Saluti e IntroduzioneCosì come nel primo convegno svoltosi lo scorso 15/9/2006 in questa stessa Aula Magna dell’Università di Pisa con larghissima e qualificata partecipazione di Studiosi, di Magistrati e di Professionisti, a distanza di un anno ho raccolto volentieri l’invito del prof. Cecchella a questa seconda giornata di studi in memoria dell’Avv. Mario Jaccheri, giornata che vede anche quest’anno un’analoga partecipazione. Partecipo di buon grado a questa manifestazione anzitutto per ricordare il non dimenticato Avvocato, insieme ai presenti, primi fra tutti la figlia avv. Elena Jaccheri ed il prof. Cecchella, ambedue assai legati al defunto, oltrechè per ovvi motivi la figlia, per motivi umani professionali e – quel che anche rileva – sportivi, di assoluta purezza sportiva. E’ ormai risaputo che questo Presidente del Tribunale di Pisa, in occasione di procedimenti di separazione e divorzio, purtroppo alle volte esasperati dal conflitto tra le parti non sempre fondato e spesso esagerato, si lascia andare a espressioni di rimpianto nei confronti dell’avv. Jaccheri, per ricordarne quella opportuna saggezza, - del giurista, dell’avvocato e dell’uomo,- che dovrebbe sempre guidare tutti in siffatti delicati procedimenti, che coinvolgono soprattutto la persona, sempre le parti e purtroppo spesso i figli.
Il tema proposto in questo Convegno“dal reclamo all’appello: le impugnazioni nei procedimenti di separazione e divorzio” é particolarmente interessante e reso indubbiamente attuale dalle modifiche normative entrate in vigore nel 2006, purtroppo non sempre chiare e quindi fonte di contrastanti interpretazioni.
Quanto al reclamo, l’innovazione di grande rilievo è data dal nuovo art. 708 comma 4 CPC, come introdotto dall’art. 2 comma 1 della l. n. 54/2006, art. innovato il primo che prevede che contro i provvedimenti presidenziali provvisori ed urgenti nel termine perentorio di 10 giorni dalla notificazione del provvedimento si può proporre reclamo alla corte d’appello, che decide in camera di consiglio; per l’art. 4 comma 2 della predetta legge, la disposizione è applicabile anche al divorzio (come ai provvedimenti adottati nel giudizio di nullità matrimoniale).
Si è detto che il legislatore ha così inteso risolvere la dibattuta questione della reclamabilità dei provvedimenti presidenziali, particolarmente avvertita in dottrina ma contrastata dalla giurisprudenza maggioritaria, precludendo quindi definitivamente l’ammissibilità di un reclamo ex art. 669 terdecies dei provvedimenti presidenziali stessi al collegio del tribunale; l’attribuzione della competenza alla corte d’appello sarebbe stata verosimilmente fatta per eliminare ogni questione di imbarazzo o resistenza dei magistrati del tribunale a doversi pronunciare sul provvedimento adottato dal capo dell’ufficio.
Il nuovo reclamo voluto dal legislatore, non dovrebbe essere quello cautelare, non menzionato, ex art. 669 terdecies CPC (che, in particolare, prevede la decorrenza del termine dalla comunicazione e lo fissa in 15 giorni) ma quello camerale ex art. 739 CPC, e ciò anche in sintonia col predetto art. 739, con una presa di posizione quindi di un’impostazione dell’udienza presidenziale in termini di volontaria giurisdizione.
Se l’espressa previsione legislativa suindicata relativa alla reclamabilità alla Corte d’Appello dei provvedimenti previdenziali ha risolto quest’aspetto del problema, diversamente è a dire quanto ai provvedimenti del G. I.. La giurisprudenza assolutamente prevalente (fatta salva qualche recente e contrastata apertura, in particolare dei Tribunali di Genova e Rovereto ed ora anche di Firenze) aveva costantemente escluso, così come per i provvedimenti presidenziali primo dello specifico strumento introdotto dal nuovo art. 708 comma 4, che i provvedimenti di modifica e revoca del G. I. fossero reclamabili, in particolare in ragione della negazione della natura cautelare in senso proprio di tali provvedimenti. Parte della dottrina, invece era favorevole al reclamo, lamentando un particolare deficit di garanzie per i provvedimenti del G. I..
La dottrina favorevole al reclamo ha subito tratto argomenti dalle modifiche introdotte sul procedimento cautelare dalla legge 80/2005 per affermare la reclamabilità dei provvedimenti sia del Presidente al tempo (allorché non era stato ancora modificato l’art. 708 comma 4) sia del G. I., in particolare osservando che ormai tutti i provvedimenti cautelari anticipatori – tra cui anche quelli in questione - sopravvivono all’estinzione del procedimento di merito, talché sarebbe venuto meno il principale ostacolo normativo alla reclamabilità cautelare, fondato sull’art. 189 disp. att. CPC che, prevedendo l’ultrattività dei provvedimenti in questione, consentiva di escluderne la c.d. “strumentalità” (principale profilo funzionale delle misure cautelari).Lo stesso Tribunale di Genova nell’ordinanza del 6/2/2007 non esita ad affermare che quello del G.I. ormai può essere considerato un provvedimento cautelare, talchè l’applicabilità del reclamo ex art. 668 terdecies può essere ammessa in via di interpretazione meramente estensiva. Anche il Tribunale di Firenze con ordinanza del 30/11/2006 assume la natura cautelare del provvedimento del G.I. e ritiene possibile l’applicazione diretta del reclamo ex art. 669 terdecies.
Si è opposto che il nuovo art. 708 comma 4, prevedendo solo il reclamo (e non ex art. 669 terdecies) contro i provvedimenti presidenziali, ha fortemente incrinato, anche dopo le modifiche introdotte sul procedimento cautelare dalla legge 80/2005, il fondamento della tendenza estensiva del reclamo cautelare ai provvedimenti del G. I.. A tal fine si è, in particolare, osservato che, anche se non volesse darsi un peso decisivo all’argomento formale dell’ ”ubi lex voluit, dixit”, tale argomento non può essere svalutato, e tanto meno col rilievo che ormai l’impugnabilità dei provvedimenti in questione è stata espressamente affermata dal legislatore con riferimento alle misure presidenziali: non si considererebbe, infatti. che la legge n. 80/2005, pur in costanza di un ampio dibattito sulla reclamabilità, non ha preso espressa posizione e che, rinvigorito tale dibattito proprio dalle modifiche introdotte da tale legge sul procedimento cautelare, il nuovo art. 708 comma 4 quale introdotto dall’art. 2 comma 1 della l. n. 54/2006 ha fatto una precisa scelta limitando la reclamabilità ai provvedimenti presidenziali attraverso uno strumento diverso da quello cautelare ex art. 669 terdecies CPC (non menzionato), cioè quello camerale ex art. 739 CPC; si è anche obiettato che non convince l’obbligata affermazione che, diversamente che per i provvedimenti presidenziali, per quelli del G. I. il reclamo dovrebbe essere quello cautelare ex art. 669 terdecies CPC e la competenza spetterebbe al tribunale in composizione collegiale; potrebbe anche aggiungersi che non si vede quale funzione cautelare abbiano i provvedimenti consueti in tema di separazione sui quali potrebbe incidere un provvedimento di modifica o revoca del G. I. (autorizzazione dei coniugi a vivere separati; affidamento, quando ve ne sono, dei figli minori, ed in particolare dopo la legge n. 54/2006 affidamento condiviso quale ipotesi prioritaria; domiciliazione dei figli stessi; assegnazione del domicilio coniugale; eventuale determinazione del contributo di mantenimento), se non invece una mera funzione anticipatoria.
Tendenza particolare, poi, è quella che, non ritenendo i provvedimenti del G.I. cautelari in senso stretto, ne ammette il reclamo ex art. 669 terdecies CPC in via analogica, in una interpretazione costituzionalmente orientata dopo l’introduzione del reclamo avverso l’ordinanza presidenziale e quindi di osservanza del principio di eguaglianza. Ma detta tendenza, oltre a dover superare la più gran parte delle obiezioni già indicate, dovrebbe ben spiegare come possa superarsi il principio di tassatività delle impugnazioni, ritenendosi dai più che il reclamo ex art. 669 terdecies ha natura impugnatoria; dovrebbe ben chiarire perché non possa considerarsi giustificata la discrezionalità del legislatore di limitare il reclamo alle ordinanze presidenziali per evitare una pletora di reclami contro i provvedimenti del G. I.; dovrebbe, poi, considerare che l’analogia, che trae fondamento dalla stessa natura e dallo stesso contenuto dei provvedimenti presidenziali e di quelli del G. I., dovrebbe condurre ad ipotizzare l’estensione del reclamo alla Corte d’Appello contro i secondi (cioè quelli del G. I.), ciò che invece appare legislativamente escluso e quindi inapplicabile per il principio di tassatività delle impugnazioni; dovrebbe, di conseguenza, anche spiegare come due tipi di provvedimenti di un organo monocratico dello stesso grado, aventi la stessa natura e lo stesso contenuto, possano essere soggetti a reclamo innanzi ad organi collegiali diversi.
Questioni si presentano anche in ordine ai presupposti della revoca – modifica dell’ordinanza presidenziale da parte del G. I.; per tal motivo ipotizzo sommariamente delle soluzioni abbastanza ragionevoli
Gli artt. 709 ultimo comma CPC e 4 comma 8 l. divorzio nel testo introdotto dalla l. n. 80/2005 prevedono che i provvedimenti presidenziali possano essere revocati o modificati dal G. I., in tesi ancora senza necessità di intervento di circostanze sopravvenute. Allora la mancata proposizione del reclamo, che non comporta una sorta di acquiescenza ai provvedimenti presidenziali che restano temporanei, non dovrebbe precludere la potestà di modifica del G. I. in corso di causa; tale potestà del G. I. dovrebbe potersi esercitare anche se il provvedimento presidenziale è ancora reclamabile non essendo stato ancora notificato, o al limite anche in pendenza di reclamo, salvo a richiedere, eventualmente in analogia all’art. 669 decies comma 1, mutamenti di circostanze o fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successiva al provvedimento cautelare, con connesso onere di prova a carico dell’istante; ancor più, una volta pronunciatasi in sede di reclamo la corte d’appello, il cui provvedimento deve avere un minimo di stabilità e non essere suscettibile di essere anche a breve vanificato, ulteriori modifiche dovrebbero poter essere adottate dal G. I. solo in presenza di sopravvenienze.
L’art. 709 ter CPC, rubricato come “soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni”, desta alcuni notevoli problemi di interpretazione, che hanno dato già luogo a soluzioni diverse e contrastanti, anche con riferimento all’impugnabilità dei provvedimenti emessi.
La norma, destinata ai sensi del comma 1 a “disciplinare le controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della potestà genitoriale o delle modalità di affidamento”, ai sensi del primo inciso del comma 2 consente al giudice nei casi meno gravi di adottare i provvedimenti opportuni; però, allo stesso comma 2, in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento, conferisce al giudice il potere di modificare i provvedimenti in vigore nonché congiuntamente di adottare le misure di cui ai n.n. 1-2-3-4 (ammonimento, statuizioni risarcitorie e sanzione amministrativa). Si è detto che la natura dei provvedimenti in esame non è tanto (o comunque non soltanto) risarcitoria in senso stretto, bensì piuttosto sanzionatorio-compulsoria o anche di coercizione indiretta.
Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 709 ter, “i provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari”.
Sinteticamente, occorre premettere che qualcuno ritiene, specie con riferimento ai provvedimenti sanzionatori, che possano essere adottati solo dal Collegio in sede di sentenza, traendo argomento dalla possibilità di impugnazione nei modi ordinari, ma tale opinione non convince sia perché la norma indica il giudice del procedimento sia anche perché l’attribuzione esclusiva della competenza al collegio in sede di decisione finale rischierebbe di rallentare l’adozione di misure di solito connesse ad un contesto di urgenza e che per essere efficaci devono essere relativamente immediate; non convince neppure la tesi della competenza esclusiva del Collegio anche in via interinale, perchè viene eliminata, senza giustificato motivo e contro il disposto di legge, la possibilità di un impugnazione autonoma ed immediata, invece rimandata a quella contro la sentenza, salvoché non si voglia complicare la questione con un reclamo alla Corte d’Appello o ad altra Sezione o Collegio del Tribunale . Si è, invece, ritenuto che la soluzione più ragionevole e vicina alla normativa in questione appare essere quella di ritenere la competenza del G. I. nel corso dei procedimenti di separazione o divorzio, del tribunale per i minorenni in caso di figli naturali, del tribunale in sede collegiale in caso di decisione della separazione e del divorzio nonché di controversie successive alla separazione ed al divorzio, con il vantaggio che ciascun giudice segue il rito che gli è proprio.
Di conseguenza, si condivide l’impostazione di chi ritiene che, se pure tradizionalmente con la dizione «modi ordinari» il legislatore è solito indicare i mezzi di impugnazione ordinariamente previsti avverso le sentenze (appello e ricorso per cassazione), pare più corretto interpretare la disposizione in esame come riferita ai mezzi tradizionali e comuni previsti per quel particolare provvedimento, anche perché l’art 709 ter non parla di mezzi di impugnazione ma di modi di impugnazione. Qualche problema può esser dato in caso di provvedimento emesso dal G. I in composizione monocratica, per il quale non è più previsto il reclamo al Collegio, ma l’apertura ovviamente per chi l’ammette - al reclamo ex art. 669 ter decies, anche in via analogica, contro i provvedimenti del G. I. di modifica e revoca dell’ordinanza presidenziale dovrebbe togliere ogni ostacolo; per chi non condivide la suddetta apertura, la previsione normativa nell’art. 709 ter dell’impugnabilità del provvedimento sembra meglio consentire la soluzione del suindicato problema nel senso della possibilità di reclamo al Collegio del provvedimento stesso pur se emesso dal G. I., anche perché l’art. 178 CPC rubricato come “controllo del collegio sulle ordinanze” ancora sopravvive seppure in casi particolari e la dizione normativa della possibilità di impugnazione nei modi ordinari consentirebbe il superiore controllo del Collegio; ma colla conseguenza che le forme ed i tempi di tale reclamo dovrebbero essere quelle del predetto art. 178.
In ordine all’appello sulle sentenze di separazione, occorre premettere che la giurisprudenza milanese dagli anni 90 ammetteva la possibilità di una sentenza non definitiva di separazione giudiziale e riteneva che la causa poteva continuare davanti al giudice della separazione per i provvedimenti accessori (addebito, affidamento dei figli, assegnazione della casa coniugale, contributo di mantenimento); che, se nelle more la sentenza non definitiva di separazione passava in giudicato (ad es. per mancata impugnazione), poteva essere proposta domanda di divorzio con richiesta di pronuncia non solo sul vincolo ma anche sui provvedimenti accessori (fatta eccezione per l’addebito), anche mentre la relativa domanda su tali provvedimenti era tuttora pendente innanzi al giudice della separazione; che sono poi intervenute le Sez. Unite della Cassazione che colle sent. n. 15248/2001 e 15279/2001, sia pure pronunciandosi in tema di domanda di addebito, fondando la decisione non sull’art. 23 in relazione all’art. 4 comma 9 della legge sul divorzio bensì sull’art. 277 CPC, hanno ritenuto che la richiesta di declaratoria di addebitabilità della separazione ha natura di domanda autonoma, pur se logicamente subordinata alla pronuncia di separazione, talché, in carenza di ragioni o norme derogative dell’art. 277 comma 2 CPC, il giudice del merito può limitare la decisione alla domanda di separazione, se ciò risponde ad un apprezzabile interesse della parte e se non sussiste per la domanda stessa la necessità di ulteriore istruzione.
E’anche il caso di accennare che il fondamento dato dalle Sezioni Unite alla sentenza non definitiva di separazione, cioè l’art. 277 CPC, diversamente da quanto in precedenza fatto dalla giurisprudenza milanese e da Cass. Sez. I 13312/2000 che avevano ammesso la sentenza non definitiva sulla base dell’estensione per l’art. 23 dell’art. 4 comma 9 della l. sul divorzio, creava – tra l’altro - il problema dell’applicabilità della riserva d’appello alla sentenza non definitiva di separazione, mentre l’art. 4 comma 9 della legge sul divorzio coll’estensione ex art. 23 alla separazione consentiva solo l’appello immediato avverso la sentenza sul vincolo.
L’art. 1 comma 4 della l. n. 263/2005 pare aver risolto il problema col nuovo art. 709 bis, disponendo che: a) anche nel procedimento di separazione, nel caso in cui il processo debba continuare per la richiesta di addebito, per l’affidamento dei figli o per le questioni economiche, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa alla separazione; b) avverso tale decisione è ammesso soltanto appello immediato deciso in camera di consiglio.
Dopo la riforma dell’art. 709 bis, sembrerebbe anche superato ogni dubbio circa l’applicazione generalizzata del rito camerale a tutti gli appelli proposti contro le sentenze emesse in tema di separazione, in quanto sarebbe del tutto irrazionale limitare le modalità procedimentale previste da tale norma alle impugnazioni delle sole sentenze non definitive.
Dr. Carlo De Pasquale
Presidente Tribunale Pisa
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