Osservazioni delOsservazioni su
Schema di decreto legge recante: «Disposizioni urgenti in materia di composizione delle
crisi da sovraindebitamento e disciplina del processo civile»
Sommario: 1. Considerazioni preliminari. 2. Capo I: il procedimento per il componimento
della crisi da sovraindebitamento. Ambito di applicazione e riferimenti di diritto comparato. 2.1. La
proposta d••accordo. 2.2. L••omologazione dell••accordo. Effetti e vicende dell••accordo. 2.3. Gli
organismi di composizione della crisi. 2.4. Considerazioni critiche. 3. Capo II: le disposizioni per
l••efficienza della giustizia civile. Le modifiche alla disciplina della mediazione. 3.1. Le modifiche
al codice di procedura civile. 3.2. Le modifiche alla l. n. 183/2011. 3.3. Le modifiche relative alla
proroga dei magistrati onorari. 3.4. Le modifiche relative alla disciplina delle società di capitali. 4.
Testo coordinato delle norme e delle disposizioni modificate dal decreto legge.
1. Considerazioni preliminari: l’ennesimo decreto legge, l’ennesimo deterioramento delle
condizioni di accesso alla giustizia.
Il decreto legge qui commentato a prima lettura è stato approvato dal Consiglio dei ministri il
16 dicembre u.s. Al momento in cui si scrive non è dato di sapere se il testo sia quello definitivo,
atteso che il nuovo Governo non pare voglia distaccarsi dalla nefasta ma invalsa prassi per cui i
provvedimenti normativi approvati vengono modificati fino al momento prima della trasmissione al
Quirinale per la firma.
Il Capo I è destinato alla regolamentazione del procedimento per il componimento della crisi
da sovra indebitamento, con disposizioni che riprendono quasi integralmente quanto previsto dal
Capo II del disegno di legge C. 2364 «Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di
composizione delle crisi da sovraindebitamento», di iniziativa del Senatore Centaro (pdl), approvato
dal Senato il 1° aprile 2009 (S. n. 307) e attualmente all••esame della Camera dei deputati.
Il Capo II interviene a modificare, con disposizioni di dettaglio, precedenti recentissimi
provvedimenti e segnatamente il decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito in legge n. 111/2011,
la legge 14 settembre 2011, n. 148 di conversione del d.l.138/2011; la legge 12 novembre 2011, n.
183: il legislatore insegue sé stesso in una corsa senza fiato (per il cittadino e l’operatore del
diritto), correggendo quanto appena stabilito, senza risparmiare neanche le disposizioni
codicistiche, sulle quali un minimo di ragionevolezza consiglierebbe di essere più cauti.
La procedura per il componimento della crisi della sovraindebitamento del creditore non
assoggettabile a procedure concorsuali era istituto atteso, ma la versione governativa risulta
senz••altro più macchinosa rispetto agli accordi di ristrutturazione dei debiti previsti dalla legge
fallimentare.
Difatti, a norma dell••art. 10 e degli articoli 6, 7 e 8, del d.l. in commento, l••assistenza delle
parti nella predisposizione della proposta, nelle comunicazioni con il Tribunale e nell••esecuzione
dell••accordo è devoluta ad “organismi di composizione di crisi”.
Nessuna disposizione individua i requisiti di professionalità dei componenti degli stessi,
come mancano sanzioni – civili o penali – a presidio della veridicità delle informazioni fornite
e della diligenza nella prestazione dell’opera.
La disciplina, dunque, appare addirittura peggiore rispetto a quella disposta dal d.lgs. n.
28/2010 con riferimento ai requisiti dei mediatori.
Il legislatore si è dimostrato, cioè, del tutto inconsapevole della problematica – assai avvertita
tra gli operatori – della professionalità dei soggetti investiti per legge (e non per scelta contrattuale
come accade per gli arbitrati ad hoc) della risoluzione alternativa delle controversie. Questioni che
pure hanno costituito il cuore della nota sollevazione di questione di legittimità costituzionale
operata dal Tar Lazio con riferimento alla disciplina della mediazione. La possibilità, poi, che gli
organismi di mediazione possano assumere altresì le funzioni di organismi di composizione della
lite rende il profilo della professionalità ancor più attuale e preoccupante.
L••intero congegno, inoltre, come si avrà modo di approfondire infra (3.4) appare inutilmente
macchinoso, e rischia di ingolfare ancora di più i tribunali: il che appare paradossale, se si pensa che
all••obiettivo della deflazione dei carichi giudiziari si sono sacrificate in questi mesi molte garanzie
di protezione dei diritti.
Né del bene può dirsi per le misure adottate in materia di processo civile: l••ampliamento delle
ipotesi di esonero dall••onere di difesa tecnica di fronte al giudice di pace; l••abrogazione della
previsione dell••avviso di cancelleria con riferimento alle impugnazioni pendenti da più di tre anni;
l••irrigidimento della condanna per il caso di mancata partecipazione al procedimento di mediazione
sono il segno di una logica volta esclusivamente alla riduzione dei costi e delle pendenze senza
attenzione alcuna – ed anzi in spregio – del valore costituzionale del diritto di azione. Rinviando al
prosieguo per l••esame dettagliato di ciascuna modifica, in questa sede preme sollecitare l••attenzione
soltanto sulle previsioni più improprie.
In primo luogo va rilevato che, assieme alla modifica dell••art. 82 c.p.c. con riferimento al
patrocinio di fronte al giudice di pace, si è altresì modificato l••art. 91 in relazione alla condanna
alla spese con la conseguenza che quest’ultima non può superare il valore della lite. In pratica
il cittadino che magari impugna una sanzione amministrativa abnorme e ne ottiene l••annullamento
non otterrà dal giudice la condanna dell••ente che ha errato a rifondere tutte le spese sostenute, ma
dovrà pagarsi l••avvocato da solo. La norma non serve a limitare le ingiuste pretese di avvocati
esosi: i giudici falcidiano quotidianamente tali pretese, riducendole a volte in modo drastico: serve
– molto più semplicemente - ad impedire che il cittadino impugni una multa o una sanzione
amministrativa.
Anche indipendentemente dal valore concreto della sanzione – che non sempre comunque è
irrisorio – la possibilità del ricorso giurisdizionale costituisce una garanzia avverso il potere
esecutivo, uno strumento per orientare il comportamento dell••amministrazione ai canoni di buon
andamento ed imparzialità. A fronte di un giudizio dall••elevato contenuto tecnico – ancorché dal
modesto valore - difatti, l••eventualità che la parte vittoriosa debba comunque accollarsi le spese
della difesa tecnica potrebbe scoraggiare la stessa dal proporre l••opposizione.
Alla stessa logica di abbattimento indiscriminato della domanda di giustizia è ispirato
l••articolo 15 che dispone l’estinzione dei giudizi di impugnazioni pendenti da più di tre anni alla
data di entrata in vigore del decreto a meno che non pervenga alla cancelleria del giudice
competente una dichiarazione appositamente sottoscritta dalla parte e autenticata dal
difensore che attesti la permanenza dell’interesse alla trattazione. A differenza di quanto
avviene nel processo amministrativo e di quanto disponeva la precedente formulazione della
disposizione introdotta con la lett.183/2011 nessuna informazione in tal senso proverrà dalle
cancelleria cosicché migliaia di cittadini vedranno silentemente sfumare la possibilità di ricevere
giustizia pagando lo scotto del disservizio dell••amministrazione della giustizia, incapace di
assicurare un processo di ragionevole durata e che, per tale motivo, decide di farli morire. E•• come
– per usare il celebre esempio del già Presidente della Repubblica Oscar Lugi Scalfaro con
riferimento al c.d. «processo penale breve» – per risolvere il problema dell••obesità si uccidessero
tutti gli obesi!
Da ultimo, sia consentita una valutazione di tono costituzionale. Se qualche dubbio è lecito
avanzare sulla presenza dei requisiti di necessità ed urgenza (art. 77 Cost.) per il capo I dedicato alla
esdebitazione (ma si dirà che la crisi economica lo imponeva), molto più grave si presenta la
carenza dei presupposti della decretazione di urgenza per gli ennesimi interventi in tema di giustizia
civile. Quale diretto collegamento esiste tra la crisi e la norma che provoca la perenzione dei
processi, obbligando la parte a manifestare ancora un interesse alla controversia?
Il protagonismo normativo dell••Esecutivo non è certo tema nuovo all••attenzione degli
osservatori. Ma oggi si aggrava ulteriormente, considerato che il tasso di legittimazione democratica
di un Governo che si autodefinisce tecnico (nonostante l••espressione sia priva di senso, dal punto di
vista costituzionale) è certamente minore. Con la conseguenza che il Parlamento rischia di essere
relegato a mero esecutore di scelte effettuate aliunde e sottratte al gioco democratico del dibattito.
Capo I
2. Il procedimento per il componimento della crisi da sovraindebitamento. Ambito di
applicazione e riferimenti di diritto comparato.
Il capo I del decreto legge in commento, come accennato, riprende quasi integralmente quanto
previsto dal Capo II del disegno di legge C. 2364 «Disposizioni in materia di usura e di estorsione,
nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento», di iniziativa del Senatore Centaro (pdl)
approvato dal Senato il 1° aprile 2009 (S. n. 307) e attualmente all••esame della Camera dei
deputati1.
1 Nel testo risultante dagli emendamenti approvati dalla Commissione giustizia della medesima camera il 30 luglio
2010.
2 In Francia il regolamento stragiudiziale delle situazioni di sovraindebitamento dei privati (surendettement des
particuliers) è stato introdotto nel 1989 ed è attualmente disciplinato dal Code de la Consommation (artt. da L330-1 a
L334-3 e artt. da R331-1 a R331-6-1). La procedura (che si articola i tre distinte fasi) ha carattere negoziale destinata a
perfezionarsi con un accordo, di natura contrattuale, tra il debitore ed i suoi creditori. La gestione della stessa affidata
alla Commission départemental de surendettement des particuliers, organo amministrativo, articolato in dipartimenti
con sede presso le filiali locale della Banque de France. Anche in Francia, come nella disciplina italiana, è previsto un
intervento successivo di omologazione giudiziale dell••accordo. A quest••istituto nella disciplina francese si affianca poi
una sorta di procedura concorsuale per i privati, il «risanamento personale» (rétablissement personnel) a finalità
liquidatoria che si svolge sotto il controllo del giudice dell••esecuzione.
3 La normativa tedesca sulle insolvenze (Insolvenzordnung - InsO) del 5 ottobre 1994 ha introdotto una disciplina
speciale sull••insolvenza delle persone fisiche, volta a favorire accordi tra debitori e creditori e a liberare e riabilitare il
debitore insolvente. Anche in Germania come in Francia ad una «procedura di esdebitazione» di carattere stragiudiziale
(Verbraucherinsolvenzverfahren §. 305) si affianca, ove la prima non riesca, un procedimento volto alla liquidazione
dei beni del debitore, la c.d. «procedura di insolvenza semplificata» (vereinfachtes Insolvenzverfahren), regolata dai §§
311 e seguenti della Insolvenzordnung. Vi è poi un terzo istituto, destinato a tutti le persone fisiche insolventi e non
soltanto, come le precedenti, ai “consumatori” (secondo il §. 304), ossia «la procedura di liberazione dai debiti residui»
(Restschuldbefreiungsverfahren), disciplinata dai §§ 286 e seguenti della InsO. Il presupposto della procedura è che il
patrimonio fallimentare sia stato già liquidato ma che il suo valore non sia stato sufficiente a soddisfare le richieste dei
creditori, e viene condotta, come la procedura di insolvenza semplificata, da un «amministratore fiduciario»
(Treuhänder) - figura del tutto affine al curatore fallimentare - nominato del giudice dell••esecuzione. La soluzione
italiana è assai similare a quella tedesca della procedura di esdebitazione.
Il procedimento di «componimento delle crisi da sovraindebitamento» mira ad introdurre nel
nostro ordinamento uno strumento volto a far fronte, sul terreno stragiudiziale, alla situazione di
eccessivo indebitamento delle famiglie e, più in generale, dei soggetti non sottoponibili a fallimento
e alle altre procedure concorsuali. L••istituto per come modellato è similare a quelli disciplinati in
altri Paesi europei, come la Francia2 e la Germania3, nei quali tuttavia esso è utilizzabile per le sole
persone fisiche per debiti assunti nell••ambito familiare, con esclusione dunque delle persone
giuridiche e dei debiti assunti nell••esercizio economica o d••impresa, limitazione che non compare
nel testo legislativo in commento italiana e che quindi rende la procedura applicabile anche a dette
situazioni. Anche l'Inghilterra dal 1986 ha introdotto una sorta di «fallimento civile», diretta da un
giudice a ciò delegato, nella quale possono confluire debiti di diversa natura, salvo quelli fiscali ed
alimentari. Molti altri Paesi, poi, di common law (gli Stati Uniti e il Canada, ad esempio) hanno da
tempo procedure nell'ambito delle quali, a seconda delle passività accertate, viene favorita la
funzione conciliativa tra le parti o la determinazione in via giudiziaria delle condizioni del
fallimento civile, sempre con salvezza dei debiti fiscali o alimentari.
L••obiettivo della legislazione italiana è quello di far fronte - mediante la conclusione di un
accordo di ristrutturazione con i creditori - alla situazione di «sovraindebitamento» del debitore non
assoggettabile a fallimento anche per le obbligazioni assunte nella qualità di «consumatore» ( art.1,
2° comma, lett.b).
Il fine, dunque, è quello di evitare il ricorso all••espropriazione forzata, con apprezzabile
ritorno in termini economici tanto per il debitore stesso che per il sistema giudiziario nel suo
complesso. L••immediato precedente normativo può essere riscontrato e nella procedura di
concordato preventivo e più ancora negli «accordi di ristrutturazione dei debiti» previsti dall••art.
182-bis della legge fallimentare, cosicché l••esperienza giurisprudenziale maturata per essi potrà
essere d••ausilio per la lettura delle norme di nuovo conio.
Il ruolo di assistenza alle parti, nonché di supporto all••ufficio giudiziario e di garanzia di
trasparenza per i creditori è assegnato dal decreto legge agli Organismi di composizione della crisi
(art. 10) ovvero ai professionisti in possesso dei requisiti di cui all••articolo 28 della legge
fallimentare per l••esercizio della funzione di curatore (art. 12).
Con riserva di approfondire oltre il discorso, va segnalato che il 4° comma dell••art. 12
individua come organismi di composizione iscritti di diritto altresì «gli ordini professionali degli
avvocati».
Lo stato di «sovraindebitamento» è definito dall••art. 1 2° comma, lett.a) del d.l. come
«situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio liquidabile per farvi
fronte, nonché la definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie
obbligazioni»; per sovra indebitamento del consumatore, ai sensi della successiva lettera b, si
intende «il sovraindebitamento dovuto esclusivamente all••inadempimento di obbligazioni
contratte dal consumatore, come definito dal codice del consumo di cui al decreto legislativo 6
settembre 2005 n. 206».
I presupposti di ammissibilità sono individuati dal secondo comma dell••art. 2 cosicché il
debitore
- non deve essere assoggettabile al fallimento o alle ulteriori procedure concorsuali4.
4 Ossia il concordato preventivo, l••amministrazione controllata, la liquidazione coatta amministrativa,
l••amministrazione straordinaria della grandi imprese in crisi.
5 A tenore del quale «Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli
imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:/a) aver avuto, nei tre
esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall'inizio dell'attivita' se di durata inferiore, un
attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;/b) aver realizzato, in
qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento o dall'inizio dell'attivita'
se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;/c) avere
un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.».
6 Cfr., ex plurimis, Trib. Roma, sez. fall., 16 ottobre 2006, decr., in Fallimento, 2007, 187.
Ne consegue in positivo che la procedura risulta utilizzabile per le persone fisiche o
giuridiche, diverse dagli enti pubblici, che non esercitino attività commerciale o che la
esercitino nei limiti “di valore” indicati dal secondo comma della legge fallimentare (c.d.
piccoli imprenditori)5, compresi, dunque, i professionisti;
- non deve aver fatto ricorso alla procedura di composizione della crisi nei tre anni
precedenti.
2.1. La proposta d’accordo.
In presenza di tali presupposti, il debitore può proporre ai creditori un accordo di
ristrutturazione dei debiti con l••ausilio degli Organismi di cui all••art. 10. La proposta deve
prevedere un piano – che rappresenti la complessiva esposizione debitoria del proponente - per la
ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante la
cessione dei redditi futuri. Giovandosi dell••esperienza interpretativa maturata in relazione all••art.
182-bis della legge fallimentare, dunque, la proposta potrà contemplare la cessione dei propri beni
(mobili ed immobili, crediti, partecipazioni, ecc.), piani di rateizzazione, di proroga del termine
naturale di scadenza come pure di riduzione o di moratoria dei debiti6.
Due le cautele per favorire la fattibilità del piano, da un lato la necessità di uno o più garanti –
chiamati a sottoscrivere la proposta - per le ipotesi in cui «i beni o i redditi del debitore non siano
sufficienti a garantirla» (art, 3, 2° comma), dall••altro la possibile previsione per il debitore di
«limitazioni all'accesso al mercato del credito al consumo, all'utilizzo degli strumenti di pagamento
elettronico a credito e alla sottoscrizione di strumenti creditizi e finanziari» (3° comma). A
determinate condizioni (4° comma), il piano può prevedere una moratoria fino ad un anno per il
pagamento dei creditori estranei all••accordo.
La proposta va depositata presso il tribunale del luogo di residenza ovvero della sede
principale del debitore (art. 4). Unitamente ad essa il debitore dovrà depositare l'elenco di tutti i
creditori, con l'indicazione delle somme a ciascuno dovute; l••indicazione dei beni di cui è
proprietario e degli eventuali atti di disposizione compiuti nei cinque anni precedenti; le
dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni; l'attestazione sulla fattibilità del piano (effettuata
dall••organismo di composizione della crisi); l'elenco delle spese correnti necessarie al
sostentamento proprio e della famiglia con l••indicazione della composizione del nucleo familiare
corredata del certificato dello stato di famiglia. Nel caso di debitore piccolo imprenditore, le
scritture contabili degli ultimi tre esercizi7 .
7 Ovvero in sostituzione «gli estratti conto bancari tenuti ai sensi dell••articolo 14, comma 10, della legge 14
novembre 2011, n. 183, unitamente a una dichiarazione che ne attesti la conformità all••originale».
8 Le comunicazioni - che potranno avvenire anche «per telegramma o per lettera raccomandata con avviso di
ricevimento o per telefax o per posta elettronica certificata».
9 La norma non dispone in ordine all••eventuale verifica negativa da parte del giudice. Conformemente ai
richiamati articoli 737 e ss. c.p.c. si tratterà di un decreto. Sarebbe stata, tuttavia, opportuna la previsione dei
provvedimenti adottabili dal giudice. Difatti, fermo restando che il provvedimento “negativo” del giudice nessuna
efficacia preclusiva determinerebbe a carico del debitore che volesse ripresentare la proposta (giusto il richiamo delle
norme dei procedimenti volontaria giurisdizione), ben si potrebbe ipotizzare la possibilità per il giudice di ordinare a
debitore l••integrazione dei documenti di cui all••art. 4 ove l••impossibilità di ammissione alla procedura di crisi fosse
stata determinata da tale incompletezza.
2.2. L’omologazione dell’accordo. Effetti e vicende dell’accordo.
Il giudice, verificati i presupposti di ammissibilità della proposta fissa con decreto un••udienza
e dispone la comunicazione a tutti i creditori della proposta e del decreto stesso (art. 5). Il giudice
dispone inoltre adeguate forme di pubblicità del decreto e della proposta consistenti, nel caso in cui
il debitore sia un imprenditore commerciale, nella pubblicazione in apposita sezione del registro
delle imprese8.
Il Tribunale, dunque, non svolge, in questa fase alcun controllo di merito del piano ma si
limita a verificare la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi di ammissibilità e del
deposito dei documenti indicati dall••art. 49.
Nel corso dell••udienza – assoggettata alle norme del procedimento in camera di consiglio
malgrado il tribunale operi in composizione monocratica ed in quanto compatibili– il giudice
verificata l••«assenza di iniziative o atti in frode ai creditori» dispone con decreto che, per un
periodo non superiore a 120 giorni, non possano essere avviate azioni esecutive ovvero debbano
essere sospese le azioni già intraprese, né disposti sequestri conservativi, «né acquistati diritti di
prelazione» nei confronti del debitore da parte di creditori «aventi titolo o causa anteriore». Per il
medesimo periodo le prescrizioni rimarranno sospese e le decadenze non si verificheranno. Avverso
tale decreto può essere proposto reclamo al tribunale in composizione collegiale del quale non fa
parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento, al pari di quanto previsto dall••art. 739 c.p.c.
(6° comma).
Ai sensi dell••art. 6, i creditori dovranno comunicare all••organismo di composizione della crisi
il proprio assenso o dissenso rispetto alla proposta di accordo (non è stabilito un termine per
l••accettazione)10.
10 Anche «per telegramma o per lettera raccomandata con avviso di ricevimento o per telefax o per posta
elettronica certificata», come pure la pubblicità del decreto e della proposta verranno curate dall••organismo di
composizione della lite.
11 La giurisprudenza maturata in sede di 182-bis precisa che «la percentuale va raggiunta al momento del
deposito» «e va calcolata sul totale comprendente oltre che i creditori dissenzienti ed estranei, anche quelli privilegiati»
(Trib. Brescia 22 febbraio 2006, decr., in Fallett.2006, 669 e ss.).
12 Ossia l••impossibilità di iniziare o proseguire azioni esecutive, di effettuare sequestri, di costituire diritti di
prelazione. Tale previsione ricalca parzialemnte gli effetti del concordato preventivo sulle procedure individuali
intraprese, effetto che, al contrario non scaturisce dagli accordi di ristrutturazione dei debiti previsti dalla legge
fallimentare.
Il secondo comma specifica che per essere approvata, la proposta deve essere accettata
da creditori che rappresentino almeno il 70% per cento dei crediti, percentuale che scende al
50 per il consumatore. L••accordo non determina, salvo che non sia diversamente stabilito, la
novazione dei crediti11.
Se l••accordo è raggiunto, ai sensi del successivo art. 7, l••organismo di composizione
trasmetterà ai creditori una relazione che dia conto della percentuale di accettazione. Nei successivi
dieci giorni questi ultimi potranno sollevare contestazioni.
Decorso tale termine l••accordo, la relazione e le contestazioni verranno trasmesse al
Tribunale. Il giudice, verificati i requisiti suddetti, l’idoneità dell’accordo a soddisfare i
creditori estranei, e «risolta ogni altra soddisfazione» dispone la pubblicazione dell’accordo
assicurandone idonea pubblicità. La forma del provvedimento di omologa o di diniego della
stessa, considerato il richiamo agli artt. 737 e ss. del c.p.c., sarà quella del decreto motivato,
reclamabile al collegio, ex art. 739 c.p.c.
L••accordo è revocato di diritto se il debitore non esegue integralmente, entro novanta giorni
dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali e agli enti gestori di forme di
previdenza e assistenza obbligatorie (art. 6, 5° comma).
Per un periodo non superiore ad un anno rispetto alla data dell••omologazione l••accordo
conserva gli effetti “cautelari” sul patrimonio del debitore autorizzati dal giudice a norma dell••art.
512. Tale effetti vengono meno in caso di risoluzione dell••accordo o di mancato pagamento dei
creditori estranei. I pagamenti e gli atti di disposizione effettuati in violazione dell••accordo sono
nulli (art. 8, 4° comma).
Competente a vigilare sull••esatto adempimento dell••accordo, risolvendo le «eventuali
difficoltà insorte» è l••organismo di composizione della crisi, mentre l••esecuzione è demandata ad un
liquidatore nominato dal tribunale (art. 8).
Tuttavia «sulle contestazioni che hanno ad oggetto la violazione di diritti e sulla sostituzione
del liquidatore per giustificati motivi decide il giudice investito della procedura».
L••accordo può essere annullato dal tribunale (art. 9), su istanza di ogni creditore, in
contraddittorio con il debitore, soltanto13 quando è stato dolosamente aumentato o diminuito il
passivo, sottratta o dissimulata una parte rilevante dell'attivo ovvero dolosamente simulate attività
inesistenti.
13 La norma specifica che «non è ammessa alcuna altra azione di annullamento».
Può, invece, essere risolto, su istanza di ciascun creditore, quando:
- il proponente non adempie regolarmente agli obblighi derivanti dall'accordo;
- le garanzie promesse non vengono costituite;
- l'esecuzione dell'accordo diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore;
Il ricorso per la risoluzione deve essere presentato entro il termine perentorio di un anno dalla
data dell••ultimo adempimento previsto dall••accordo. L••annullamento o la risoluzione non
pregiudicano – conformemente alle corrispondenti categorie negoziali – i diritti acquistati dai terzi
in buona fede.
Ipotesi automatiche di risoluzione dell••accordo sono infine il mancato pagamento dei creditori
estranei all••accordo e la pronuncia di una sentenza di fallimento a carico del debitore.
2.3. Gli organismi di composizione della crisi.
Gli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento, disciplinati dagli articoli da
10 a 12, possono essere costituiti ad hoc da enti pubblici e devono essere iscritti in apposito registro
presso il Ministero della giustizia. A tal uopo dovrà essere adottato, entro 90 giorni dall••entrata in
vigore della legge, un regolamento che determini «i criteri e le modalità di iscrizione nel registro»,
nonché la formazione dell'elenco e la sua revisione, l'iscrizione, la sospensione e la cancellazione
degli iscritti, le indennità. Gli organismi di mediazione costituiti presso le camere di conciliazione
presso le C.C.I.A., nonché i segretariati sociali per l••informazione e consulenza al singolo e ai
nuclei familiari, previsti dalla legge quadro sui servizi sociali (L. n. 328/2000), a domanda, sono
iscritti di diritto nel registro; analogo diritto hanno gli ordini professionali degli avvocati, dei notai,
dei commercialisti ed esperti contabili.
L••articolo 11 consente al tribunale e agli organismi di composizione della crisi (previa
autorizzazione del primo) l••accesso alle banche dati pubbliche (fra le quali anagrafe tributaria;
sistemi di informazioni creditizie; centrali rischi) per lo svolgimento delle funzioni previste dalla
legge e nel rispetto del codice della privacy (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196).
2.4. Considerazioni critiche.
Oltre a quanto già considerato in generale (§.1.) va qui rilevato dal punto di vista più
strettamente tecnico come il testo approvato ripeta integralmente i vizi della proposta di legge n.
2364 come modificata dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati ed insieme elimini gli
elementi di positività di quel testo.
In primo luogo la considerazione è predicabile per quanto attiene alla disciplina degli
organismi di composizione della crisi. Viene, difatti, ora introdotta la previsione di un••indennità per
tali organismi (mentre a tenore del disegno di legge Centaro le funzioni venivano svolte a titolo
gratuito); vengono, inoltre, espunte le norme penali che sanzionano il componente dell'organismo di
composizione della crisi che rende false attestazioni in ordine ai consensi espressi al piano, alla
veridicità dei dati ivi contenuti e alla fattibilità dello stesso. Inoltre la formulazione letterale della
norma di cui all••art. 10, 4° comma potrebbe lasciar intendere che mentre gli organismi di
mediazione delle Camere di commercio possano assumere di diritto la funzione di organismi di
composizione della crisi, i consigli dell••ordine degli avvocati debbano costituire organismi ad hoc
non potendo giovare di uguale previsione.
Va rilevato con forza che manca nell’art. 10, 3° comma una base normativa affinchè i
regolamenti possano prevedere requisiti di professionalità specifici per quanti vogliano
ricoprire il ruolo di componenti dell’organismo al pari di quanto avviene per il professionista
o per la società tra professionisti in possesso dei requisiti di cui all’articolo 28 del regio
decreto 16 marzo 1942, n. 267.
Passando ad altro piano, al pari di quanto disposto dal disegno di legge n. 2364, il decreto
legge introduce un procedimento eccessivamente macchinoso. Il passaggio attraverso due distinte
udienze con la previsione di un••udienza (la prima) destinata alla sola inibizione o sospensione di
procedimenti esecutivi e cautelari e di una seconda finalizzata all••omologazione dell••accordo,
appare sovrabbondante rispetto allo scopo nonché immemore della situazione di grave
sovraffaticamento dei tribunali italiani. Oltretutto si consideri che il vaglio di ammissibilità
preliminare della proposta viene effettuato dal giudice senza audizione del debitore (art. 5, 1°
comma), e che, ugualmente senza audizione, viene concessa “l••omologazione” dell••accordo (art. 7,
2° comma) rimanendo in entrambi i casi esperibile soltanto il reclamo successivo al collegio. Più
funzionale appare il modello previsto dall••art. 182-bis della legge fallimentare14 che
sostanzialmente affida la fase di conclusione dell••accordo ad un professionista qualificato e
subordina l••omologazione al decorso del tempo concesso per eventuali opposizioni.
14 Che, per maggior chiarezza si riporta integralmente: «L'imprenditore in stato di crisi può domandare,
depositando la documentazione di cui all'articolo 161, l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti
stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un
professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d) sull'attuabilita' dell'accordo stesso,
con particolare riferimento alla sua idoneita' ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei./L'accordo e'
pubblicato nel registro delle imprese e acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione./Dalla data della
pubblicazione e per sessanta giorni i creditori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire
azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore./Si applica l'articolo 168, secondo comma./Entro trenta giorni
dalla pubblicazione i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione. Il tribunale, decise le opposizioni,
procede all'omologazione in camera di consiglio con decreto motivato./Il decreto del tribunale e' reclamabile alla corte
di appello ai sensi dell'articolo 183, in quanto applicabile, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle
imprese.»
Capo II
3. Le disposizioni per l’efficienza della giustizia civile. Le modifiche alla disciplina della
mediazione.
L••art. 13 incide sulla disciplina della mediazione di cui al d.lgs. n. 28/2010.
In primo luogo (1° comma, lett. a) la disposizione crea un collegamento, con l••intento di
rafforzare l••istituto - tra mediazione delegata dal giudice, di cui all••art. 5, 2° comma del d.lgs. n.
28/2010 e i programmi per la gestione del contenzioso civile contemplati dall••art. 37, 1° comma del
d.l. n. 98/2011. L••impiego dello strumento che consente al «giudice, anche in sede di giudizio di
appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti» di
invitare queste ultime «a procedere alla mediazione» viene, pertanto, considerato tra gli strumenti
utili al conseguimento di obiettivi di riduzione e rendimento degli uffici giudiziari.
La disposizione – che non presenta senza dubbio i caratteri di necessità ed urgenza
legittimanti l••utilizzo dell••istituto di cui all••art. 77 Cost. – mira a incrementare l••utilizzo di uno
strumento scarsamente utilizzato dai magistrati. Secondo i dati diffusi dal ministero della giustizia e
relativi al periodo 21 marzo/30 settembre 2011 solamente l•• 1% delle conciliazioni attivate sono
state delegate dai giudici.
I pochi precedenti editi che ne fanno applicazione specificano, opportunamente, che «la legge
non ricollega alcuna conseguenza al rifiuto dell••invito del Giudice (coerentemente con l••istituto
della Court Annexed Mediation, di fatto recepito nell••art. 5 comma III cit.) e tale omissione non può
essere colmata né con l••art. 116 comma II c.p.c., né con l••art. 88 c.p.c., in quanto il Legislatore ha
voluto che la scelta dei litiganti fosse libera e genuina non influenzata dal timore di ricadute
sfavorevoli nella futura decisione giurisdizionale (è una mediazione su invito e non comando del
giudice)»15.
15 Cfr. Tribunale Varese, 06 luglio 2011 - - Est. Buffone.
La lettera b) modifica ulteriormente il 5° comma dell••art. 8 del d.lgs. n. 28/2010 disponendo
che «Con ordinanza non impugnabile pronunciata d’ufficio alla prima udienza di
comparizione delle parti, ovvero all’udienza successiva di cui all’articolo 5, comma 1, il
giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5, non ha partecipato al
procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una
somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio». La previsione di
una sanzione per la mancata partecipazione al procedimento di mediazione era stata, inserita in sede
di conversione del d.l.n. 138/2011 dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 (manovra d••agosto).
L••art. 8 nella versione originaria del marzo 2010 già consentiva al giudice di valutare come
argomento di prova (116, comma 2, c.p.c.) nel successivo giudizio «la mancata partecipazione
senza giustificato motivo al procedimento di mediazione»; l••intervento di settembre ha previsto
finanche la condanna della parte al «versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di
importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio». L••art. 13 del d.l.in commento
specifica che la condanna avvenga mediante ordinanza non impugnabile e che quest••ultima sia
pronunciata nel corso della prima udienza (183 c.p.c.) ovvero in quella successiva alla sospensione
disposta a norma del primo comma dell••art. 8 in caso di mancato esperimento del tentativo di
mediazione nelle ipotesi di obbligatorietà dello stesso. L••ordinanza è dichiarata non impugnabile e
perciò – nel rispetto del disposto dell••art. 177 – è altresì non modificabile e revocabile.
Sintetizzato il contenuto della disposizione, non può che ribadirsi la valutazione critica già
in precedenza espressa atteso che la previsione in commento rafforza e imbriglia nelle forme e
nei tempi il meccanismo di coercizione alla partecipazione al procedimento di mediazione
introdotto nel 2010. La legittimità costituzionale dei sistemi di risoluzione delle controversie
alternativi alla giurisdizione, difatti, passa necessariamente attraverso l’assoluta libertà di
elezione degli stessi. La previsione di meccanismi di coazione indiretta quali la valutazione del
contegno extraprocessuale della parte in sede di decisione della causa (art. 8, comma 5, prima
parte), le condanne conseguenti alla mancata accettazione della proposta del difensore (art. 13) e, da
ultimo, alla mancata partecipazione al procedimento (art. 8, comma 5, prima parte) costituiscono
elementi che – sia pur in maniera indiretta e perciò solo più subdola - rendono più difficoltoso
l••accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti garantita dall••art. 24 della Costituzione.
3.1. Le modifiche al codice di procedura civile.
Attraverso la modifica dell••art. 82, 1° comma del c.p.c. disposta dall••art. 13 del d.l.in
commento, viene innalzato a € 1000 il valore massimo delle liti che è possibile introdurre di fronte
al giudice di pace senza necessità di assistenza tecnica. In parallelo viene introdotto un quarto
comma nell••art. 91 in materia di condanna alle spese disponendo che «nelle cause previste
dall••articolo 82, primo comma, le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice non possono
superare il valore della domanda». A tenore della relazione illustrativa questa disposizione è volta
ad evitare che «in tali ipotesi, la parte soccombente» sia «pregiudicata dalla libera scelta della parte
vittoriosa di avvalersi dell••assistenza del difensore, sebbene ciò non sia imposto dalla legge».
Come già rilevato nelle considerazioni introduttive l••articolo 13 non trova giustificazione
alcuna dal punto del recupero di efficienza del sistema giustizia. La presenza del difensore in
giudizio, difatti, costituisce una garanzia non soltanto per il cittadino ma anche per il corretto
andamento della giustizia. Diventano praticamente non impugnabili le sanzioni amministrative con
conseguente lesione dell••art. 24 Cost.
3.2. Le modifiche alla l. n. 183/2011.
Nettissimo è il giudizio negativo che si esprime con riferimento all••art. 15 che interviene sul
recentissimo istituto della c.d. «istanza di trattazione» introdotto nel processo civile appena nel
mese di novembre con la legge n. 183/2011. L••art. 26 di quest••ultima legge ha previsto che per le
impugnazioni in Corte di cassazione dei provvedimenti pubblicati prima del 4 luglio 2009 (data di
entrata in vigore della lett.n. 69/2009) e per quelle in appello pendenti da oltre due anni il
perdurante interesse alla trattazione del procedimento fosse manifestato con apposita dichiarazione
sottoscritta personalmente dalla parte pena l••estinzione del procedimento. Della necessità
dell’istanza e delle conseguenze dell’omissione era fornita notizia mediante avviso di
cancelleria.
L••art. 15 del d.l.in commento a) innalza a tre anni il periodo di pendenza dei procedimenti di
appello; b) elimina proprio l••informazione alle parti mediante avviso di cancelleria cosicché
l••ipotesi di un••estinzione silenziosa diviene ancora più probabile ed esecrabile. Il termine entro il
quale effettuare la dichiarazione, di conseguenza, viene individuato nei «sei mesi dall’entrata
in vigore della presente legge». Si tratta della lett.n. 183 del 2011 (c.d. legge di stabilità).
La misura, dunque, sembrerebbe destinata a trovare applicazione una tantum, soltanto con
riferimento ai giudizi pendenti da oltre tre anni senza che possa divenire un meccanismo per così
dire “ordinario” al pari di quanto avviene per l••istituto della perenzione nel processo
amministrativo. L••art. 82 del codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104/2010) difatti
contempla un istituto affine – ma meglio congegnato - per i ricorsi amministrativi pendenti da più
di cinque anni. La norma prevede che la segreteria informi il difensore dell••onere e collega la
perenzione all••inerzia successiva al decorso di 180 giorni dalla ricezione della stessa.
L••art. 15 conferma inoltre (salvo una modifica meramente letterale) che l’istanza di interesse
alla trattazione debba essere «sottoscritta personalmente dalla parte che ha conferito la
procura alle liti», aggiungendo soltanto la necessità di autenticazione della sottoscrizione da
parte del difensore.
La scelta legislativa va nuovamente criticata atteso che appare finanche più angusta di quanto
previsto in generale per l••estinzione per rinuncia agli atti del giudizio dall••art. 306, comma 2, che
consente che la dichiarazione di rinuncia possa provenire altresì dal procuratore speciale. Non vi è
ragione plausibile per un tale rigore atteso che, a differenza di quanto avviene per la dichiarazione
di rinuncia all••impugnazione che è atto di disposizione del diritto (comportando l••estinzione del
giudizio e il conseguente passaggio in giudicato del provvedimento impugnato) in questo caso la
dichiarazione non ha altro effetto che quello di consentire al giudizio di proseguire lungo il suo
normale corso, senza alcuna spendita di poteri dispositivi.
Le difficoltà di un tale adempimento sono di palese evenienza. Si pensi ai ricorsi con pluralità
di parti; ai problemi di reperibilità delle stesse, nonché alla difficoltà organizzativa che
comporteranno per il difensori a) le operazioni di individuazione delle impugnazioni interessate
dalla disposizione prima, b) dei propri assistiti poi; c) l••interpello degli stessi; d) il consequenziale
incontro per la sottoscrizione delle istanze. Ancora una volta, la logica di disfavore nei confronti
della categoria appare evidente.
Viene altresì confermata che l••estinzione venga pronunciata con decreto a differenza di
quanto avviene tanto nel processo di cognizione (art. 308 c.p.c.) che in quello di esecuzione (art.
630 c.p.c.) ove è prevista la forma dell••ordinanza reclamabile. Permane, pertanto, il problema del
controllo del provvedimento.
Si tratta di misura che mira manifestamente a provocare il più ampio numero di
estinzioni possibile.
3.3. Le modifiche relative alla proroga dei magistrati onorari.
L••art. 16 dispone una proroga di un anno dei magistrati onorari (giudici onorari di tribunale e
vice procuratori onorari) in scadenza al 31 dicembre 2011.
La relazione di accompagnamento motiva la misura nell••attesa della riforma della
magistratura. E•• bene ricordare che sono all••esame del Senato i disegni di legge nn.127; 2080; 897 e
2359 di riforma della magistratura onoraria che, forse ancor più di quella ordinaria, necessita di una
riforma urgente, piuttosto che di successivi e ripetuti interventi tampone.
3.4. Le modifiche relative alla disciplina delle società di capitali.
L••art. 17 modifica ulteriormente la già citata legge 12 novembre 2011, n. 183 e, a tenore della
Relazione illustrativa, «e l••articolo 6, comma 4-bis, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231,
nel senso di adeguare la normativa con l••introduzione del „sindaco unico•• nel sistema di controllo
delle società di capitali, come operato dalla c.d. legge di stabilità 2012».
Viene poi introdotta una disposizione transitoria in materia di composizione degli organi di
controllo delle società a responsabilità limitata (1° comma, lett. b) per i quali è oggi prevista la
composizione monocratica come introdotta dalla legge n. 183/2011 stabilendosi che nelle società a
responsabilità limitata, i collegi sindacali nominati entro il 31 dicembre 2011 rimangono in carica
fino alla scadenza naturale del mandato deliberata dall••assemblea che li ha nominati.
Anche con riferimento a queste disposizioni l••assoluta assenza dei requisiti di necessità
urgenza appare manifesta.
4. Testo coordinato delle norme e delle disposizioni modificate dal decreto legge16
16 Le norme modificate sono inserite in grassetto. Le norme abrogate sono in carattere barrato (barrato).
Modifiche al decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28
Attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione
finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali.
[…]
Capo II – Del procedimento di mediazione
[…]
Art. 5
(Condizione di procedibilità e rapporti con il processo)
1. Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di
condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato,
affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da
responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità,
contratti assicurativi, bancari e finanziari, e' tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di
mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal
decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'articolo
128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1°
settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L'esperimento del
procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal
giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si
e' conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6. Allo stesso
modo provvede quando la mediazione non e' stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il
termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non
si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al
decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.
2. Fermo quanto previsto dal comma 1 e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice,
anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il
comportamento delle parti, può invitare le stesse a procedere alla mediazione. L'invito deve essere
rivolto alle parti prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza
non e' prevista, prima della discussione della causa. Se le parti aderiscono all'invito, il giudice fissa
la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6 e, quando la mediazione non
e' già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la
presentazione della domanda di mediazione.
3. Lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei
provvedimenti urgenti e cautelari, ne' la trascrizione della domanda giudiziale.
4. I commi 1 e 2 non si applicano:
a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di
concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;
b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui
all'articolo 667 del codice di procedura civile;
c) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'articolo 703,
terzo comma, del codice di procedura civile;
d) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata;
e) nei procedimenti in camera di consiglio;
f) nell'azione civile esercitata nel processo penale.
5. Fermo quanto previsto dal comma 1 e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, se il
contratto, lo statuto ovvero l'atto costitutivo dell'ente prevedono una clausola di mediazione o
conciliazione e il tentativo non risulta esperito, il giudice o l'arbitro, su eccezione di parte, proposta
nella prima difesa, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della
domanda di mediazione e fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo
6. Allo stesso modo il giudice o l'arbitro fissa la successiva udienza quando la mediazione o il
tentativo di conciliazione sono iniziati, ma non conclusi. La domanda e' presentata davanti
all'organismo indicato dalla clausola, se iscritto nel registro, ovvero, in mancanza, davanti ad un
altro organismo iscritto, fermo il rispetto del criterio di cui all'articolo 4, comma 1. In ogni caso, le
parti possono concordare, successivamente al contratto o allo statuto o all'atto costitutivo,
l'individuazione di un diverso organismo iscritto.
6. Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla
prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione
impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale
deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di
cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo.
6-bis. Il capo dell’ufficio giudiziario vigila sull’applicazione di quanto previsto dal
comma 1 e adotta, anche nell’ambito dell’attività di pianificazione prevista dall’art. 37,
comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 9817, convertito, con modificazioni, dalla legge 15
luglio 2011, n. 111, ogni iniziativa necessaria a favorire l’espletamento della mediazione su
invito del giudice ai sensi del comma 2, e ne riferisce, con frequenza annuale, al Consiglio
Superiore della Magistratura ed al Ministero della Giustizia.
17 L••art. 37, co. 1 del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv. in legge 15 luglio 2011, n. 111 prevede la redazione da parte dei capi degli
uffici giudiziari, sentiti i Presidenti dei rispettivi Consigli dell••ordine degli avvocati, di un programma per la gestione dei
procedimenti civili, amministrativi e tributari pendenti.
[…]
Art. 8
(Procedimento)
1. All'atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell'organismo
designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre quindici giorni dal deposito della
domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all'altra parte con ogni mezzo
idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante. Nelle controversie che
richiedono specifiche competenze tecniche, l'organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari.
2. Il procedimento si svolge senza formalità presso la sede dell'organismo di mediazione o nel
luogo indicato dal regolamento di procedura dell'organismo.
3. Il mediatore si adopera affinché le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione
della controversia.
4. Quando non può procedere ai sensi del comma 1, ultimo periodo, il mediatore può
avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. Il regolamento di procedura
dell'organismo deve prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli
esperti.
5. Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il
giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'articolo 116, secondo
comma, del codice di procedura civile. Con ordinanza non impugnabile pronunciata d’ufficio
alla prima udienza di comparizione delle parti, ovvero all’udienza successiva di cui
all’articolo 5, comma 1, il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5,
non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio
dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio
Modifiche al CODICE DI PROCEDURA CIVILE
Art. 82
(Patrocinio)
Davanti al giudice di pace le parti possono stare in giudizio personalmente nelle cause il cui
valore non eccede 516,46 euro euro mille.
Negli altri casi, le parti non possono stare in giudizio se non con il ministero o con
l••assistenza di un difensore. Il giudice di pace tuttavia, in considerazione della natura ed entità della
causa, con decreto emesso anche su istanza verbale della parte, può autorizzarla a stare in giudizio
di persona.
Salvi i casi in cui la legge dispone altrimenti, davanti al tribunale e alla corte d••appello le parti
debbono stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente; e davanti alla corte
di cassazione col ministero di un avvocato iscritto nell••apposito albo.
Art. 91
(Condanna alle spese)
Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente
al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di
difesa. Se accoglie la domanda in misura non superiore all'eventuale proposta conciliativa,
condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del
processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma
dell'articolo 92.
Le spese della sentenza sono liquidate dal cancelliere con nota in margine alla stessa; quelle
della notificazione della sentenza, del titolo esecutivo e del precetto sono liquidate dall'ufficiale
giudiziario con nota in margine all'originale e alla copia notificata.
I reclami contro le liquidazioni di cui al comma precedente sono decisi con le forme previste
negli articoli 287 e 288 dal capo dell'ufficio a cui appartiene il cancelliere o l'ufficiale giudiziario.
Nelle cause previste dall’articolo 82, primo comma, le spese, competenze ed onorari
liquidati dal giudice non possono superare il valore della domanda.
Modifiche alla legge 12 novembre 2011, n. 183
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di
stabilità 2012)
Art. 14
(Riduzione degli oneri amministrativi per imprese e cittadini)
[…]
8. Il comma 1-bis dell'articolo 36 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, deve intendersi nel senso che l'atto di
trasferimento delle partecipazioni di società a responsabilità limitata ivi disciplinato e' in deroga al
secondo comma dell'articolo 2470 del codice civile ed e' sottoscritto con la firma digitale di cui
all'articolo 24 del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.
9. A partire dal l° gennaio 2012, le società a responsabilità limitata che non abbiano nominato
il collegio sindacale sindaco possono redigere il bilancio secondo uno schema semplificato. Con
decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro novanta giorni dalla data di
entrata in vigore della presente legge, sono definite le voci e la struttura che compongono lo schema
di bilancio semplificato e le modalità di attuazione del presente comma.
10. I soggetti in contabilità semplificata e i lavoratori autonomi che effettuano operazioni con
incassi e pagamenti interamente tracciabili possono sostituire gli estratti conto bancari alla tenuta
delle scritture contabili.
11. I limiti per la liquidazione trimestrale dell'IVA sono i medesimi di quelli fissati per il
regime di contabilità semplificata.
12. All'articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, dopo il comma 4 e' inserito il
seguente:
«4-bis. Nelle società di capitali il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il comitato
per il controllo della gestione possono svolgere le funzioni dell'organismo di vigilanza di cui al
comma 1, lettera b)».
13. L'articolo 2477 del codice civile è così sostituito:
«Art. 2477. - (Sindaco e revisione legale dei conti). - L'atto costitutivo può prevedere,
determinandone le competenze e poteri, la nomina di un sindaco o di un revisore.
La nomina del sindaco e' obbligatoria se il capitale sociale non e' inferiore a quello minimo
stabilito per le società per azioni.
La nomina del sindaco è altresì obbligatoria se la società:
a) e' tenuta alla redazione del bilancio consolidato;
b) controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti;
c) per due esercizi consecutivi ha superato due dei limiti indicati dal primo comma
dell'articolo 2435-bis.
L'obbligo di nomina del sindaco di cui alla lettera c) del terzo comma cessa se, per due
esercizi consecutivi, i predetti limiti non vengono superati.
Nei casi previsti dal secondo e terzo comma si applicano le disposizioni in tema di società per
azioni; se l'atto costitutivo non dispone diversamente, la revisione legale dei conti e' esercitata dal
sindaco.
L'assemblea che approva il bilancio in cui vengono superati i limiti indicati al secondo e terzo
comma deve provvedere, entro trenta giorni, alla nomina del sindaco. Se l'assemblea non provvede,
alla nomina provvede il tribunale su richiesta di qualsiasi soggetto interessato».
13-bis. Nelle società a responsabilità limitata, i collegi sindacali nominati entro il 31
dicembre 2011 rimangono in carica fino alla scadenza naturale del mandato deliberata
dall’assemblea che li ha nominati.
14. All'articolo 2397 del codice civile e' aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Per le società aventi ricavi o patrimonio netto inferiori a 1 milione di euro lo statuto può
prevedere che l'organo di controllo sia composto da un sindaco unico, scelto tra i revisori legali
iscritti nell'apposito registro».
15. Nel caso in cui siano entrate in vigore norme di legge o regolamentari che incidano,
direttamente o indirettamente, sulle materie regolate dallo statuto sociale, le società cooperative di
cui al capo I del titolo VI del libro V del codice civile, le cui azioni non siano negoziate in mercati
regolamentati, possono modificare il proprio statuto con le maggioranze assembleari previste in via
generale dallo statuto per le sue modificazioni, anche nei casi in cui lo statuto stesso preveda
maggioranze più elevate per la modifica di determinati suoi articoli.
[…]
Art. 26
(Misure straordinarie per la riduzione del contenzioso civile pendente davanti alla Corte di
cassazione e alle corti di appello)
1. Nei procedimenti civili pendenti davanti alla Corte di cassazione, aventi ad oggetto ricorsi
avverso le pronunce pubblicate prima della data di entrata in vigore della legge 18 giugno 2009, n.
69, e in quelli pendenti davanti alle corti di appello da oltre due anni da oltre tre anni prima della
data di entrata in vigore della presente legge, la cancelleria avvisa le parti costituite dell'onere di
presentare istanza di trattazione del procedimento, con l'avvertimento delle conseguenze di cui al
comma 2 le impugnazioni si intendono rinunciate se nessuna delle parti, con istanza
sottoscritta personalmente dalla parte che ha conferito la procura alle liti e autenticata dal
difensore, dichiara la persistenza dell'interesse alla loro trattazione entro il termine
perentorio di sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge.
2. Le impugnazioni si intendono rinunciate se nessuna delle parti, con istanza sottoscritta
personalmente dalla parte che ha sottoscritto il mandato, dichiara la persistenza dell'interesse alla
loro trattazione entro il termine perentorio di sei mesi dalla ricezione dell'avviso di cui al comma 1.
2. Il periodo di sei mesi di cui al comma 1 non si computa ai fini di cui all'articolo 2 della legge
24 marzo 2001, n. 8918.
18 La legge 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. legge “Pinto”) all••articolo 2 contiene la previsione generale del diritto ad una equa
riparazione di chi ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto della violazione della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell••uomo e delle libertà fondamentali sotto il profilo del termine di ragionevole durata del processo.
19 Sul punto cfr. altresì l••art. 16, co. 2 del presente decreto legge, che recita: «I giudici onorari e i vice procuratori onorari il cui
mandato scade il 31 dicembre 2011 e per i quali non è consentita un••ulteriore conferma secondo quanto previsto dall•• articolo 42-
quinquies, primo comma, dell••ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, nonché i giudici di pace il cui
mandato scade entro il 31 dicembre 2011 e per i quali non è consentita un••ulteriore conferma secondo quanto previsto dall•• articolo
7, comma 1, della legge 21 novembre 1991, n. 374, e successive modificazioni, sono ulteriormente prorogati nell••esercizio delle
rispettive funzioni a far data dal 1° gennaio 2012, fino alla riforma organica della magistratura onoraria e, comunque, non oltre il 31
dicembre 2012.»
3. Nei casi di cui al comma 2 Nei casi di cui al comma 1 il presidente del collegio dichiara
l'estinzione con decreto.
Modifiche al decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51
Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado
[…]
Art. 245
1. Le disposizioni del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificate o introdotte dal
presente decreto, in forza delle quali possono essere addetti al tribunale ordinario e alla procura
della Repubblica presso il tribunale ordinario magistrati onorari, si applicano fino a quando non sarà
attuato il complessivo riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria a norma
dell'articolo 106, secondo comma, della Costituzione, e comunque non oltre il 31 dicembre 2011
non oltre il 31 dicembre 201219.
Modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231
Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle
associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della L. 29 settembre
2000, n. 300.
Art. 6
Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell••ente.
1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell'articolo 5, comma 1, lettera a),
l'ente non risponde se prova che:
a) l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto,
modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro
aggiornamento è stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di
controllo;
c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione
e di gestione;
d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b).
2. In relazione all'estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli
di cui alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze:
a) individuare le attività nel cui àmbito possono essere commessi reati;
b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle
decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire;
c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la
commissione dei reati;
d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul
funzionamento e l'osservanza dei modelli;
e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure
indicate nel modello.
3. I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di
cui al comma 2, sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative
degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, può
formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati.
4. Negli enti di piccole dimensioni i compiti indicati nella lettera b), del comma 1, possono
essere svolti direttamente dall'organo dirigente.
4-bis. Nelle società di capitali il sindaco, il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il
comitato per il controllo della gestione possono svolgere le funzioni dell'organismo di vigilanza di
cui al comma 1, lettera b)
5. È comunque disposta la confisca del profitto che l'ente ha tratto dal reato, anche nella forma
per equivalente.
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