De profundis del ritodi Claudio Cecchella
Con la legge n. 80 del 2005 erano già evidenti i sintomi di un lento declino del rito societario, sia per il definitivo tramonto del progetto di una sua generalizzazione all'intera materia civile, sia per l'abbandono delle sorti del rito alla volontà delle parti sancito dall'art. 70 - ter disp. att. c.p.c.; oggi alla luce del disegno di legge governativo proposto dal Guardasigilli si deve più propriamente parlare di un de profundis.
1. Senza tenere in considerazione le gravi difficoltà suscitate dall'approssimazione della tecnica legislativa che aveva ispirato l'art. 70 - ter c.p.c., il disegno di legge governativo concepito sotto l'impulso del conclamato programma di una accelerazione dell'agonizzante processo civile, sembra far assurgere la citata disposizione a fonte unica di ispirazione della regolamentazione del processo societario.
Infatti il disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 16 marzo 2007 sconvolge, per il bene della giustizia civile, un intero decreto legislativo (il n. 5 del 2005 sul processo societario), con la introduzione di un terzo comma all'art. 70 -ter c.p.c.: <>.
2. E' il trionfo dei detrattori del nuovo rito, come ha giustamente sottolineato Luiso in un recente contributo pubblicato su www.judicium.it ove si legge: "Si tratta, com’è evidente, di una scelta radicalmente “politica”, tesa a dare soddisfazione a chi, in questi ultimi anni, ha considerato il rito societario come la fonte di tutti i mali del processo".
Lo spunto di Luiso merita la massima attenzione, poiché ancora una volta si pensa (dopo le riforme degli anni 1973, 1990-95, 2003 e infine degli anni 2005-2006) che la terapìa per il morbo che è penetrato nel processo civile sia (ancora) una riforma del rito e non si è ancora inteso, dopo trenta anni di riforme, che il problema è essenzialmente di spesa pubblica, in termini di incremento degli organici della magistratura (togata), che allinei l'Italia alla Germania o alla Francia, di personale di cancelleria e di informatizzazione del processo civile.
Ma quello che è peggio non si è colto, pur nei limiti palesi del rito societario, quanto di positivo esso potesse avere per certe scelte radicali, ma in linea con sistemi di giustizia che hanno dimostrato - grazie anche alla maggiore attenzione ai problemi ordinamentali - una diversa efficienza dal processo italiano. Ci riferiamo evidentemente al monopolio della parte, nella fase della trattazione.
3. Ma vediamo anzitutto lo scenario che si aprirebbe se la riforma governativa dovesse essere approvata.
Il futuro legislatore non abbandona più il c.d. rito societario, nella sua espansione in materie diverse da quelle indicate nell'art. 1 del d. lgs. n. 5 del 2003, al consenso delle parti, ma anche le stesse controversie societarie e affini di cui alla citata disposizione, vengono anch'esse abbandonate al consenso delle parti.
Se l'attore non propone in citazione lo svolgimento del processo nelle forme del rito societario oppure se l'attore formula tale proposta ma il convenuto non vi aderisce in comparsa, il rito segue le forme ordinarie.
In buona sostanza l'attore potrebbe non manifestare alcuna volontà favorevole all'alternativa societaria, e in tal caso il rito sarebbe ab initio e senza deroga alcuna quello ordinario, oppure manifestando tale volontà sarebbe comunque assoggettato alle libere determinazioni del convenuto, il quale potrebbe depositare anziché notificare la comparsa e in tal modo generare i presupposti per la prosecuzione nelle forme del rito ordinario.
Resta ferma l'impossibilità di un'espressione preventiva della volontà, essendo essa ammessa come negozio processuale tipico solo in occasione del perfezionamento degli atti introduttivi.
Peraltro il legislatore, nel suo disegno demolitore del rito societario, si è dimenticato che quel rito ha avuto occasione di espandersi anche in altre materie ove in difetto di espressa mensione nell'articolo in commento, come nella materia dei diritti di proprietà industriale (art. 134 d. lgs. n. 30 del 2005), resta la vigenza ex lege insuscettibile di deroga pattizia.
4. La progettata riforma non tiene in considerazione, come ormai da troppo tempo, i dubbi in più occasioni sollevati dalla dottrina, particolarmente nell'applicazione della disposizione al processo litisconsortile, ovvero quando più sono i convenuti citati (ciò che nel rito societario è ipotesi tutt'altro che rara).
Resta infatti ferma, per lo svolgimento nelle forme del rito societario, che tutti i convenuti aderiscano alla proposta dell'attore, ma resta altresì ferma - per la tecnica approssimativa della legge n. 80 del 2005 in mancanza di una coincidenza dei termini tra la costituzione nelle forme del rito ordinario al fine di evitare le decadenze in relazione alle domande riconvenzionali e alle eccezioni di merito e di rito riservate alla parte e i termini per l'opzione sul rito - la possibilità che il convenuto che si adagi sul termine per l'espressione della sua volontà adesiva (dieci giorni prima dell'udienza), in presenza di un diniego degli altri convenuti i quali si sono costituiti nei venti giorni anteriori, sia irrimediabilmente decaduto dalle difese ch'egli doveva esprimere a pena di decadenza nei venti giorni anteriori alla udienza, ai sensi dell'art. 167 c.p.c.
Senza poi dimenticare che in difetto di correttivi, il convenuto può essere ispirato nella scelta dall'intento di neutralizzare la nomina del giudice, a seguito della costituzione in giudizio e iscrizione a ruolo della causa da parte dell'attore, poiché l'adesione al rito societario revocherebbe inevitabilmente la nomina ed egli potrebbe sperare nella nomina futura di un giudice relatore o di un collegio più gradito.
Si ignora poi la grave lacuna per il caso del litisconsorzio successivo, dovuto a chiamata o intervento volontario, risolto interpretativamente dalla dottrina, dopo l'entrata in vigore della legge n. 80 del 2005, a seconda del tipo di incremento soggettivo del giudizio, se accompagnato o meno ad un incremento oggettivo (per la domanda rivolta verso o da parte del terzo), poiché nel primo caso pare inevitabile assoggettare alla volontà pure del terzo la scelta sul rito, con il che nel caso di rito societario il litisconsorzio successivo sarebbe vanificato.
Tutti problemi di tecnica del processo, oggetto di ampio dibattito in dottrina, che il legislatore avrebbe ben potuto affrontare.
5. Saremo propensi a pensare, come si è evidenziato in apertura, non ad una scelta nella sostanza abrogratrice del nuovo rito, poiché continuiamo a propendere per la neutralità delle scelte sul rito rispetto al grande male cui è affetto il processo civile, bensì ad un tentativo di razionalizzazione.
Che il processo si conduca attraverso un dialogo "privato" nella fase di trattazione, attraverso lo scambio di memorie, non costituisce quel male che con avversione "ideologica" è stato espresso da alcuno in dottrina, poiché quel sistema reca con sè importanti vantaggi, distogliendo il giudice da attività spesso inutili (le udienze di trattazione appunto) a cui giunge per lo più impreparato ai fini di un corretto esercizio dei poteri sancito dall'art. 187 c.p.c. (immediata decisione sul fondamento di questione preliminare o pregiudiziale oppure istruttoria previo giudizio di ammissione e rilevanza dei mezzi di prova), concentrandolo sulle attività veramente importanti quali la decisione sulle prove e la decisione finale e conducendo alla decisione solo le cause che giungono - per lo svolgimento voluto solo dalle parti - ad effettiva maturazione di trattazione.
I correttivi a nostro parere sono costituiti dalla necessità di abrogare lo "scacco matto" della istanza di fissazione di udienza ab initio, consentendola oltre una fase dello scambio degli atti nella quale si sono consumati con la dovuta gradualità le attività assertive e di iniziativa probatoria delle parti. L'istanza di fissazione di udienza potrà perfezionarsi oltre il momento in cui le decadenze, con la dovuta gradualità, si sono esaurite.
Poi non ha senso imporre un termine finale alle parti, pressandole a rimettere la causa in decisione: esse - secondo il modello anglosassone - potrebbe anche giungere in decisione dopo molto tempo dall'esaurimento della fase di trattazione, semplicemente perché nessuna di essa allo stato della trattazione ritiene opportuno assumere il rischio della decisione. Si eviterebbe in tal modo l'epilogo che spesso ha avuto il processo societario: quello della estinzione per decorso dei termini.
Questo sistema, in cui il giudice è assorbito nella sola decisione, e dove il processo può rimanere quiescente se nessuna delle parti se la sente di correre il rischio della decisione, con un termine di perenzione assai lungo, potrebbe indurre quel risparmio di energie e attività che la riforma va cercando.
6. La riforma non coinvolge invece lo speciale strumento di tutela anticipatoria che è l'art. 19 del d. lgs. n. 5 del 2003, che consente un ordinanza di condanna ante causam per il caso di pagamento di somme o di consegna di beni mobili, fondata su di una cognizione sommaria, e che costituisce pure una scelta obbligata ex lege per la introduzione nelle forme del rito societario, nel caso in cui il giudice non ritenga manifestamente fondata la domanda (si è dimenticato questo sviluppo particolare del processo sommario nel dettare l'ultimo comma dell'art. 170 - ter, 3° comma c.p.c.).
Anzi la riforma in itinere potenzia questo strumento facendolo ereditare al processo di rito comune con la introduzione dell'art. 702 - bis c.p.c. ove lo strumento della tutela sommaria anticipatoria si generalizza per i diritti al pagamento di somme o alla consegna o al rilascio di beni (resta sottratto alla speciale tutela il solo diritto agli obblighi di fare e non fare), con la differenza non secondaria di un gravame che resta assorbito nelle forme del reclamo cautelare (mentre in quello societario è un vero e proprio appello) e di una tutela sommaria che in difetto di introduzione di un giudizio di merito acquista l'irrevocabilità del giudicato.
Nelle controversie societarie lo strumento di tutela anticipatoria autonoma resta quello dettato dall'art. 19 cit.
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