una elasticità della misura anticipatoria (come di merito) in relazione ai fatti e alle circostanze sopravenute, anch’essa abbandonata ad una tutela non omogenea:
- ancora di natura sommaria-anticipatoria ex art. 709 u.c. e 4 della legge 898/1970 del giudice istruttore, quando si tratta di modificare o revocare i provvedimenti presidenziali in sede di giudizio di merito per separazione e divorzio, dove l’adattamento della misura è reso così ampio da trascurare anche il profilo della sopravvenienza che non è richiesto dalla norma, sulla base di un’evoluzione che dall’antico art. 708 u.c. c.p.c. ha condotto all’attuale art. 709 u.c. c.p.c. (passando attraverso la legge n. 74 del 1987);
- di natura camerale, eppure ancora sommaria, nel caso della sentenza di merito, ma in tal caso è dato di modificare o revocare le misure solo sulla base di una sopravvenienza (art. 710 c.p.c. e art. 9 legge n. 898 del 1970).
- di natura ibrida e comunque collegata alle regole del processo in cui si cala, per le misure di affidamento e potestà, alla luce dei casi di più grave inottemperanza (art. 709 – ter c.p.c.).
Si tratta evidentemente di soluzioni incoerenti e irrazionali, pur disciplinanti lo stesso fenomeno.
In questo ambito un intervento razionalizzatore potrebbe:
a) opportunamente affidare alla sopravvenienza anche la modifica o revoca richiesta avverso i provvedimenti presidenziali (ché per i profili di riforma a fattispecie immutata soccorre oggi la reclamabilità dell’ordinanza presidenziale ex art. 708, u.c. c.p.c. ). Mentre certamente i provvedimenti dettati dalla Corte di appello e dal g.i. (in difetto della letterale previsione della riferibilità ai soli provvedimenti presidenziali contenuto nell’art. 708 c.p.c.) sono certamente modificabili e revocabili alla luce di sopravvenienze.
b) prevedere un’estensione dello strumento anticipatorio sommario, cui può essere fatto seguire su iniziativa di una delle parti un giudizio a cognizione piena (non necessitato e perciò la cui introduzione non priva di effetti la misura sommaria concessa), con conseguente alternativa verso un processo a cognizione piena che il rito camerale non tollera.
6. La tutela esecutiva. Il problema.
Esiste poi l’esigenza postulata dalla infungibilità della prestazione obbligata a fronte di diritti che necessitano di tutela in forma specifica e non per equivalente, donde la assicurazione con adeguate misure coercitive, di cui pur frammentariamente godono i diritti al mantenimento (artt. 146, 148 e 156 c.c.) e alcuni diritti personali, come la potestà e l'affidamento (tra tutte l'obbligo di consegna del minore) e le risposte offerte dall'ordinamento, in origine con l'art. 6, 10 ° comma, della legge n. 898 del 1970 - e oggi l'attualissimo art. 709 - ter c.p.c., dovuto alla legge n. 54 del 2006.
Probabilmente oggi tutto deve essere ripensato alla luce del nuovo art. 614 – bis c.p.c., il quale ha tuttavia formulazione tecnicamente lacunosa e si riferisce comunque esclusivamente ad obblighi di fare infungibili o di non fare, non certamente a prestazioni economiche, come il pagamento dei crediti di mantenimento.
Laddove la prestazione obbligata non è surrogabile con un’attività giuridica dell’ufficio esecutivo, come nel caso delle forme ordinarie per espropriazione o specifiche, si deve coartare l’attività dell’obbligato e quindi costringerlo con misure coercitive. L’esigenza è assolutamente centrale nel diritto di famiglia.
Orbene questa esigenza, presente in tutte le materie, è assolutamente costante nell'ambito del diritto di famiglia, perché qui le ragioni di una tutela giurisdizionale differenziata si impongono in modo prevalente, chiave di lettura dell'intero ordinamento, tanto che il sistema processuale si caratterizza - peraltro in una regolamentazione non sempre coerente e razionale - per la intensità delle deroghe al regime del diritto comune, sotto il profilo del processo di cognizione come anche del processo esecutivo.
L'intervento del legislatore è tuttavia frammentario, assai spesso solo abbozzato, originato da stratificazioni normative succedutesi nel tempo non sempre coerenti tra loro e spesso dettate dalla contingenza di interessi tutelati volta per volta, tutte certamente nel segno di una tutela giurisdizionale differenziata, ma necessitanti di un disegno che le riconduca ad unità e a sistema, particolarmente in relazione ai fenomeni, differenti ma non scevri di analogie, che sono la famiglia fondata sul matrimonio e la famiglia fondata sulla convivenza c.d. more uxorio (ove vi è uno spontaneo adeguamento delle condotte ai doveri e agli obblighi della famiglia fondata sul matrimonio), nel momento (attualmente esclusivo) di intersecazione delle due materie che è costituito dalla tutela dei diritti personali e patrimoniali connessi all'affidamento e alla potestà sul minore.
Oltre alla indiretta fungibilità del bene della vita, esiste un'ulteriore peculiarità della situazione sostanziale in esame, degna di rilievo: il carattere continuativo e periodico della prestazione ovvero il carattere permanente del diritto, ciò che limita fortemente l'efficacia dei tradizionali mezzi esecutivi, i quali presuppongono che il diritto sia esigibile e quindi già maturato o scaduto (art. 474, 1° comma c.p.c.) e perciò rendono necessaria la reintroduzione di un autonomo processo esecutivo per ogni prestazione mancata.
L'ordinamento deve perciò provvedere a strumenti che assicurino la prestazione della parte obbligata al mantenimento, al di là dei tradizionali mezzi cautelari ed esecutivi.
I profili processuali della tutela del contributo al mantenimento si presentano come paradigma, per un verso, della specialità della disciplina e per altro verso della sua incoerenza sistematica, essendo adottate soluzioni affatto unitarie nell'ambito del procedimento per separazione rispetto a quello divorzile, come anche quello della tutela della famiglia di fatto.
Il problema presenta poi tutta la sua drammaticità, sia in ordine alla urgenza di tutela, sia per il carattere infungibile della prestazione e la sua proiezione nel futuro, anche in relazione alla tutela dell’affidamento o del coaffidamento (cui è sotto specie il diritto di visita).
7. Sulle nuove frontiere della tutela cautelare a servizio dell’esecuzione: le misure coercitive cautelari e la estensione del processo cautelare uniforme.
All’esigenza postulata dalla materia, corrisponde, e merita un’adeguata riflessione, un’evidente evoluzione legislativa e di sistema che interessa la tutela cautelare, in sé considerata, a prescindere dalla sua applicazione alla materia familiare.
Crediamo che qui la riflessione del processualista, non solo del familiarista, deve essere puntuale, anche a costo di mettere in discussione categorie tradizionali, a cui siamo stati abituati da quasi un secolo, a partire da Calamandrei in poi.
a)
Ci riferiamo all’attuale dinamica della normativa processuale, ove la tutela cautelare ha compiuto un vistoso “strappo” rispetto alla funzione strumentale e accessoria a cui è stata da sempre relegata, non potendo avere vita autonoma rispetto alla tutela ordinaria e di merito, e si è per così dire autonomizzata, conquistando nuovi lidi, come quelli della tutela anticipatoria autosufficiente, pur con una stabilità diversa dal giudicato.
Intendiamo richiamarci in particolare all’intervento, dovuto alla legge n. 80 del 2005, sull’art. 669 – octies c.p.c. e alla codificazione di una distinzione netta – cui segue tutta una diversa disciplina applicabile, tra tutela cautelare conservativa e tutela cautelare anticipatoria. La prima soltanto destinata alle categorie dogmatiche tradizionali e poco rispondente alle rilevate esigenze della materia familiare (la conservazione del patrimonio in vista di una futura lontana tutela non si adegua alla effettività e urgenza delle situazioni familiari). La seconda destinata ad aprire un mondo del tutto nuovo, tanto che si è parlato ormai da più parti di una tutela giurisdizionale anticipatoria, non destinata al giudicato ma alla pronuncia rapida di una regola al conflitto (che è – si badi bene – l’esigenza fondamentale dell’attuale congiuntura economica e immanente, per le ragioni già vedute, nella materia familiare), alternativa alla improbabile, per tre lunghi infiniti gradi di giudizio, di una tutela comune destinata al giudicato.
Quindi la tutela cautelare tende a conquistare nuovi territori, particolarmente quello della tutela anticipatoria autosufficiente, per la quale è irrilevante la introduzione o meno di un successivo giudizio di merito (salvo per il prevalere della cognizione piena sulla cognizione sommaria, soccombere alla eventuale tutela di merito introdotta contestualmente o successivamente, qualora neghi la tutela assicurata in via cautelare).
b)
Ma la nuova frontiera, sul piano cognitivo, ha interessanti riflessi, per quello che qui interessa sul piano esecutivo, a dimostrazione della grande duttilità del mezzo cautelare, che costituisce strumento a sua volta fungibile e adattabile per differenti esigenze del processo.
Si deve dire in proposito che, già sul piano sistematico, lo strumento cautelare si presta ad un passaggio, senza soluzione di continuità, tra la tutela di cognizione e la tutela esecutiva. La dottrina che si è impegnata ha per lo più rifiutato di distinguere nella tutela cautelare un profilo cognitivo da un profilo esecutivo e probabilmente ne è il risultato l’art. 669 – duodecies c.p.c., sull’attuazione della misura cautelare, pur con l’importante soluzione di continuità costituita dalla tutela dei crediti aventi ad oggetto somme di denaro, ove la necessità di preservare la par condicio creditorum impone il richiamo alle forme esecutive ordinarie e dove, quindi, si pone una cesura tra cognizione ed esecuzione. Nella citata disposizione, infatti, tutto si svolge innanzi allo stesso giudice, il quale oltre a prescegliere i contenuti della tutela, particolarmente in occasione della tutela atipica, sceglie anche le forme della esecuzione e risolve i conflitti nel suo corso, almeno quelli che attengono alla tecnica di esecuzione.
E’ evidente che questa appartenenza della tutela esecutiva alla tutela cautelare, come suo aspetto immanente, ma nel contempo soprattutto la condivisione anche da parte delle tecniche esecutive, oltreché di quelle di tutela cognitiva, della discrezionalità delle forme dettate dallo stesso giudice, senza l’irrigidimento di quelle dettate in via ordinaria dal libro III del codice di procedura civile, non poteva non essere mutuata in ambiti particolari, come quello familiare.
c)
Poi, laddove la rapidità di tutela in unione alla sua proiezione nel futuro e soprattutto alla infungibilità della prestazione non surrogabile dall’ufficio esecutivo impone nuove frontiere alla tecnica esecutiva, ecco emergere la grande duttilità dello strumento cautelare e convertirsi esso stesso in strumento esecutivo.
Ne nasce il profilarsi di misure indirette di natura coercitiva rivestite delle forme della tutela cautelare, in primis i sequestri a tutela dei crediti di mantenimento, nel segno della conquista di nuovi territori da parte dell’espansione prepotente della tutela cautelare. Donde la rilevata capacità del mezzo cautelare di conquistare nuove frontiere, non solo quelle della tutela anticipatoria autonoma, ma anche di quella esecutiva.
In tale evidente evoluzione del sistema, che sfugge alla tradizionale metodologia ricostruttiva della tutela cautelare ereditata dalla classica monografia di Calamandrei, esiste – oltre a quello di rendere più efficienti le tecniche di tutela dei diritti in sintonia con il dettato costituzionale dell’art. 24 – un ulteriore dato che l’interprete non deve dimenticare. La disciplina del processo cautelare uniforme, dovuta alla legge n. 353 del 1990 è una delle produzioni migliori del nostro legislatore, in tempi di legislazione incoerente, priva di sistematica e tecnicamente discutibile, particolarmente in materia di processo familiare, laddove ha proposto un prototipo generale di forme adattabili alla tutela conservativa, come a quella anticipatoria, come, infine, come tra breve vedremo, a quella esecutiva, che a noi interessa in modo particolare. L’interprete ha così modo di attingere ad un sistema di norme innanzi a tutte le difficoltà applicative, potendo sempre contare sulle regole del processo cautelare uniforme: ci riferiamo alla tutela impugnatoria o modificativa dettata dagli artt. 669 – decies e terdecies c.p.c., a cui tuttavia la giurisprudenza non ha sempre attinto, conservando un’impostazione più tradizionale, dove si rinchiude erroneamente il mezzo nell’orizzonte limitato della sola funzione strumentale e non si colgono le rivoluzionarie prospettive, in ambito di tutela anticipatoria esecutiva (di accertamenti con finalità esecutiva, come direbbe Chiovenda).
Questa importante evoluzione, nella incongruenza delle scelte sistematiche del nostro ultimo legislatore, ha una soluzione di continuità nell’art. 709 – ter c.p.c., il quale proprio per questo si propone come norma enigmatica, sino al punto da mettere in discussione, come sembrebbe la scuola civilistica, il carattere coercitivo delle sanzioni contemplate (che si vorrebbero inserire nel sistema di responsabilità civile, ove continua a specchiarsi come Narciso il sostanzialista, confrontandosi solo con le sue categorie oggettive e soggettive: il dolo e la colpa). Ma quello che a noi interesse sottolineare è la non-scelta del legislatore della legge n. 54 del 2006, laddove ha in concreto dettato una norma “in bianco” sul piano processuale, con rinvio alle forme ordinarie nel cui contesto si vengono a formare le misure coercitive e richiamando a chiusura le forme dell’art. 710 c.p.c.
Anche qui perché il legislatore non ha voluto, come in altri luoghi, attingere alle forme del processo cautelare uniforme? Tanti problemi applicativi sarebbero svaniti grazie al rinvio alle forme e ai contenuti della tutela cautelare generosamente prestate al servizio di quella esecutiva.
Cosa possiamo in conclusione mutuare dal processo cautelare: a) la tutela anticipatoria autonoma, sul piano cognitivo; b) la determinazione di forme dell’esecuzione alternative a quelle comuni di cui al libro III del codice di rito lasciate alla discrezionalità dello stesso giudice del merito; c) l’estensione della disciplina cautelare a misure coercitive di esecuzione indiretta.
8. In particolare il sistema della tutela esecutiva dei crediti di mantenimento.
Delle peculiari situazioni del diritto di famiglia, si muoverà dalle esigenze di tutela postulate dai crediti di mantenimento, dove si rappresentano – in modo non meno evidente – i problemi suscitati dal binomio rapidità di tutela-infungibilità della prestazione particolarmente per la sua proiezione nel futuro e dove sul piano positivo è verificabile l’espansione delle forme cautelari di tutela.
Sotto questo profilo, muovendo dagli interessi economici tutelati, è necessario evidenziare una distinzione, che, come presto vedremo, è centrale nello studio dei mezzi giurisdizionali di tutela nella famiglia consacrata o meno sul matrimonio.
Il credito di mantenimento dei figli può necessitare di una tutela nell'ambito della crisi, ovvero nel contesto dei processi di separazione e divorzio, mediante quella forma di tutela anticipatoria fondata su di una cognizione sommaria che è l'ordinanza presidenziale, all'interno della quale possono essere dettate tutte le misure note a tutela del credito al mantenimento.
Può diversamente collocarsi in una tutela che prescinde dalla crisi familiare, quando l'esigenza si pone nel contesto di una separazione di fatto o semplicemente non presuppone una separazione (artt. 146 e 148 c.c) e in tal caso quelle misure sono dettate al di fuori di un procedimento di separazione (e ovviamente anche di divorzio).
Può infine collocarsi nell'ambito di un rapporto familiare di fatto, ove la convivenza, l'unione, non è fondata su di un matrimonio e dove l'interesse protetto dall'ordinamento è soltanto il credito al mantenimento del figlio, poiché non esiste alcun obbligo di mantenimento del coniuge di fatto. Anche in tal caso si deve pensare a forme che esprimano i contenuti di tutela propri della filiazione legittima, ma al di fuori dei procedimenti per separazione e divorzio, e che tuttavia non potranno beneficiare degli strumenti di tutela anticipatoria in limine litis. Il rapporto familiare di fatto può inoltre derivare dalla dichiarazione di nullità di quello celebrato, soccorrendo in tal caso gli effetti del matrimonio putativo, cui consegue il diritto al mantenimento del coniuge in buona fede per un triennio ex art. 129 c.c. e comunque il diritto al mantenimento dei figli nati o concepiti durante il rapporto o prima di esso se riconosciuti anteriormente alla sentenza che dichiara la nullità del matrimonio (sulla applicabilità dello speciale istituto del sequestro al matrimonio putativo, cfr. Cass., 11 ottobre 1983, n. 5887, in Giust. civ., 1984, I, 1569).
Ora è interessante notare sul piano normativo come tutte queste situazioni, perfettamente identiche tra di loro, salvo la diversità della fattispecie che ne è all'origine, implicano tutte quelle esigenze di diritto sostanziale, evidenziate nella trattazione che precede, che devono tradursi in una tutela giurisdizionale differenziata, particolarmente di carattere anticipatorio e esecutivo. Ciononostante le risposte dell'ordinamento processuale non sono assai spesso unitarie con una regolamentazione coerente. L'interprete in ognuna delle disposizione sostanziali di tutela potrà tuttavia cogliere negli istituti processuali coinvolti peculiarità generali, i cui tratti tendenzialmente unitari possono essere facilmente delineati.
Anzitutto si rinviene un sequestro dei beni dell'obbligato, che assume la denominazione del mezzo cautelare tipico e che tuttavia costituisce un adattamento del mezzo alle esigenze di tecnica esecutiva: l'istituto compare nel contributo di mantenimento del procedimento di separazione, art. 156, 6° comma, c.c.; nell'assegno divorzile e nel contributo di mantenimento dei figli, art. 8, 7° comma, legge n. 898 del 1970; nel contributo del coniuge o del genitore in costanza di matrimonio, art. 146, 3° comma, c.c. La disposizione era tuttavia dettata solo per la tutela del mantenimento del coniuge, oggi attraverso interventi plurimi del giudice della costituzionalità della legge deve ritenersi esteso alla tutela del mantenimento del figlio legittimo (e dunque in forza dell'art. 261 c.c., anche del figlio naturale e dunque nell'ambito della famiglia di fatto).
La disciplina è tuttavia diversificata, perché se la natura di mezzo coercitivo è evidente nell’ambito della regolamentazione in sede di separazione o fuori dalla crisi (dove si prescinde da un periculum), la formulazione dedicata alla specie divorzile lascia spazio a più di una perplessità, anche se un’interpretazione sistematica impone una riconduzione ad unità.
Inoltre è codificato, a tutela della proiezione futura della prestazione economica, l'effetto - in vario modo raggiungibile - di una surrogazione del creditore all'adempimento di terzi obbligati a prestazione unitarie o periodiche: l'istituto si rinviene in costanza di matrimonio nell'art. 148, 2° comma, c.c., nel procedimento di separazione personale all'art. 156, 6° comma, c.c., e infine nel procedimento divorzile all'art. 8, 3° comma, legge n. 898 del 1970. Manca ancora una previsione per il caso della tutela del figlio naturale, ma in virtù della assimilazione più volte ricordata deve ritenersi interpretativamente estesa anche a quest'ultimo.
Tuttavia disciplina più diversificata non può evidenziarsi se confrontata con l’incoerenza della regola applicata alle varie ipotesi: quella dell’art. 148 c.p.c. che mutua dalle forme del procedimento monitorio (convogliando le contestazione, anche del terzo debitor debitoris in un giudizio di opposizione al decreto di assegnazione pro futuro del credito); quella dell’art. 156 c.c. che affida la misura al giudice del merito in forme sommarie come ordinarie e relega le contestazioni in sede di opposizione all’esecuzione, quella infine dell’art 8, 3° comma, legge n. 898 del 1970 che risolve tutto sul piano stragiudiziale e relega le contestazione in sede di azione ordinaria dell’obbligato o del terzo.
Le tutele giurisdizionali speciali, pur riconducibili, come veduto, ad un ceppo comune sono, e questo è il segno dell'irrazionalità e approssimazione del sistema, regolate diversamente, con soluzione sul piano delle forme e dei presupposti talmente differenti da rischiare di implicare in alcuni casi la natura del mezzo offerto.
9. Le nuove frontiere della tutela penale del credito al mantenimento. Conclusioni de iure condendo.
I crediti di mantenimento, secondo l’ultima evoluzione legislativa sembrano abbandonare il terreno delle misure coercitive civili, per preferire le misure coercitive di natura penale, dall’art. 570, all’art. 21 della legge n. 74 del 1987 che ha introdotto l’art. 12 sexies nella legge divorzile, sino alla vasta latitudine dell’art. 3 della legge n. 54 de 2006, dovuta al successivo art. 4 (tutela della famiglia di fatto, dello scioglimento e della invalidità).
Questa evoluzione normativa tuttavia denuncia una tendenza del legislatore, quella di relegare alla tutela penale l’esecuzione dei provvedimenti relativi ai crediti di mantenimento e quella di affidare a misure coercitive private i soli provvedimenti personali di affidamento o affidamento condiviso, che non può essere condivisa.
Chi ha a cuore la effettività della tutela non può vedere positivamente questa evoluzione, sia per gli scarsi risultati della tutela penale che confluisce assai spesso in archiviazioni disattente, causa la insensibilità del titolare dell’azione e per una sua certa interpretazione restrittiva delle fattispecie, sia infine, peggio ancora, per gli effetti di condoni o amnistie o prescrizioni, per cui l’auspicio del civilista è che si continui a sperimentare la via delle misure coercitive in forma cautelare, sulla scia dei sequestri degli artt. 146, 156 e 8 citt.
Per questo continuiamo a pensare che una sanzione concessa al giudice del merito all’inottemperanza da parte dell’obbligato, sia nel provvedimento sommario sia nel provvedimento di merito della tutela, come vera e propria misura coercitiva di sequestro o di astreintes sul modello dell’art. 614 – bis c.p.c. da estendere perciò alla tutela dei crediti di mantenimento, debba costituire la via maestra de iure condendo. Con una disciplina che mutui dalle regole del processo cautelare, prestate alle esigenze del processo esecutivo.
9. Le tutela esecutiva dei diritti personali.
Più coerente all’impostazione qui auspicata ha vissuto nella recente evoluzione legislativa la tutela esecutiva dei diritti di affidamento e della potestà, grazie – pur in una soluzione positiva non certo appuntabile sul piano della tecnica legislativa – alla entrata in vigore dell’art. 709 – ter c.p.c.
La legge n. 54 del 2006, che ha introdotto la disposizione, peraltro già aveva modo di attingere alle soluzioni assolutamente originali – e troppo spesso passate inosservate – dettate dal comma 10° dell’art. 6 della legge n. 898 del 1970. Una misura esecutiva avulsa dai formalismi delle forme esecutive del libro III del codice di rito, dettata discrezionalmente dallo stesso giudice del merito per l’obbligo di consegna del minore.
Si tratta per l’appunto proprio della suggestione offerta dall’art. 669 – duodecies c.p.c. nel processo cautelare uniforme cui abbiamo in precedenza fatto cenno.
Il concetto è portato alle estreme conseguenze nell’art. 709 – ter c.p.c., ove la norma si caratterizza sul piano processuale come norma “in bianco” facente riferimento volta per volta alle regole proprie del contesto processuale di merito in cui si innesta la misura coercitiva, essendo il giudice innanzi al quale pende il merito a dovere assumere nella sua discrezionalità la misura o altrimenti, in mancanza, il giudice della modifica e revoca della misura, ai sensi dell’art. 710 c.p.c.
Su questo piano, anche se settorialmente per i diritti personali, l’ordinamento risponde alle esigenze sottese dalla tutela sostanziale.
La norma, poi, nonostante la insistenza dei civilista a volere proporre un improbabile inquadramento in termini di responsabilità civile, a causa delle incertezza della tecnica legislativa, introduce inequivocabilmente una serie di misure coercitive di carattere economico, a favore del coniuge beneficiario o addirittura del minore (che non è parte del processo), rispetto alle quali ha rilevanza solo il fatto oggettivo della inottemperanza, senza alcun rilievo ai profili del dolo o della colpa, rilevanti ai soli effetti della responsabilità civile (potendo questi profili incidere sulla sola entità della sanzione).
Su di essa incide inevitabilmente la generalizzazione della misura coercitiva offerta nell’art. 614 – bis c.p.c., tuttavia secondo una lettura da noi preferita sovrapponendo le due tutele e non ponendole su di un piano alternativo: perciò la parte potrà scegliere la via preventiva della astreintes dell’art. 614 – bis c.p.c., oppure la via, successiva all’inottemperanza, della misura coercitiva dell’art. 709 – bis c.p.c. oppure percorrerle entrambe. Esiste tuttavia un ambito in cui le due tutele non si intersecano, poiché nelle misure dell’art. 614 – bis c.p.c. non si giunge a ipotizzare un’incidenza della violazione del dictum giudiziale sugli stessi contenuti della tutela, conservandosi la misura sempre sul piano esecutivo. Al contrario è ipotizzata nell’art. 709 – ter c.p.c., un’incidenza della misura esecutiva sulla tutela di merito; il giudice può giungere a modificare i provvedimenti sull’affidamento e sulla potestà.
Entrambe le misure restano impugnabili secondo le vie ordinarie, con l’appello se si tratta della sentenza di merito, con il reclamo se si tratta di una misura sommaria (ciò che può ipotizzarsi per lo più in sede di art. 709 – ter c.p.c.).
10. Conclusioni.
Alla luce dell’analisi critica del diritto positivo, della sua incongruenza e incoerenza sistematica, pur innanzi ad alcune intuizioni che sono da attribuire ad un legislatore disattento e abituato a stratificazione legislative casuali, secondo la situazione regolata o preferita nella congiuntura, lo sforzo dell’interprete e dell’operatore che suggeriscono soluzioni deve condursi:
a) quanto alle tutele di merito e anticipatorie per una generalizzazione delle forme del processo per separazione e divorzio, nel binomio sommario-ordinario, ove quest’ultimo – la tutela di merito – è eventuale, solo se voluto da una delle parti, e dove la misura sommaria, senza giungere al giudicato, conserva i suoi effetti, anche se il merito non viene introdotto, secondo la disciplina dell’art. 189 c.p.c.;
b) ad una concentrazione di tale rito innanzi al tribunale ordinario in composizione monocratica (salvo l’appello o il reclamo in composizione collegiale), con abrogazione del tribunale per i minorenni;
c) ad una generale estensione delle regole del processo cautelare alle misure sommarie ed anticipatorie in particolare modo per quanto attiene alla disciplina di reclami, revoca o modifiche;
d) ad una generale introduzione di un processo sommario seguito da eventuale processo ordinario, per la revoca e modifica, fondato sempre e comunque su sopravvenienze, a cui potrebbe estendersi eccezionalmente la sopravvenienza istruttoria;
e) ad una generalizzazione dei mezzi di esecuzione indiretta, mediante la introduzione di misure coercitive dettate dal giudice del merito e regolate dalla disciplina garantistica (reclamo!) del processo cautelare uniforme, in vista di una maggiore coerenza del sistema e abbandono della diversificazione delle regole;
f) ad una regolamentazione unitaria degli istituti di surrogazione del creditore nei rapporti che l’obbligato intrattiene con terzi debitori.
g) ad una disciplina anche regolamentare dei casi in cui il minore deve essere parte necessaria del processo e dunque debba munirsi di un difensore tecnico. Quest’ultimo settore vergine sul quale il legislatore non può più attendere e deve destarsi una volta per tutte dal letargo che lo ha colpito.
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