Giudice fall. e controriformadi Claudio Cecchella
Docente di diritto processuale civile e diritto fallimentare,
Università di Pisa
La giurisdizione, a cui la prima riforma aveva assegnato in via esclusiva il ruolo istituzionale di dirimere le controversie fallimentari, con sacrificio delle funzioni tutorie e amministrative originarie, a tutto vantaggio del comitato dei creditori e del curatore, beneficia dal 1° gennaio 2008 di un recuperato ruolo nell'ambito della gestione e/o liquidazione dell'impresa fallita, espressione della dimensione di intervento della controriforma del 2007 sulla riforma del 2006.
La controriforma (d. lgs. n. 169 del 2007) alla riforma (in larga parte d. lgs. n. 5 del 2006 e legge n. 80 del 2005), non si è limitata ai correttivi imposti dal coordinamento delle disposizioni e dalle difficoltà nella pratica degli istituti dopo un anno dalla entrata in vigore, ma a sua volta è intervenuta in modo penetrante sull'impianto originario, ridisegnando istituti come il processo fallimentare, il rito camerale e i rimedi agli atti che lo concludono (il reclamo avverso le sentenze dichiarative di fallimento e le sentenze di omologa del concordato), gli accordi di ristrutturazione dei debiti o le imprese commerciali escluse dal fallimento, il concordato preventivo .
Ma esiste un aspetto che nei primi commenti non sembra evidenziato nella sua giusta dimensione, per la difficoltà di coglierne pienamente le basi positive, diluite come sono nell'impianto generale della riforma, ma che ad una lettura appena più attenta ai profili sistematici del decreto correttivo non può non essere colta.
Si tratta del rinnovato ruolo della giurisdizione, rispetto a quello ridimensionato nella prima riforma .
Gli indici si evidenziano in più luoghi.
1. Nella nomina del curatore, secondo l'originario 2° comma dell'art. 28 l. fall. : <>, il comma è abrogato dalla novella del 2007, abbandonando alla discrezionalità dell'organo giurisdizionale la nomina, priva di oneri di motivazione.
2. Il potere dei creditori - in sede di adunanza per l'esame dello stato passivo (art. 37-bis l. fall.) - di effettuare nuove designazioni nell'ambito dei componenti del comitato e di chiedere la sostituzione del curatore, cui seguiva la necessità che il Tribunale provvedesse meccamicisticamente alle necessarie sostituzioni, con revoca dell'originario provvedimento, consente oggi una valutazione discrezionale al giudice collegiale il quale dovrà <>.
3. La funzione vicaria del comitato dei creditori da parte del giudice delegato, non si limita al caso di inerzia dell'organo nominato o urgenza ma si estende, dopo la novella del 2007, alla <>, norma che per la patologica riluttanza dei creditori ad accettare l'incarico di membri del comitato nei fallimenti di dimensioni piccole o medie potrebbe trasformare l'eccezione in regola (con riesumazione delle funzioni tutorie del giudice delegato).
4. La semplice autorizzazione dell'azione di responsabilità contro i membri del comitato, consente al giudice delegato l'immediata sostituzione degli stessi (art. 41, 8° comma, dovuto al decreto correttivo), pur avendo nella funzione autorizzatoria il giudice delegato il ruolo della parte piuttosto che quello di titolare di una funzione giurisdizionale (come ha bene inteso la riforma esonerandolo dal giudicare sulla controversia "autorizzata", art. 25).
5. Dopo la novella solo apparentemente il giudice delegato viene esonerato dal potere di autorizzare il piano di liquidazione ex art. 104 - ter , 1° comma, l. fall., a favore del comitato dei creditori, perché ciò che toglie il primo comma rende - con formula sibillina e di difficile coordinamento - l'ultimo comma << il programma approvato è comunicato al giudice delegato che autorizza l'esecuzione degli atti a esso conformi>>. Peraltro la disposizione è ripresa nell'art. 35 l. fall., ove al 3° comma, nel caso di autorizzazione del giudice delegato rispetto al singolo atto attuativo, non si rende più necessaria la previa sua informazione.
6. Infine, in sede di liquidazione, l'originaria forma di vendita lasciata alla discrezionalità del curatore, in esecuzione del piano di liquidazione (art. 107 l. fall.), viene posta come alternativa rispetto alla eventualità che <>, con reviviscenza, tutt'altro che opportuna, delle forme della esecuzione individuale a cui potranno aderire i curatori più pigri e meno intraprendenti, mentre la novità della prima riforma era proprio stata quella di una liquidazione con regole e soluzioni alternative all'esecuzione individuale.
Com'è possibile ricavare dalle norme passate in rassegna, tutte dovute alle modifiche del decreto correttivo, il ruolo del tribunale e del giudice delegato beneficia di un ritorno al passato.
Se si considera che nella maggioranza dei fallimenti di medie dimensioni è assai difficile costituire un comitato dei creditori e che il curatore, per esperienza e cultura tende ad adagiarsi sulle conoscenze giuridiche del giudice delegato, quanto alla formazione del piano di liquidazione, ma soprattutto quanto alla liquidazione vera e propria dell'attivo (con il richiamo addirittura alle forme della esecuzione individuale), si coglie come la controriforma ha fortemente inciso sull'assetto che discendeva, nell'organizzazione fallimentare, all'indomani della prima riforma, recuperando un ruolo della giurisdizione nella amministrazione e liquidazione fallimentare, bandito nell'originario d. lgs. n. 5 del 2006.
Senza che chi scrive voglia esprimere in proposito un giudizio di valore, ma semplicemente proporre una sommessa interpretazione.
La controriforma ha contemporaneamente il merito di essere intervenuta anche sulla funzione giurisdizionale in senso stretto.
a) In primo luogo ridisegnando il rito camerale, pur con soluzioni non omogenee (tanto da indurre a pensare che il processo fallimentare si caratterizzi per una varietà di riti, non solo all'interno dei vari procedimenti, ma addirittura nel passaggio dal primo al secondo grado), e aprendolo alle garanzie del giusto processo. Il pensiero volge sempre di più verso un processo camerale ibrido che delle originarie forme proprie della volontaria giurisdizione non ha più alcun elemento comune e che si propone di fatto come processo a cognizione piena di rito speciale : il rito è riscritto in numerose norme (artt. 15, 26, 99, 129, 180 l. fall.) e reso coerente anche nelle fasi di gravame, attraverso il reclamo avverso la sentenza dichiaratrice di fallimento, art. 18 l. fall., e il reclamo contro la sentenza che omologa il concordato o ne nega l'omologazione, artt. 131 e 183 l. fall. (disposizioni contraddittorie e gravemente incoerente nell'impianto originario della riforma).
b) Ma è soprattutto da evidenziare come conquista di civiltà giuridica la salutare abrogazione del 2° comma dell'art. 24 l. fall., che avviava alle forme camerali "pure", ovvero alle scarne disposizioni degli artt. 737 ss. c.p.c. le forme di procedimenti di grande rilievo e importanza, discendenti dalla dichiarazione di fallimento, come le azioni revocatorie, le azioni di responsabilità degli organi di società, le azione discendenti dalla introduzione del regime speciale fallimentare ai contratti pendenti, in generale le azioni della massa.
Il gravissimo contrasto con i principi costituzionali dell'art. 111, 1° comma, Cost. (riserva di legge nella regolamentazione del processo, giusto processo), unito alle incertezza applicative (tra le quali l'inammissibilità di una tutela cautelare secondo le regole comuni, stante il regime dell'autosufficienza e autonomia del processo camerale), cui spesso si sono richiamati i primi commentatori, ha esercitato opportuna influenza sul legislatore.
Dunque, da un lato, si è voluto tendenzialmente restituire all'organo giurisdizionale le originarie prerogative tutorie e liquidatorie del recente passato, dall'altro si è aperto opportunamente il rito fallimentare a regole determinate dalla legge e non abbandonate alla discrezionalità del giudice, ispirate alle garanzie del giusto processo (contraddittorio in linea con il principio di preclusione, diritto alla prova, svolgimento di un'istruttoria aperta alle regole comuni, doppio
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