Riforma riti: la relazione
Decreto legislativo n. 150 del 2011 recante: "Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69”
Relazione illustrativa.
Articolato
Il presente decreto legislativo è emanato in attuazione della delega al Governo “per la riduzione e semplificazione dei procedimenti civili”, prevista dall’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69.
In particolare, il testo legislativo elaborato dal Governo realizza, conformemente ai criteri di delega dettati dal legislatore, la riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nell’ambito della giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legislazione speciale, riconducendoli ai tre modelli previsti dal codice di procedura civile, individuati, rispettivamente, nel rito che disciplina le controversie in materia di rapporti di lavoro, nel rito sommario di cognizione (introdotto dalla medesima legge n. 69 del 2009) e nel rito ordinario di cognizione.
L’evoluzione normativa degli ultimi decenni si caratterizza per la estrema proliferazione dei modelli processuali, avvenuta spesso in assenza di un disegno organico, avvenuta all’insegna della ricerca di formule procedimentali che potessero assicurare una maggiore celerità dei giudizi.
Il fenomeno si è rivelato, nel tempo, come un fattore di disorganizzazione del lavoro giudiziario, che viene unanimemente individuato come una delle cause delle lungaggini dei giudizi civili, oltre ad aver determinato rilevanti difficoltà interpretative per tutti gli operatori del diritto.
Nell’esercizio della delega si è inteso realizzare una chiara inversione di tendenza rispetto al passato e si è voluto altresì razionalizzare e semplificare la normativa processuale presente nella legislazione speciale, raccogliendo in un unico testo normativo tutte le disposizioni speciali che disciplinano i procedimenti giudiziari previsti dalle leggi speciali, così dando luogo ad un testo che si pone in rapporto di complementarità rispetto al codice di procedura civile, in sostanziale prosecuzione del libro IV del medesimo codice.
Alla tecnica della novella legislativa si è, dunque, preferita, la compilazione in un unico testo legislativo di tutta la normativa processuale, sostituendo le norme previste dalle singole leggi speciali con dei richiami al nuovo testo legislativo.
Tale scelta mira a realizzare gli obiettivi di semplificazione e razionalizzazione posti dalla delega, consentendo agli interpreti di rinvenire agevolmente in un unico testo tutte le norme che disciplinano ciascun procedimento speciale, con una formulazione ideata appositamente per fugare i dubbi interpretativi conseguenti all’adattamento dei modelli processuali.
Per altro verso, poi, tale scelta intende segnare un radicale cambio di passo rispetto alla tendenza evidenziata dalla legislazione precedente, manifestando in modo chiaro al legislatore, anche per il periodo futuro, l’esigenza di far confluire in un unico testo tutte le norme processuali speciali che si dovessero rendere necessarie, in modo tale da garantire la coerenza del sistema processuale e ridurre le diseconomie che l’eccessiva parcellizzazione dei modelli processuali ha fino ad oggi dimostrato di provocare.
L'odierno intervento legislativo non può ritenersi esaustivo delle esigenze di semplificazione e di razionalizzazione del sistema processuale civile, in conseguenza delle rilevanti delimitazioni contemplate dalla legge di delega, che ha escluso la possibilità di intervenire sulle disposizioni processuali in materia di procedure concorsuali, di famiglia e minori, nonché su quelle contenute nel regio decreto 14 dicembre 1933, n. 1669, nel regio decreto 21 dicembre 1933, n. 1736, nella legge 20 maggio 1970, n. 300, nel codice della proprietà industriale di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, e nel codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206.
Ciò nondimeno va riconosciuta l'importanza dell'inversione di tendenza che si intende realizzare con il presente decreto, e che dovrà necessariamente essere seguita da ulteriori concreti interventi normativi volti ad incrementare l'efficienza e la razionalità delle norme processuali, anche nell'ottica di un recupero di garanzie reso necessario dalla riforma dell'articolo 111 della Costituzione.
In tal senso deve ritenersi particolarmente significativa la linea guida tracciata dalla legge delega, si ritiene anche con riferimento a possibili futuri interventi normativi, circa l'opportunità della riconduzione al rito sommario di cognizione delle numerose fattispecie presenti nella legislazione speciale regolamentate mediante l'adozione delle forme del procedimento in camera di consiglio stabilite dagli articoli 737 e ss. cod. proc. civ.
Il presente decreto legislativo da, inoltre, piena attuazione ai criteri posti dalla legge delega, mantenendo i preesistenti criteri di competenza, nonché i criteri di composizione dell’organo giudicante, ed operando una riconduzione di ciascun procedimento civile ad uno dei cennati modelli di rito contemplati dal codice di procedura civile.
La riconduzione è avvenuta privilegiando il modello processuale del rito del lavoro per i procedimenti in cui si rivelavano prevalenti i caratteri della concentrazione delle attività processuali, ovvero nei quali venivano previsti ampi poteri di istruzione d’ufficio.
Sono stati ricondotti, invece, al modello del procedimento sommario di cognizione, inteso come giudizio a cognizione piena sia pure in forme semplificate ed elastiche rispetto ai due residui irriducibili snodi del rito ordinario offerti dagli articoli 183 e 189 del codice di procedura civile, i procedimenti speciali caratterizzati da una accentuata semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa, rivelata, spesso nella maggior parte dei casi, dal richiamo della procedura camerale prevista e disciplinata dagli articoli 737 e seguenti del medesimo codice.
Per i procedimenti nei quali, viceversa, non è stato dato rinvenire alcuno dei predetti caratteri si è operata una riconduzione, come criterio di semplificazione residuale, al rito ordinario di cognizione, disciplinato dal libro secondo, titolo IV, capo I, del codice di procedura civile.
In ogni caso, nell’operare la riconduzione ai predetti riti, conformemente ai criteri di delega, sono state mantenute in vigore le disposizioni previste dalla legislazione speciale che attribuiscono al giudice poteri officiosi, nonché quelle finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi applicando le norme contenute nel codice di procedura civile.
Nella elaborazione del testo normativo è stato, inoltre, tenuto conto delle modifiche conseguenti alle pronunzie della Corte costituzionale intervenute sulle leggi speciali oggetto dell’intervento, delle abrogazioni implicite, nonché delle chiavi di lettura dei singoli procedimenti elaborate dalla giurisprudenza, sia costituzionale che ordinaria.
Per una migliore comprensione del testo, il decreto legislativo è stato suddiviso in cinque capi.
Il primo capo contiene disposizioni di carattere generale, con le quali vengono specificate le disposizioni di ciascun rito applicabili ai procedimenti contenziosi oggetto delle modifiche legislative, e vengono, altresì, dettate le disposizioni necessarie per garantire l’applicazione a ciascun procedimento del rito effettivamente stabilito dalla legge, attraverso il recepimento e la rimodulazione della normativa in materia di mutamento del rito già contemplata dal codice di procedura civile.
Il secondo capo del decreto legislativo disciplina, quindi, i procedimenti regolati dal rito del lavoro, previsto dalle norme della sezione II, capo I, titolo IV del secondo libro del codice di procedura civile. Il terzo capo contempla, quindi, i procedimenti regolati dal rito sommario di cognizione, previsto dal capo III bis del titolo I del quarto libro del codice di procedura civile, mentre il quarto capo disciplina i procedimenti regolati dal rito ordinario di cognizione,
Il quinto ed ultimo capo reca le abrogazioni e le modificazioni delle singole leggi speciali che prevedevano i riti oggetto della semplificazione, nonché la disciplina transitoria necessaria per prevenire incertezze interpretative in merito all’ambito temporale di applicazione delle nuove norme.
CAPO I - DISPOSIZIONI GENERALI
Articolo 1 (Definizioni)
L’articolo 1 del decreto legislativo reca le definizioni dei riti cui sono stati ricondotti i vari procedimenti speciali, con la specifica indicazione delle norme del codice di procedura civile che prevedono e disciplinano ciascun rito.
Articolo 2 (Disposizioni comuni ai procedimenti disciplinati dal rito del lavoro)
L’articolo 2 contiene le disposizioni comuni ai procedimenti disciplinati dal rito del lavoro, necessarie per consentire un efficace adeguamento di tale rito alle controversie specificate nel capo II del decreto legislativo.
In particolare vengono ricondotti al rito del lavoro:
i procedimenti di opposizione a sanzione amministrativa e di opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada;
i procedimenti in materia di opposizione ai provvedimenti di recupero di aiuti di Stato;
i procedimenti in materia di applicazione delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali;
le controversie agrarie;
i procedimenti di impugnazione dei provvedimenti in materia di registro dei protesti.
L’adattamento del rito lavoro a tali fattispecie ha reso necessaria l’adozione di disposizioni di coordinamento, allo scopo di consentire l’adeguamento alle materie oggetto dei procedimenti suindicati di regole processuali specificamente introdotte per la decisione di controversie in materia di rapporti di lavoro.
Nell’emanazione di siffatte disposizioni di coordinamento e di adeguamento è stata, in particolar modo, sancita la inapplicabilità delle previsioni del rito del lavoro oggettivamente incompatibili con le materie diverse da quelle indicate dall’art. 409 cod. proc. civ., come nel caso della disciplina della competenza territoriale e della competenza del giudice di appello (artt. 413 e 433 cod. proc. civ.), delle specifiche regole per la difesa in giudizio delle pubbliche amministrazioni datrici di lavoro (art. 415, settimo comma, e 417-bis cod. proc. civ.), dell’accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti ed accordi collettivi (art. 420-bis cod. proc. civ.), dell’esame dei testimoni sul luogo di lavoro (art. 421, terzo comma, cod. proc. civ.) , del potere di richiesta di informazioni e osservazioni alle associazioni sindacali (art. 425 cod. proc. civ.).
È stata, inoltre, espressamente esclusa l’applicazione delle previsioni del processo del lavoro che introducono significative differenziazioni dei poteri processuali.
Tali previsioni, infatti, si giustificano, in quel modello processuale, esclusivamente in virtù dell’esigenza di garantire un particolare favore nei confronti del lavoratore, anche in considerazione della peculiare connessione, nel rapporto di lavoro, dei diritti del lavoratore con i diritti della personalità, quale è il diritto ad una esistenza libera e dignitosa sancito dall’art. 36 Cost.
In virtù di ciò è stata esclusa l’applicazione delle disposizioni in materia di costituzione e difesa personale delle parti (art. 417 cod. proc. civ.), di condanna officiosa al pagamento degli interessi e della rivalutazione sui crediti di lavoro (art. 429, terzo comma, cod. proc. civ.), della disciplina differenziata dell’efficacia esecutiva della sentenza (art. 431, dal primo al quarto comma e sesto comma, cod. proc. civ.), è stato previsto che l’ordinanza anticipatoria prevista dall’articolo 423, secondo comma, cod. proc. civ. possa essere concessa su istanza di ciascuna parte ed è stata esclusa la possibilità di deroga ai limiti in materia di prova sanciti dal codice civile consentita nel processo del lavoro dall’articolo 421, secondo comma, cod. proc. civ., similmente a quanto già previsto dalla disciplina delle controversie in materia di locazione, comodato ed affitto.
L’articolo in commento prevede, inoltre, l’esclusione dell’applicazione della disciplina in materia di mutamento del rito dettata dagli articoli 426, 427 e 439 cod. proc. civ., relativa al provvedimento di mutamento del rito da ordinario di cognizione a lavoro e viceversa, in considerazione del fatto che tale fattispecie è oggetto di una specifica e più completa disciplina contenuta nell’articolo 4 del decreto legislativo.
L’ultimo comma dell’articolo introduce una disposizione ricognitiva che recepisce il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, circa i rapporti di specialità tra il rito del lavoro ed il rito ordinario di cognizione, e la conseguente applicabilità delle disposizioni del secondo rito per tutto quanto non espressamente disciplinato dal primo.
Articolo 3 (Disposizioni comuni ai procedimenti disciplinati dal rito sommario di cognizione)
L’articolo 3, similmente a quanto previsto dall’articolo 2, contiene le disposizioni comuni ai procedimenti disciplinati dal rito sommario di cognizione, necessarie per consentire un efficace adeguamento di tale rito alle controversie specificate nel capo III del decreto legislativo.
Vengono, in particolare, ricondotti a tale ultimo rito:
i procedimenti in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato;
le opposizioni ai decreti di pagamento delle spese di giustizia;
i procedimenti in materia di immigrazione, ivi compresi quelli in materia di diritto di soggiorno e di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea o dei loro familiari, di espulsione dei cittadini di Stati che non sono membri dell’Unione europea e di riconoscimento della protezione internazionale;
le opposizioni alla convalida del trattamento sanitario obbligatorio;
le azioni popolari e le controversie in materia di eleggibilità, decadenza ed incompatibilità nelle elezioni comunali, provinciali, regionali e per il Parlamento europeo, nonché le impugnazioni delle decisioni della Commissione elettorale circondariale in tema di elettorato attivo;
i procedimenti in materia di riparazione a seguito di illecita diffusione del contenuto di intercettazioni telefoniche;
le impugnazioni dei provvedimenti disciplinari a carico dei notai;
le impugnazione delle deliberazioni del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti;
i procedimenti in materia di discriminazione;
le opposizioni ai provvedimenti in materia di riabilitazione del debitore protestato;
le opposizioni al diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari.
In conformità al criterio di delega previsto dall’articolo 54, comma 4, lett. b), n. 2), della legge 18 giugno 2009, n. 69 è stata esclusa, per tutti i procedimenti suindicati, la possibilità di conversione del rito sommario di cognizione nel rito ordinario.
Proprio con riferimento all’esclusione della possibilità di conversione al rito ordinario appare opportuno, in questa sede, operare una preliminare precisazione.
Alcuni dei procedimenti ricondotti al rito sommario di cognizione – come, per fare un esempio, quelli in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato – prevedono che la decisione di primo grado sia inappellabile, conservando quanto stabilito dall’attuale disciplina quale effetto processuale speciale, in ossequio alle previsioni della legge di delega (art. 54, comma 2, lettera c) della legge n. 69 del 2009).
Una parte, sia pure minoritaria, della dottrina, ritiene che il procedimento sommario di cognizione, in prime cure, non sia a cognizione piena in quanto carente della compiuta predeterminazione delle forme istruttorie.
L’art. 702-ter, quinto comma, cod. proc. civ., prevede infatti che «il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo ritenuto più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto».
La dottrina anzidetta, desunta da questa dicitura la natura sommaria della cognizione, ha affermato che, al fine di garantire almeno un grado di cognizione di merito piena, dovrebbe essere assicurato un appello aperto a ogni nuova richiesta istruttoria, quale infatti si trova disciplinato nell’art. 702-quater cod. proc. civ.. Tale conclusione sarebbe costituzionalmente imposta dall’art. 111 della Costituzione, in cui si richiede che il processo, fonte di giudicato, dev’essere «regolato dalla legge», e dunque non rimesso alla discrezione giudiziale.
A fronte di tale posizione, la dottrina maggioritaria ha invece affermato la natura piena della cognizione prodotta dal procedimento di cui agli artt. 702-bis e seguenti cod. proc. civ., anche in prime cure.
Si osserva che la sommarietà della forme è concettualmente distinta da quella della delibazione: l’ipotesi di un procedimento a “cognizione sommaria” – qual era espressamente qualificato, ad esempio, il rito di cui all’art. 19 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 – è logicamente distinta da quella di un procedimento “sommario di cognizione”.
La qualità della valutazione in ordine alle inferenze probatorie, cioè, può essere massima, anche quando si proceda con forme semplificate.
Tale conclusione è confermata da una serie di indici positivi, ma in specie da due di essi.
In primo luogo, il quinto comma dell’art. 702-ter, sopra citato, stabilisce che il giudice procede a tutti gli atti di istruzione rilevanti e non solo a quelli indispensabili, a differenza di quanto, invece, previsto dall’art. 669-sexies, primo comma, cod. proc. civ. Tale ultima previsione, inserita nella disciplina del procedimento cautelare uniforme, è sintomatica della natura di procedimento a cognizione sommaria del cautelare, giustificata dall’urgenza e coerente con la mancata produzione di un giudicato.
In secondo luogo, l’art. 702-ter, quinto comma, cod. proc. civ., segnala che il giudice procede agli atti istruttori rilevanti “in relazione all’oggetto del provvedimento” richiesto, e non, come si legge nell’art 669-sexies, primo comma, cod. proc. civ., a quelli indispensabili “in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento” richiesto.
Da ciò si trae la evidente conclusione che la domanda svolta con il rito sommario è rivolta alla piena tutela del bene della vita che è ad essa sottesa e ne costituisce, appunto, l’oggetto.
La finalità della pretesa, cioè, non è la conformazione del provvedimento strumentale alla cautela del diritto, quanto piuttosto la protezione piena quest’ultimo.
Questa impostazione è quella fatta propria dalla legge di delega, laddove (art. 54, comma 2, lettera b), n. 2) prevede la riconduzione, al rito sommario in parola, dei procedimenti «in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa», operando un chiaro riferimento alla semplificazione delle forme e non alla sommarietà della cognizione.
Come osservato in dottrina, questa scelta dev’essere ritenuta pienamente legittima sul piano costituzionale, a prescindere dalla corrispondenza con un appello aperto a nuovo richieste istruttorie.
Ciò in quanto la previsione dell’art. 111 Cost. non può essere letta nel senso di richiedere, sempre e comunque, un processo “interamente” regolato dalla legge, ma nella più aderente accezione per cui la disciplina processuale non può che essere legislativa, vale a dire affidata a norme primarie.
Del resto, in applicazione del principio di proporzionalità dell’uso della risorsa giudiziaria, non illimitata, l’introduzione, in equilibrata misura, di forme processuali flessibili, è essenziale a garantire l’implementazione complessiva del principio – anch’esso costituzionale, e anch’esso sancito nello stesso art. 111 Cost. citato – di ragionevole durata dei processi.
Tale opzione interpretativa è stata, da decenni, adottata dalla Corte costituzionale, la quale ha sempre escluso l’illegittimità del ricorso, da parte del legislatore ordinario, alle forme camerali, ampiamente rimesse alla discrezionalità giudiziale, anche per la composizione di conflitti su diritti soggettivi e status.
La giurisprudenza costituzionale ha chiaramente affermato che tale scelta «non è di per sé suscettiva di frustrare il diritto di difesa, in quanto l'esercizio di quest'ultimo può essere modulato dalla legge in relazione alle peculiari esigenze dei vari procedimenti, purché ne vangano assicurati lo scopo e la funzione» (Corte cost., 23 aprile 1998, n. 141).
Ciò che risulta essenziale è il rispetto del contraddittorio, del diritto alla prova e all’assistenza tecnica, che del primo costituiscono la compiuta declinazione, oltre, naturalmente, al presupposto della terzietà del giudice (v., anche in motivazione, da Corte cost., 12 luglio 1965, n. 70 a Corte cost., 13 giugno 2008, n. 212 e, da ultimo, Corte cost., 29 maggio 2009, n. 170).
Appare, poi, pacifico, sia in dottrina che in giurisprudenza, che la Costituzione non richieda necessariamente un doppio grado di merito.
Ne deriva che nel procedimento di cui agli artt. 702-bis e seguenti cod. proc. civ., il fatto che il legislatore abbia previsto un appello, come sopra specificato, “aperto”, non implica la necessità costituzionale della scelta, bensì, piuttosto, la coerente traduzione dell’alternatività che connota in generale quel procedimento rispetto al rito cosiddetto ordinario.
In altre parole, il legislatore, ponendo il procedimento sommario di cognizione quale alternativa al rito “comune”, per le cause che richiedono un’attività istruttoria più semplice, ha previsto due correttivi al “dimensionamento” delle garanzie implicato dalla conseguente semplificazione delle forme: la possibilità, per il giudice, di fissare l’udienza di cui all’art. 183 cod. proc. civ., riconducendo la causa sui binari più “formali”, e, in difetto, un appello più aperto.
Ma questo non esclude la facoltà, per il legislatore ordinario, di ricorrere a forme semplificate serventi una cognizione piena in unico grado di merito, nelle ipotesi in cui la peculiarità della fattispecie lo giustifichi.
Sulla scorta di simili considerazioni la Consulta ha reiteratamente escluso l’incostituzionalità del procedimento di cui agli artt. 28 e seguenti della legge 13 giugno 1942, n. 794, che pure ne ha previsto, sinora, la gestione delle forme camerali, con inappellabilità (v., nel tempo, Corte cost., 1° marzo 1973, n. 22; Corte cost., 6 dicembre 1976, n. 238 e Corte cost., 11 aprile 2008, n. 96).
E il rito sommario di cognizione, pur senza riconduzione alle forme rigide di cui all’art. 183 e seguenti cod. proc. civ., escluso dalla legge delega (art. 54, comma 2, lettera b), n. 2), determina una strutturazione delle forme ben maggiore di quella propria del rito camerale.
L’oggetto del procedimento, cioè, è ritenuto in quei casi ex lege a bassa complessità istruttoria, e tale per cui forme semplificate e unico grado di merito sono sufficienti.
Alla luce delle considerazioni che precedono deve ritenersi, pertanto, ampiamente compatibile con il vigente quadro delle garanzie costituzionali la previsione della riconduzione al rito sommario di cognizione, senza facoltà di conversione al rito ordinario, anche di quelle controversie per le quali è previsto un unico grado di giudizio di merito.
Ciò posto va evidenziato che il secondo comma dell’articolo 3, in modo speculare rispetto all’ultimo comma dell’articolo che precede, introduce una disposizione ricognitiva che recepisce un principio già affermato dalla giurisprudenza di merito e dalla dottrina, circa i rapporti di specialità tra il rito sommario di cognizione ed il rito ordinario di cognizione, e la conseguente applicabilità delle disposizioni del secondo rito per tutto quanto non espressamente disciplinato dal primo.
Articolo 4 (Mutamento del rito)
Le previsioni contenute nell’articolo 4 regolamentano l’ipotesi in cui uno dei procedimenti previsti dal decreto legislativo venga erroneamente introdotto applicando un rito differente rispetto a quello previsto dalla legge.
Viene, in particolare, previsto che il giudice disponga il mutamento del rito con apposita ordinanza, da pronunziare, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di comparizione delle parti.
Nella specifica ipotesi in cui la controversia rientri tra quelle per le quali il decreto prevede l’applicazione del rito del lavoro, in considerazione del fatto che tale ultimo rito prevede che le preclusioni, sia assertive che probatorie, scattino in un momento anticipato rispetto agli altri riti, viene prescritto che con l’ordinanza di mutamento del rito venga fissata l'udienza di cui all'articolo 420 del codice di procedura civile e il termine perentorio entro il quale le parti dovranno provvedere all'eventuale integrazione degli atti introduttivi.
Al fine di dissipare gli eventuali dubbi interpretativi circa le forme della riassunzione del giudizio nell’ipotesi in cui venga dichiarata l’incompetenza del giudice adito il comma 4 dell’articolo in esame impone al giudice che dichiara la propria incompetenza di indicare con il medesimo provvedimento il rito corretto da applicare per la riassunzione dinanzi al giudice competente.
Il comma 5 dell’articolo 4, infine, prevede che gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producano secondo le norme del rito applicato prima del mutamento.
La disciplina del mutamento del rito sin qui brevemente tratteggiata si discosta in modo significativo dalle analoghe norme contenute nel codice di procedura civile le quali, per quanto attiene al mutamento del rito disciplinato dal rito del lavoro (artt. 426 e 427 cod. proc. civ.) stabilisce la possibilità di adottare anche in grado di appello il provvedimento di mutamento del rito (art. 439 cod. proc. civ.), in ossequio ad un particolare favor per il rito del lavoro, utilizzato, come si è avuto modo di precisare in precedenza, come strumento per la tutela di una parte processuale debole (il lavoratore), anche in considerazione della cennata connessione, nel rapporto di lavoro, dei diritti del lavoratore con i diritti della personalità.
A fronte di ciò, la fattispecie del mutamento del rito, da sommario di cognizione a ordinario, è, a sua volta, regolamentata dall’art. 702-ter cod. proc. civ. in modo differente, prevedendo la pronunzia di mutamento delle forme processuali in uno specifico momento del procedimento, ossia la prima udienza di comparizione delle parti, e non permettendola, sia pure implicitamente, in grado d’appello. Infatti, in quella differente fattispecie, in caso di mancato raccordo con le forme ordinarie in prime cure, vi sarà semplicemente un appello più aperto a nuove richieste istruttorie (art. 702-quater cod. proc. civ.), ma non un mutamento del rito in senso proprio, come prescritto, tipicamente, nell’art. 439 cod. proc. civ.
Nell’emanare una disciplina del mutamento del rito comune a tutte le fattispecie, giacché risultava priva di disciplina la fattispecie del mutamento del rito da sommario di cognizione a rito del lavoro, si è tenuto conto, per un verso, dell’assenza di ragioni tali da dar luogo ad un favor assoluto per uno specifico modello procedimentale, e, per altro verso, dell’esigenza di ridurre al minimo l’ambito temporale di incertezza sulle regole destinate a disciplinare il processo, al fine di scongiurare vizi procedurali che, riverberandosi a catena su tutta l’attività successiva, possano far regredire il processo, in contraddizione con i principi di economia processuale e di ragionevole durata sanciti dall’art. 111 della Costituzione.
La disciplina posta si caratterizza, pertanto, per la sussistenza di una rigida barriera temporale (la prima udienza di comparizione delle parti dinanzi al giudice) oltre la quale è precluso pronunziare il mutamento del rito, sia in via di eccezione di parte che come provvedimento officioso del giudicante, similmente alla disciplina della competenza territoriale.
Dalla circostanza della virtuale consolidabilità del rito erroneamente seguito dalle parti, sullo sfondo di differenze puramente di disciplina procedurale e non più di tecniche delle tutele, e dall’esigenza di circoscrivere al minimo l’incertezza interpretativa scaturisce, inoltre, la regola posta dal comma 5 dell’articolo in esame, che sancisce che gli effetti processuali e sostanziali della domanda giudiziale si producano secondo le norme del rito applicato prima del mutamento, al fine di escludere in modo univoco l’efficacia retroattiva del provvedimento che dispone il mutamento medesimo.
Tale disciplina afferisce unicamente agli effetti della domanda e non può naturalmente incidere sulla facoltà della parte convenuta di provocare il mutamento del rito, con apposita istanza tempestivamente proposta.
CAPO II - DEI PROCEDIMENTI REGOLATI DAL RITO DEL LAVORO
Articolo 5 (Del procedimento in materia di opposizione ad ordinanza-ingiunzione)
L’articolo 5 interviene sul rito previsto per l’opposizione ad ordinanza-ingiunzione, attualmente disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito del lavoro, in virtù dei caratteri di concentrazione (arg. ex articolo 23) e di officiosità dell’istruzione (articolo 23, commi 2 e 6).
In ossequio al criterio di delega previsto dall’art. 54, comma 2, lettera a) della l. n. 69 del 009 sono state mantenute ferme le speciali disposizioni in materia di competenza attualmente contenute nell’articolo 22-bis della legge n. 689 del 1981.
Nel rispetto dell’ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», sono state mantenute le ulteriori peculiarità del rito disciplinato da questa legge, tenendo conto del mutato quadro normativo costituzionale e degli interventi della Corte costituzionale che si sono succeduti in questa materia.
In particolare:
a) alla luce di quanto stabilito da Corte cost. 98/2004, è prevista la possibilità di presentare il ricorso introduttivo del giudizio anche a mezzo del servizio postale;
b) le disposizioni in materia di comunicazioni e notificazioni al ricorrente sono state adeguate alla nuova disciplina contenuta negli articoli 133 e 136 cod. proc. civ. e tengono conto di quanto stabilito da Corte cost. 395/2010;
c) la disciplina della sospensione dell’efficacia esecutiva dell’ordinanza-ingiunzione opposta è stata resa omogenea – per ragioni di coordinamento - con quella della sospensione dell’efficacia esecutiva del verbale di accertamento di violazione del codice della strada.
A tal fine si prevede che la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento opposto possa essere concessa dal giudice - con ordinanza non impugnabile – nei soli casi in cui la sospensione sia stata espressamente chiesta dall’opponente, e solo quando ricorrano gravi e circostanziate ragioni, di cui il giudice deve dare esplicitamente conto nella motivazione del provvedimento di sospensione.
Si è voluto in tal modo sottoporre il potere del giudice di sospendere l’efficacia esecutiva dell’ordinanza-ingiunzione ad un rigoroso accertamento della sussistenza dei presupposti per la sospensione (ragionevole fondatezza dei motivi su cui si fonda l’opposizione; pericolo di un grave pregiudizio derivante dal tempo occorrente per la decisione dell’opposizione), di cui il giudice dovrà dare conto in modo chiaro ed esauriente nel provvedimento con cui sospende l’efficacia esecutiva dell’ordinanza-ingiunzione.
Al fine di dare piena attuazione al principio del contraddittorio, l’ordinanza che sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato non potrà essere emessa prima dell’udienza fissata per la comparizione delle parti. Nondimeno, se durante il tempo occorrente per l’instaurazione del contraddittorio le ragioni dell’opponente rischiano di subire un pregiudizio irreparabile, il giudice potrà disporre la sospensione inaudita altera parte, con decreto pronunciato fuori udienza (in ossequio al principio della domanda, si deve ritenere che anche il decreto di sospensione potrà essere emanato solo se l’opponente ne abbia fatto espressa richiesta). In tal caso, il provvedimento di sospensione dovrà essere confermato alla prima udienza successiva, e, in ogni caso, entro il termine di sessanta giorni – pena la sua inefficacia – con ordinanza non impugnabile, in cui il giudice deve dare conto esplicitamente delle gravi e circostanziate ragioni che giustificano la sospensione dell’efficacia esecutiva dell’ordinanza-ingiunzione. La previsione del termine di sessanta giorni è stata introdotta al fine di imporre l’instaurazione del contraddittorio tra le parti entro un termine ragionevole, ma tale da consentire la trattazione delle istanze cautelari unitamente a quelle di merito del procedimento.
d) il giudice dovrà esaminare il ricorso nel merito – anche quando l’opponente o il suo difensore non si presentano alla prima udienza senza addurre alcun legittimo impedimento – tutte le volte in cui l’illegittimità del provvedimento impugnato risulti dalla documentazione allegata dall’opponente (in questo senso v. già Corte cost. 534/1990), ovvero l’autorità che ha emesso il provvedimento abbia omesso il deposito di copia del rapporto e degli atti connessi (in questo senso v. già Corte cost. 507/1995). In questi casi il giudice non potrà convalidare il provvedimento con ordinanza, ma dovrà decidere l’opposizione nel merito, con sentenza soggetta ai normali mezzi di impugnazione delle sentenze;
e) il giudice non potrà più dichiarare inammissibile il ricorso proposto tardivamente con ordinanza non appellabile resa inaudita altera parte (come attualmente previsto dall’articolo 23, comma 1, della legge n. 689 del 1981). Poiché la declaratoria di inammissibilità dell’opposizione incide sul diritto di azione del ricorrente, si deve ritenere coerente con i principi costituzionali sul giusto processo (articolo 111 Cost.) prevedere che anche in questi casi la decisione sia resa dopo che è stato instaurato il contraddittorio tra le parti (e cioè alla prima udienza), con sentenza soggetta ai normali mezzi di impugnazione delle sentenze;
f) benché manchi una norma specifica sull’appello, la sentenza che definisce (in rito o nel merito) il giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione sarà assoggettata ai normali mezzi di impugnazione delle sentenze. Poiché tra le norme del rito del lavoro applicabili ai procedimenti disciplinati dal Capo II del presente decreto legislativo non rientra l’articolo 433 cod. proc. civ., il giudice di appello sarà individuato secondo i criteri generali contenuti nell’articolo 341 cod. proc. civ. (l’appello contro le sentenze del giudice di pace e quello contro le sentenze del tribunale si propongono, rispettivamente, al tribunale e alla corte d’appello nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha pronunciato la sentenza).
Il procedimento regolato dal presente articolo si applica anche ai giudizi di opposizione all’ordinanza-ingiunzione di pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria previsti dall’articolo 205 del codice della strada (così l’articolo 205 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, come modificato dall’articolo 32, comma 6, lett. b) del presente decreto legislativo).
Articolo 6 (Del procedimento in materia di opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada)
L’articolo 6 disciplina il procedimento in materia di opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada - attualmente disciplinato dall’articolo 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito del lavoro, in virtù dei caratteri di concentrazione, poiché presenta caratteri di concentrazione processuale e di officiosità dell’istruzione (arg. ex articolo 204-bis, comma 2, del decreto legislativo n. 285 del 1992, che rinvia al procedimento in materia di opposizione ad ordinanza-ingiunzione regolato dagli articoli 22 e seguenti della l. 24 novembre 1981, n. 689).
L’articolo in commento contiene una disciplina compiuta del procedimento in materia di opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada. Si è deciso, infatti, di evitare il rinvio per relationem alla disciplina del procedimento in materia di opposizione ad ordinanza-ingiunzione (come invece previsto dall’articolo 204-bis, comma 2, del decreto legislativo n. 285 del 1992), al fine di evitare incertezze interpretative legate alla verifica di compatibilità dei due riti.
Oltre alla norma che devolve al giudice di pace la competenza in questa materia (articolo 204-bis, comma 1, del decreto legislativo n. 285 del 1992), sono state mantenute le ulteriori peculiarità del rito attualmente in vigore, fatta eccezione per i casi in cui si è reso necessario rendere omogenea la disciplina di questo rito con quella del procedimento di opposizione ad ordinanza-ingiunzione (con cui il procedimento in esame presenta evidenti analogie, quanti ai presupposti e alla struttura).
Come nel caso della disciplina delle opposizioni ad ordinanza-ingiunzione, si è tenuto altresì conto del mutato quadro normativo costituzionale e degli interventi della Corte costituzionale che si sono succeduti in questa materia.
In particolare:
a) la disciplina delle modalità di presentazione del ricorso (comma 3), le disposizioni sulle comunicazioni e notificazioni al ricorrente (comma 6), la disciplina della sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato (commi 7 e 8); la disciplina dei casi in cui il giudizio è definito mediante convalida del provvedimento opposto (comma 11, lett. b), e quella dell’inammissibilità del ricorso proposto tardivamente (comma 11, lett. a), riproducono sostanzialmente le corrispondenti disposizioni del giudizio in materia di opposizione ad ordinanza-ingiunzione (v. supra, sub articolo 5);
b) per l’ipotesi in cui il ricorso venga rigettato, si è specificato (al fine di tenere conto del diritto vivente in materia: Cass., sez. un., 25304/2010) che il giudice deve determinare l’importo della sanzione in una misura compresa tra il minimo e il massimo edittale stabilito dalla legge per la violazione accertata (comma 12).
Articolo 7 (Del procedimento di opposizione a sanzione amministrativa in materia di stupefacenti)
Il procedimento di opposizione a sanzione amministrativa in materia di stupefacenti - attualmente disciplinato dall’articolo 75, comma 9, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 - è stato inserito tra i procedimenti regolati dal rito del lavoro, perché presenta caratteri di concentrazione processuale e di officiosità dell’istruzione (arg. ex articolo 75, comma 12, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, che rinvia alle norme della sezione II del capo I della legge 24 novembre 1981, n. 689).
La disciplina di questo procedimento è identica a quella del procedimento in materia di opposizione ad ordinanza-ingiunzione regolato dall’articolo 5 del presente decreto legislativo (comma 1), fatta eccezione per la speciale disposizione in materia di competenza (comma 2).
Articolo 8 (Del procedimento in materia di opposizione ai provvedimenti di recupero di aiuti di Stato)
L’articolo 8 interviene sul procedimento in materia di opposizione ai provvedimenti di recupero degli aiuti di Stato - attualmente disciplinato dall’articolo 1 del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 6 giugno 2008, n. 101.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito del lavoro, in virtù dei caratteri di concentrazione processuale e di officiosità dell’istruzione (arg. ex articolo 1, comma 4, del decreto-legge n. 59 del 2008, che rinvia alle disposizioni degli articoli 22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689).
Il procedimento de quo è regolato, oltre che dal rito del lavoro, anche dalla disciplina del procedimento in materia di opposizione ad ordinanza-ingiunzione contenuta nell’articolo 5 del presente decreto legislativo, con alcune eccezioni:
a) non si applicano le speciali disposizioni in materia di competenza contenute nei commi 3, 4 e 5 dell’articolo 5 del presente decreto legislativo (l’articolo 1 del decreto-legge n. 59 del 2008 non richiama, tra le disposizioni applicabili ai procedimenti in materia di aiuti di Stato, l’articolo 22-bis della legge n. 689 del 1981);
b) al fine di uniformarsi alla giurisprudenza comunitaria in materia di rapidità delle procedure nazionali di recupero degli aiuti di Stato, si è mantenuta la speciale disciplina del procedimento di sospensione dell’efficacia del titolo amministrativo o giudiziale di pagamento emesso a seguito di una decisione di recupero. Si è omesso tuttavia di riprodurre l’articolo 1, comma 3, terzo periodo del decreto-legge n. 59 del 2008, in quanto già dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui stabilisce la perdita di efficacia del provvedimento di sospensione (Corte cost. 281/2010);
c) sono stati mantenuti i termini acceleratori previsti per la definizione del giudizio nell’ipotesi in cui sia stata accolta l’istanza di sospensione del provvedimento impugnato;
d) non si applicano al procedimento de quo le disposizioni del procedimento di opposizione ad ordinanza-ingiunzione che consentono alle parti di stare in giudizio personalmente e quelle che regolano il regime fiscale degli atti del processo e della decisione.
Articolo 9 (Del procedimento in materia di applicazione delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali)
L’articolo 9 modifica il rito previsto per le controversie aventi ad oggetto l'applicazione delle disposizioni del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante il Codice in materia di protezione dei dati personali, nonché per le controversie previste dall’articolo 10, comma 5, della legge 1° aprile 1981, n. 121, in materia di trattamento dei dati delle informazioni e dei dati di cui all'articolo 6, lettera a), e all'articolo 7 della medesima legge, ad opera del Centro elaborazione dati presso il Ministero degli Interni.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito del lavoro, in virtù dei caratteri di concentrazione e di officiosità dell’attività istruttoria previsti dalla normativa previgente, che prevedeva l’introduzione del giudizio con ricorso, termini processuali brevi per la fissazione dell’udienza di comparizione delle parti, la possibilità, per il giudice, di disporre anche d’ufficio i mezzi di prova necessari, e la pronunzia contestuale della sentenza con lettura del dispositivo.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 2, lettera a) della l. n. 69 del 2009) si è mantenuta ferma la competenza territoriale del tribunale del luogo in cui ha sede il titolare del trattamento dei dati, come definito dall’articolo 4 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. Non è stata ribadita la precisazione, presente nel testo previgente, della composizione monocratica dell’organo giudicante, dal momento che tale composizione deriva naturalmente dall’applicazione degli ordinari criteri dettati dagli articoli 50-bis e 50-ter del codice di procedura civile.
La riconduzione al rito del lavoro consente il mantenimento della medesima forma introduttiva del giudizio, la previsione di ampi poteri istruttori officiosi e la massima concentrazione delle attività processuali, con l’ammissione immediata dei mezzi di prova, il tendenziale compimento dell’attività istruttoria in occasione della medesima udienza e la decisione contestuale con la lettura della sentenza al termine dell’udienza o la lettura del solo dispositivo, con riserva di motivazione.
Nel rispetto dell’ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», sono state mantenute le seguenti previsioni:
a) il termine di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento impugnato o dal rigetto tacito per il ricorso avverso i provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali;
b) il potere del giudice di sospendere l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato con ordinanza non impugnabile, al ricorrere di gravi motivi e nel contraddittorio tra le parti, con la possibilità di adottare il provvedimento di sospensione inaudita altera parte e l’obbligo, a pena di inefficacia della sospensione, di confermare il provvedimento all’esito del contraddittorio tra le parti;
c) l’obbligo di cancellazione della causa dal ruolo e di contestuale pronunzia dell’estinzione del processo, con la pronunzia sulle spese, se il ricorrente non compare alla prima udienza senza addurre alcun legittimo impedimento;
d) l’inappellabilità della sentenza di primo grado, ferma restando la possibilità del ricorso per cassazione;
e) la possibilità per il giudice, con la sentenza che definisce il giudizio, di prescrivere le misure necessarie alla pubblica amministrazione, anche in deroga al divieto di cui all'articolo 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E).
Tutti gli effetti processuali summenzionati, infatti, non appaiono ugualmente raggiungibili ricorrendo alle disposizioni del codice di procedura civile che disciplinano il rito del lavoro.
Con specifico riferimento alla disciplina relativa alla sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato, in attuazione del criterio di delega previsto dall’articolo 54, comma 2 della l. n. 69 del 2009, che impone la realizzazione del coordinamento con le altre disposizioni vigenti, è stata uniformata la disciplina a quella prevista per l’opposizione a sanzione amministrativa, con la previsione dell’estensione della sospensione all’efficacia esecutiva e con l’introduzione della sanzione dell’inefficacia per i provvedimenti di sospensione dati inaudita altera parte e non confermati all’esito del contraddittorio tra le parti e, in ogni caso, entro il termine di sessanta giorni.
Va, altresì, evidenziato che, analogamente a quanto previsto in tema di opposizione a sanzione amministrativa, non è stata mantenuta la possibilità di dichiarare inammissibile il ricorso proposto tardivamente con ordinanza non appellabile resa inaudita altera parte. Poiché la declaratoria di inammissibilità dell’opposizione incide sul diritto di azione del ricorrente, si deve ritenere coerente con i principi costituzionali sul giusto processo (articolo 111 Cost.) prevedere che anche in questi casi la decisione sia resa dopo che è stato instaurato il contraddittorio tra le parti (e cioè alla prima udienza), con sentenza soggetta ai normali mezzi di impugnazione delle sentenze.
Articolo 10 (Delle controversie agrarie)
L’articolo 10 regolamenta le controversie in materia di contratti agrari o conseguenti alla conversione dei contratti associativi in affitto, già oggetto di una disciplina che si è stratificata nel tempo con una frammentazione di fonti che ha dato luogo a dubbi ermeneutici tra gli interpreti.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito del lavoro, già applicato a tali controversie in virtù del disposto dell’art. 9 della legge 14 febbraio 1990 n. 29.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 2, lettera a) della l. n. 69 del 2009) si è mantenuta ferma la competenza delle sezioni specializzate agrarie di cui alla legge 2 marzo 1963, n. 320 e successive modificazioni.
Nel rispetto dell’ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», sono state mantenute le seguenti previsioni:
a) l’obbligo del tentativo di conciliazione preventivo all’instaurazione del giudizio, da effettuarsi dinanzi all'ispettorato provinciale dell'agricoltura competente per territorio;
b) la possibilità di concedere il c.d. termine di grazia all'affittuario convenuto in giudizio per morosità, per il pagamento dei canoni scaduti;
c) la tipizzazione del presupposto per la concessione del provvedimento di sospensione dell’esecuzione della sentenza oggetto di gravame nei casi un cui tale esecuzione privi il concessionario di un fondo rustico del principale mezzo di sostentamento suo e della sua famiglia, o possa risultare fonte di serio pericolo per l'integrità economica dell'azienda o per l'allevamento di animali;
d) la previsione del termine connesso all’annata agraria per l’esecuzione dell’ordine di rilascio del fondo.
Tutti gli effetti processuali summenzionati, infatti, non appaiono ugualmente raggiungibili ricorrendo alle disposizioni del codice di procedura civile che disciplinano il rito del lavoro.
Articolo 11 (Del procedimento di impugnazione dei provvedimenti in materia di registro dei protesti)
L’articolo 11 regolamenta le controversie derivanti dall’impugnazione dei provvedimenti in materia di cancellazione dal registro dei protesti previsti dall’articolo 4 della legge 12 febbraio 1955 n. 77 adottati dal responsabile dell'ufficio protesti.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito del lavoro, già applicato a tali controversie in virtù del disposto dell’art. 4, comma 4, della citata legge 12 febbraio 1955 n. 77.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 2, lettera a) della l. n. 69 del 2009) si è mantenuta ferma la competenza del giudice di pace contemplata dalla predetta normativa previgente, nonché la specifica regola della competenza territoriale in funzione del luogo in cui risiede il debitore protestato.
CAPO III - DEI PROCEDIMENTI REGOLATI DAL RITO SOMMARIO DI COGNIZIONE
Articolo 12 (Del procedimento per la liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato)
L’articolo 12 detta la disciplina delle controversie riguardanti gli onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali, previste dall’articolo 28 della legge 13 giugno 1942 n. 794, nonché l'opposizione proposta a norma dell'art. 645 del codice di procedura civile contro il decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento dei medesimi crediti.
Le controversie in questione sono state ricondotte al rito sommario di cognizione, in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell’istruzione della causa evidenziati dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 2, lettera a) della l. n. 69 del 2009) si è mantenuta ferma la competenza funzionale dell’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la propria opera, nonché la composizione collegiale dell’organo giudicante.
Di conseguenza, si è avuto modo di precisare che con il decreto di cui all’articolo 702-bis, terzo comma, del codice di procedura civile, il presidente del collegio designa il giudice istruttore.
Nel rispetto dell’ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», si è avuto cura di specificare che le parti possono stare in giudizio personalmente. Questo, com’è chiaro, potrà accadere nel giudizio di merito, e quindi non nella fase di eventuale impugnativa di legittimità, per cassazione.
Non si è invece riportata la disposizione sul tentativo giudiziale di conciliazione, in quanto assorbita dalla norma generale contenuta nell’art 185 cod. proc. civ.
Sempre al fine di mantenere l’effetto processuale speciale attualmente in essere, si stabilisce che l’ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile.
Sul punto valgono le precisazioni fatte in parte generale (sub art. 3).
Va solo precisato che, qui come altrove, si è scelta la definizione di “inappellabilità”, in luogo di quella “non impugnabilità”, anche considerato che l’effetto è il medesimo, una volta ricondotto il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. a tutte le ipotesi di cui all’art. 360 cod. proc. civ. (v. art. 360, quarto comma, cod. proc. civ.).
Articolo 13 (Del procedimento per l’opposizione a decreto di pagamento di spese di giustizia)
L’articolo 13 detta la disciplina delle controversie in materia di opposizione a decreto di pagamento delle spese di giustizia, di cui all’articolo 170 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n. 115.
Le controversie in questione sono state ricondotte al rito sommario di cognizione, in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell’istruzione della causa evidenziati dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 2, lettera a) della l. n. 69 del 2009) si è mantenuta ferma la competenza funzionale del capo dell'ufficio giudiziario cui appartiene il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato. Al riguardo si è chiarita la portata della norma previgente in merito alla competenza, specificando che per i provvedimenti emessi da magistrati dell’ufficio del giudice di pace e del pubblico ministero presso il tribunale è competente il presidente del tribunale e che per i provvedimenti emessi da magistrati dell’ufficio del pubblico ministero presso la corte di appello è competente il presidente della corte di appello.
Dall’attribuzione della competenza funzionale all’organo apicale dell’ufficio giudicante deriva ex se il mantenimento della composizione monocratica dell’organo decidente.
In chiave di mantenimento delle specialità della disciplina, è stato previsto che:
a) nel giudizio di merito le parti possono stare in giudizio personalmente;
b) l’ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile: sul punto valgono le considerazioni effettuate riguardo all’art. 12;
c) quando ricorrono gravi motivi il presidente può, su istanza di parte, sospendere l'esecuzione provvisoria del decreto, con ordinanza non impugnabile;
d) il presidente può chiedere d’ufficio a chi ha provveduto alla liquidazione, o a chi li detiene, gli atti, i documenti e le informazioni necessari ai fini della decisione.
Per assicurare il coordinamento normativo di sistema, come imposto dall’art. 54, comma 2, della legge delega n. 69 del 2009, si è previsto che la sospensione del decreto, accordabile per gravi motivi dal presidente, abbia ad oggetto l’efficacia esecutiva del titolo opposto, in linea con il dato sistematico emergente dalla pur differente fattispecie di cui all’art. 615, primo comma, cod. proc. civ., come novellato dalla legge 14 maggio 2005 n. 80. Non sarà così irragionevolmente imposto di attendere il primo atto esecutivo per poter avanzare la relativa istanza.
Articolo 14 (Delle controversie in materia di mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale in favore dei cittadini dell’Unione europea)
L’articolo 14 regolamenta le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti di rifiuto e revoca del diritto di soggiorno in favore di cittadini dell'Unione europea.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito sommario di cognizione, in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell’istruzione della causa evidenziati dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio prevista dagli artt. 737 e ss. del codice di procedura civile.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 4, lettera a) della l. n. 69 del 2009) sono state mantenute ferme l’individuazione e la composizione dell’organo giudicante (il tribunale in composizione monocratica) e la competenza territoriale, correlata al luogo ove dimora il ricorrente.
Articolo 15 (Delle controversie in materia di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea o dei loro familiari)
L’articolo 15 regolamenta le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione del provvedimento di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea o dei loro familiari per motivi imperativi di pubblica sicurezza e per gli altri motivi di pubblica sicurezza di cui all'articolo 20 del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, nonché per i motivi di cui all'articolo 21 del medesimo decreto legislativo.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito sommario di cognizione, in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell’istruzione della causa, evidenziati dalla forma dell’atto introduttivo del giudizio (il ricorso) e dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio prevista dagli artt. 737 e ss. del codice di procedura civile.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 4, lettera a) della l. n. 69 del 2009) sono state mantenute ferme l’individuazione e la composizione dell’organo giudicante (tribunale in composizione monocratica) e la competenza territoriale, correlata alla sede dell’autorità che ha pronunziato il provvedimento oggetto di impugnazione.
Nel rispetto dell’ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», sono state mantenute le seguenti previsioni:
a) il termine di venti giorni dalla notifica del provvedimento impugnato per la proposizione del ricorso, a pena di decadenza;
b) la facoltà per la parte di ricorrente di stare in giudizio senza ministero di difensore;
c) la possibilità di presentazione del ricorso per via consolare;
d) la disciplina della istanza di sospensione dell'esecutorietà del provvedimento di allontanamento con automatica sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato salvo che nei casi di allontanamento disposto su base di una precedente decisione giudiziale ovvero su motivi di sicurezza dello Stato o su motivi imperativi di pubblica sicurezza
e) la correlazione dei termini per la pronunzia sull’istanza di sospensione con il termine stabilito per l’allontanamento dello straniero.
Tutti gli effetti processuali summenzionati, infatti, non appaiono ugualmente raggiungibili ricorrendo alle disposizioni del codice di procedura civile che disciplinano il rito sommario di cognizione.
Con specifico riferimento alla disciplina relativa alla presentazione del ricorso per via consolare, in attuazione del criterio di delega previsto dall’articolo 54, comma 2 della l. n. 69 del 2009, che impone la realizzazione del coordinamento con le altre disposizioni vigenti, è stata disciplinata la possibilità della presentazione del ricorso a mezzo del servizio postale, in applicazione dei principi stabiliti dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 278 del 16 luglio 2008, dettata con riferimento alla analoga fattispecie delle controversie in materia di espulsione dei cittadini di Stati che non sono membri dell'Unione europea.
Articolo 16 (Delle controversie in materia di espulsione dei cittadini di Stati che non sono membri dell'Unione europea)
L’articolo 16 regolamenta le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione del decreto di espulsione di cittadini di Stati che non sono membri dell’Unione europea, pronunciato ai sensi dell’articolo 13, comma 2, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito sommario di cognizione, in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell’istruzione della causa, evidenziati dalla forma dell’atto introduttivo del giudizio (il ricorso) e dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio prevista dagli artt. 737 e ss. del codice di procedura civile.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 4, lettera a) della l. n. 69 del 2009) sono state mantenute ferme l’individuazione e la composizione dell’organo giudicante (il giudice di pace) e la competenza territoriale, correlata alla sede dell’autorità che ha pronunziato il provvedimento oggetto di impugnazione.
Nel rispetto dell’ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», sono state mantenute le seguenti previsioni:
a) il termine di sessanta giorni dalla notifica del provvedimento impugnato per la proposizione del ricorso, a pena di decadenza;
b) la possibilità di presentazione del ricorso per via consolare od a mezzo del servizio postale;
c) la notifica a cura della cancelleria del decreto di fissazione dell'udienza;
d) l’ammissione ope legis del ricorrente al beneficio del gratuito patrocinio a spese dello Stato e la nomina del difensore d’ufficio, ove ne sia privo;
e) la possibilità, per l’autorità amministrativa convenuta, di stare in giudizio personalmente o avvalersi di funzionari appositamente delegati;
f) termini brevi per la definizione del giudizio;
g) l’esenzione da ogni tassa ed imposta degli atti processuali, già contemplata dall’articolo 13-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286;
h) l’inappellabilità della sentenza di primo grado, ferma restando la possibilità del ricorso per cassazione.
Tutti gli effetti processuali summenzionati non appaiono ugualmente raggiungibili ricorrendo alle disposizioni del codice di procedura civile che disciplinano il rito sommario di cognizione.
Con specifico riferimento alla disciplina relativa alla presentazione del ricorso per via consolare, in attuazione del criterio di delega previsto dall’articolo 54, comma 2, della l. n. 69 del 2009, che impone la realizzazione del coordinamento con le altre disposizioni vigenti, è stata disciplinata la possibilità della presentazione del ricorso a mezzo del servizio postale, in applicazione dei principi stabiliti dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 278 del 16 luglio 2008, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 8, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 nella parte in cui non consentiva l'utilizzo del servizio postale per la proposizione diretta, da parte dello straniero, del ricorso avverso il decreto prefettizio di espulsione, quando fosse stata accertata l'identità del ricorrente in applicazione della normativa vigente.
In attuazione del medesimo criterio di delega, inoltre, sono stati disciplinati i termini per la notifica del ricorso introduttivo e per la costituzione dell'amministrazione convenuta in modo tale da renderli compatibili con la brevità del termine per la definizione del giudizio, già fissato dalla normativa previgente in 20 giorni. È stato, pertanto, previsto che il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, debba essere notificato a cura della cancelleria all'autorità che ha emesso il provvedimento entro cinque giorni prima dell'udienza e che l'autorità possa costituirsi in giudizio anche direttamente alla medesima udienza.
Articolo 17 (Delle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale)
L’articolo 17 regolamenta le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti previsti in materia di riconoscimento della protezione internazionale dall’articolo 35 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 (status di rifugiato o concessione della protezione sussidiaria).
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito sommario di cognizione, in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell’istruzione della causa, evidenziati dalla forma dell’atto introduttivo del giudizio (il ricorso) e dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio prevista dagli artt. 737 e ss. del codice di procedura civile.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 4, lettera a) della l. n. 69 del 2009) sono state mantenute ferme l’individuazione e la composizione dell’organo giudicante (il tribunale in composizione monocratica) e la competenza territoriale, correlata alla sede della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che ha pronunziato il provvedimento oggetto di impugnazione, ovvero, per gli stranieri accolti o trattenuti presso centri di accoglienza, al distretto di corte d’appello ove ha sede il centro di accoglienza.
Nel rispetto dell’ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», sono state mantenute le seguenti previsioni:
a) il termine di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento per la proposizione del ricorso, a pena di decadenza, ridotto alla metà nei caso di accoglienza o trattenimento dello straniero;
b) la peculiare disciplina della sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato, che consegue automaticamente alla proposizione del ricorso, eccezion fatta per le ipotesi specificamente indicate dal decreto, nel qual caso deve essere disposta dal giudice al ricorrere di gravi e fondati motivi;
c) l’effettuazione di tutte le comunicazioni del procedimento a cura della cancelleria;
d) la partecipazione del pubblico ministero al procedimento, necessaria trattandosi di giudizi in materia di status;
e) la facoltà, per l’amministrazione convenuta, di stare in giudizio, limitatamente al solo giudizio di primo grado, avvalendosi direttamente di propri dipendenti o di un rappresentante designato dalla Commissione che ha adottato l’atto impugnato;
f) il potere officioso del giudice di procedere agli atti di istruzione necessari per la definizione della controversia;
g) il termine di tre mesi per la definizione del giudizio ed i termini abbreviati, rispettivamente a 10 e 30 giorni per la proposizione dell’appello e del ricorso per cassazione. Con particolare riferimento al termine di tre mesi per la definizione del giudizio si è reso necessario ancorare il momento iniziale di tale termine, rispettivamente, alla proposizione del ricorso (per il giudizio di primo grado) ed alla prima udienza di comparizione delle parti (per il giudizio di appello) in virtù del fatto che nel rito sommario di cognizione l’appello si propone con atto di citazione, in applicazione del principio generale di cui all’articolo 359 del codice di procedura civile.
Tutti gli effetti processuali summenzionati non appaiono ugualmente raggiungibili ricorrendo alle disposizioni del codice di procedura civile che disciplinano il rito sommario di cognizione.
Articolo 18 (Del procedimento per l’opposizione alla convalida del trattamento sanitario obbligatorio)
L’articolo 18 regolamenta le controversie in materia di opposizione alla convalida del provvedimento che dispone il trattamento sanitario obbligatorio previste dall’articolo 5 della legge 13 maggio 1978, n. 180.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito sommario di cognizione, in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell’istruzione della causa, evidenziati dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio prevista dagli artt. 737 e ss. del codice di procedura civile.
È stata mantenuta la competenza del tribunale in composizione collegiale.
Naturalmente, il fatto che nell’ipotesi codicistica il rito sommario in oggetto sia riservato alle cause a cognizione monocratica, non esclude la sua applicabilità, ex lege espressa, a ipotesi di cognizione collegiale.
Dunque, con il decreto di cui all’articolo 702-bis, terzo comma, del codice di procedura civile, il presidente del tribunale designa il giudice istruttore.
Queste le ulteriori peculiarità rimaste ferme:
a) al giudizio partecipa il pubblico ministero;
b) il ricorso su iniziativa del sindaco deve essere proposto, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di cui all’articolo 3, secondo comma, della legge n. 180 del 1978;
c) nel giudizio di primo grado le parti possono stare in giudizio personalmente e farsi rappresentare da persona munita di mandato scritto in calce al ricorso o in atto separato;
d) il ricorso può essere presentato a mezzo del servizio postale, mediante raccomandata con avviso di ricevimento;
e) il presidente del tribunale, acquisito il provvedimento che ha disposto il trattamento sanitario obbligatorio e sentito il pubblico ministero, può sospendere il trattamento medesimo anche prima che sia tenuta l'udienza di comparizione. Sulla richiesta di sospensione il presidente deve provvedere entro dieci giorni;
f) il tribunale può assumere informazioni e disporre l’assunzione di prove d’ufficio;
g) il procedimento è esente dal contributo unificato e la decisione non è soggetta a registrazione.
Va evidenziato che i poteri istruttori officiosi, ampiamente giustificati dai profili indisponibili della materia trattata, non incidono sulle esigenze di estrema semplificazione delle forme: di qui la riconduzione al rito sommario in luogo di quello laburistico.
Infine, il punto sub g) conferma la disciplina esistente, non incidendo, pertanto, sulla necessaria invarianza finanziaria.
Articolo 19 (Del procedimento per le azioni popolari e per le controversie in materia di eleggibilità, decadenza ed incompatibilità nelle elezioni comunali, provinciali e regionali)
L’articolo 19 disciplina le azioni popolari e per le controversie in materia di eleggibilità, decadenza ed incompatibilità nelle elezioni comunali, provinciali e regionali, unificando e contestualmente semplificando le discipline dettate dall’articolo 82, primo e secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, dall’articolo 7, secondo comma, della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, dall’articolo 19 della legge 17 febbraio 1968, n. 108 e dall’articolo 70 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
Le controversie in questione sono state ricondotte al rito sommario di cognizione, in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell’istruzione della causa, evidenziati dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 4, lettera a) della l. n. 69 del 2009) sono state mantenute ferme l’individuazione e la composizione dell’organo giudicante e la competenza territoriale.
In particolare le azioni popolari e le impugnative consentite per quanto concerne elezioni comunali restano di competenza del tribunale civile della circoscrizione territoriale in cui è compreso il Comune medesimo, mentre le azioni popolari e le impugnative consentite per quanto concerne elezioni provinciali rimangono di competenza del tribunale civile della circoscrizione territoriale in cui è compreso il capoluogo della provincia ed infine per le azioni popolari e le impugnative consentite relativamente alle elezioni regionali è confermata la competenza del tribunale civile del capoluogo della regione.
Come necessario, viene ribadita la riserva di cognizione collegiale, e la partecipazione al giudizio del pubblico ministero.
Di conseguenza, con il decreto di cui all’articolo 702-bis, terzo comma, del codice di procedura civile, il presidente del tribunale fissa l’udienza di discussione della causa in via di urgenza e designa il giudice istruttore.
Nel rispetto dell’ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», sono state mantenute le seguenti previsioni:
a) il termine, a pena di inammissibilità, di trenta giorni dalla data finale di pubblicazione della deliberazione, ovvero dalla data della notificazione di essa, quando è necessaria, per la proposizione del ricorso avverso le deliberazioni adottate in materia di eleggibilità;
b) la natura perentoria dei termini per la notifica del ricorso e la costituzione delle parti, a tutela della finalità acceleratoria sottesa alle evidenti esigenze correlate alla fattispecie, come già nell’attuale disciplina;
c) l’obbligo di trasmissione, a cura del cancelliere, dell’ordinanza che definisce il giudizio è trasmessa, senza ritardo, al sindaco, al presidente della giunta provinciale o al presidente della regione perché entro ventiquattro ore dal ricevimento provvedano alla pubblicazione per quindici giorni del dispositivo nell'albo dell’ente;
d) la legittimazione all’appello di qualsiasi cittadino elettore dell’ente locale o di chiunque altro vi abbia diretto interesse, ma anche, per i chiari interessi pubblici sottesi, del procuratore della Repubblica, nonché del prefetto, quando ha promosso l'azione d’ineleggibilità;
e) la sospensione automatica dell'esecuzione dell’ordinanza pronunciata dal tribunale in pendenza di appello;
f) il termine per la proposizione dell’appello di venti giorni dalla comunicazione dell’ordinanza, ovvero, per ogni altro cittadino elettore o diretto interessato, dall'ultimo giorno della pubblicazione del dispositivo dell’ordinanza medesima nell'albo dell’ente, a pena di inammissibilità;
g) il termine anch’esso abbreviato a venti giorni per la proposizione del ricorso per cassazione avverso la decisione della corte di appello;
h) la riduzione dei termini processuali alla metà e l’obbligo di fissazione in via di urgenza dell’udienza per il grado di cassazione;
i) il potere del giudice, quando accoglie il ricorso, di correggere il risultato delle elezioni e di sostituire ai candidati illegittimamente proclamati coloro che hanno diritto di esserlo;
j) l’obbligo di comunicazione immediata del provvedimento che definisce il giudizio al sindaco, al presidente della giunta provinciale o al presidente della regione, che subito ne curano la notificazione, senza spese, agli interessati. Eguale comunicazione è data al prefetto per le controversie inerenti alle elezioni regionali;
k) la possibilità, per le parti, di stare in giudizio personalmente in ogni grado del giudizio;
l) l’esenzione degli atti del procedimento e della decisione da ogni tassa, imposta e spesa di cancelleria.
Per assicurare il coordinamento normativo di sistema, come imposto dall’art. 54, comma 2, della legge delega n. 69 del 2009, si è previsto che la sospensione dell’ordinanza del tribunale determinata dalla pendenza dell’appello, riguardi l’efficacia esecutiva del titolo e non la mera esecuzione.
Infine, il punto sub l) conferma la disciplina esistente, non incidendo, pertanto, sulla necessaria invarianza finanziaria.
Articolo 20 (Del procedimento per le azioni in materia di eleggibilità e compatibilità nelle elezioni per il parlamento europeo)
L’articolo 20 disciplina le azioni in materia di eleggibilità e compatibilità nelle elezioni per il parlamento europeo previste dall’articolo 44 della legge 24 gennaio 1979, n. 18.
Le controversie in questione sono state ricondotte al rito sommario di cognizione, in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell’istruzione della causa, evidenziati dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 4, lettera a) della l. n. 69 del 2009) sono state mantenute ferme l’individuazione e la composizione dell’organo giudicante (la corte di appello in grado unico di merito) e la competenza territoriale.
Stante la trattazione collegiale, si indica che con il decreto di cui all’articolo 702-bis, terzo comma, del codice di procedura civile, il presidente della corte di appello fissa l’udienza di discussione della causa in via di urgenza e designa il relatore, e conseguentemente al fatto che la corte d’appello giudica in unico grado di merito viene previsto che al giudizio davanti alla corte si applichino le norme che disciplinano il primo grado, mentre è stata prevista la possibilità per il collegio di delegare il giudice relatore per l'assunzione dei mezzi istruttori.
Nel rispetto dell’ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», sono state mantenute le seguenti previsioni:
a) la partecipazione al giudizio del pubblico ministero;
b) il termine per la proposizione del ricorso, a pena di decadenza, di 60 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei nominativi degli eletti;
c) la natura perentoria dei termini per la notifica del ricorso e la costituzione delle parti;
d) l’obbligo, a cura della cancelleria, di comunicazione immediata del provvedimento che definisce il giudizio al presidente dell'ufficio elettorale nazionale, per l'esecuzione;
e) il termine di 20 giorni dalla comunicazione del provvedimento che definisce il giudizio di merito per la proposizione del ricorso per cassazione;
f) la riduzione alla metà di tutti i termini del procedimento nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione, e l’obbligo per il presidente della Corte di fissare in via di urgenza l'udienza per la discussione della causa;
g) l’esenzione degli atti del procedimento e della decisione da ogni tassa, imposta e spesa di cancelleria.
Tutti gli effetti processuali summenzionati non appaiono ugualmente raggiungibili ricorrendo alle disposizioni del codice di procedura civile che disciplinano il rito sommario di cognizione.
Infine, va evidenziato che il punto sub g) conferma la disciplina esistente, non incidendo, pertanto, sulla necessaria invarianza finanziaria.
Articolo 21 (Del procedimento per l’impugnazione delle decisioni della Commissione elettorale circondariale in tema di elettorato attivo)
L'articolo 21 disciplina le controversie in materia di impugnazione delle decisioni della commissione elettorale circondariale in tema di elettorato attivo previste dall’articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n. 223 .
Il procedimento è stato assoggettato al rito sommario di cognizione in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell’istruzione della causa, evidenziati dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 4, lettera a) della l. n. 69 del 2009) sono state mantenute ferme l’individuazione e la composizione dell’organo giudicante (la corte di appello in grado unico di merito) e la competenza territoriale.
Stante la trattazione collegiale, si indica che con il decreto di cui all’articolo 702-bis, terzo comma, del codice di procedura civile, il presidente della corte di appello fissa l’udienza di discussione della causa in via di urgenza e designa il relatore, e conseguentemente al fatto che la corte d’appello giudica in unico grado di merito viene previsto che al giudizio davanti alla corte si applichino le norme che disciplinano il primo grado, mentre è stata prevista la possibilità per il collegio di delegare il giudice relatore per l'assunzione dei mezzi istruttori.
Nel rispetto dell’ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», sono state mantenute le seguenti previsioni:
a) la partecipazione al giudizio del pubblico ministero;
b) il termine per la proposizione del ricorso, a pena di decadenza, di venti giorni dalla notificazione di cui al quarto comma dell'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n. 223, quando il ricorrente è lo stesso cittadino che aveva reclamato o aveva presentato direttamente alla Commissione una domanda d'iscrizione o era stato dalla Commissione medesima cancellato dalle liste. In tutti gli altri casi il ricorso dovrà essere proposto, anche dal procuratore della Repubblica presso il tribunale competente per territorio, a pena di decadenza, entro trenta giorni dall'ultimo giorno di pubblicazione della lista rettificata, mentre i termini sono raddoppiati per i cittadini residenti all'estero di cui all'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n. 223;
c) l’obbligo, a cura della cancelleria, di comunicazione immediata del provvedimento che definisce il giudizio al presidente della commissione elettorale circondariale e al sindaco, che ne cura, gratuitamente, l'esecuzione e la notificazione agli interessati;
d) la riduzione alla metà di tutti i termini del procedimento nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione, fatta eccezione per i procedimenti riguardanti cittadini residenti all'estero, e l’obbligo per il presidente della Corte di fissare in via di urgenza l'udienza per la discussione della causa;
e) la facoltà delle parti di stare in giudizio personalmente in ogni grado;
f) la mancanza di effetto sospensivo della proposizione del ricorso rispetto al provvedimento o alla decisione contro il quale è proposto;
g) l’esenzione degli atti del procedimento e della decisione da ogni tassa, imposta e spesa di cancelleria.
Tutti gli effetti processuali summenzionati non appaiono ugualmente raggiungibili ricorrendo alle disposizioni del codice di procedura civile che disciplinano il rito sommario di cognizione.
Infine, va evidenziato che il punto sub g) conferma la disciplina esistente, non incidendo, pertanto, sulla necessaria invarianza finanziaria.
Articolo 22 (Del procedimento per la riparazione a seguito di illecita diffusione del contenuto di intercettazioni telefoniche)
L’articolo 22 disciplina le controversie in materia di riparazione a seguito di illecita diffusione del contenuto di intercettazioni telefoniche previste dall’articolo 4 del decreto-legge 22 settembre 2006, n. 259, convertito con modificazioni nella legge 20 novembre 2006, n. 281.
Il procedimento è stato assoggettato al rito sommario di cognizione in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell’istruzione della causa, evidenziati dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina del rito cautelare uniforme, nonostante la natura a cognizione piena della controversia, dal che consegue un acquisto netto in termini di garanzie, e coerenza con una delibazione su diritti.
Articolo 23 (Del procedimento per l’impugnazione dei provvedimenti disciplinari a carico dei notai)
L’articolo 23 disciplina le impugnazioni dei provvedimenti disciplinari a carico dei notai e quelle in materia di impugnazione delle misure cautelari, rispettivamente previste dagli articoli 158 e 158-novies della legge 16 febbraio 1913, n. 89.
Il procedimento è stato assoggettato al rito sommario di cognizione in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell’istruzione della causa, evidenziati dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina del procedimento in camera di consiglio.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 4, lettera a) della l. n. 69 del 2009) sono state mantenute ferme l’individuazione e la composizione dell’organo giudicante (la corte di appello in grado unico di merito) e la competenza territoriale, correlata alla sede della commissione amministrativa regionale di disciplina che ha pronunciato il provvedimento impugnato, mentre per i provvedimenti cautelari pronunziati dalla corte d'appello ai sensi dell'articolo 158-septies, comma 2, della legge 16 febbraio 1913, n. 89, è competente la corte di appello nel cui distretto è ubicata la sede della Commissione più vicina.
Con riferimento all'impugnazione delle misure cautelari va chiarito che non si tratta, ovviamente, di una fattispecie processuale cautelare, bensì dell’impugnativa, in sede giurisdizionale, di provvedimenti cautelari disciplinari. Non vi sono pertanto dubbi di sorta sulla possibilità di ricomprendere tali procedimenti nell’oggetto della delega.
Stante la trattazione collegiale, si indica che con il decreto di cui all’articolo 702-bis, terzo comma, del codice di procedura civile, il presidente della corte di appello fissa l’udienza di discussione della causa in via di urgenza e designa il relatore, e conseguentemente al fatto che la corte d’appello giudica in unico grado di merito viene previsto che al giudizio davanti alla corte si applichino le norme che disciplinano il primo grado, mentre è stata prevista la possibilità per il collegio di delegare il giudice relatore per l'assunzione dei mezzi istruttori.
Nel rispetto dell’ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», sono state mantenute le seguenti previsioni:
a) la partecipazione al giudizio del pubblico ministero;
b) il termine, a pena di decadenza, per la proposizione del ricorso di trenta giorni dalla notificazione della decisione o, in difetto, di sei mesi dal suo deposito ed il termine di proposizione del ricorso avverso la misura cautelare, sempre a pena di decadenza, di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento impugnato;
c) la restrizione dei motivi di ricorso per cassazione contro la decisione della corte di appello sul reclamo avverso il provvedimento disciplinare ai soli casi previsti dai numeri 3) e 5) dell'articolo 360 del codice di procedura civile;
d) la previsione della pronuncia, da parte della Corte di cassazione, con modalità camerale, sentite le parti;
e) la mancanza di effetto sospensivo della proposizione del ricorso rispetto al provvedimento cautelare contro il quale è proposto.
Tutti gli effetti processuali summenzionati non appaiono ugualmente raggiungibili ricorrendo alle disposizioni del codice di procedura civile che disciplinano il rito sommario di cognizione.
Articolo 24 (Del procedimento di impugnazione delle deliberazioni del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti)
L’articolo 24 regolamenta le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione delle deliberazioni del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, previste dall’articolo 63 della legge 2 febbraio 1963, n. 69.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito sommario di cognizione, in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell’istruzione della causa, evidenziati dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio prevista dagli artt. 737 e ss. del codice di procedura civile.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 4, lettera a) della l. n. 69 del 2009) sono state mantenute ferme l’individuazione e la composizione dell’organo giudicante.
In particolare viene mantenuta la previsione che attribuisce la cognizione di tali procedimenti al tribunale in composizione collegiale, integrato da un giornalista e da un pubblicista nominati dal presidente della Corte di appello, previa designazione del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti.
Con riferimento alla competenza territoriale, viene mantenuta in vigore la previsione che la individua nel tribunale del capoluogo del distretto in cui ha sede il Consiglio regionale o interregionale dell’Ordine dei giornalisti presso cui il giornalista è iscritto od ove la elezione contestata si è svolta.
Nel rispetto dell’ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», sono state mantenute le seguenti previsioni:
a) la partecipazione necessaria al giudizio del pubblico ministero;
b) il termine per la proposizione del ricorso di trenta giorni dalla notifica del provvedimento impugnato, a pena di inammissibilità;
c) la peculiare disciplina della sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato, che consegue automaticamente alla proposizione del ricorso, eccezion fatta per le ipotesi specificamente indicate dal decreto, nel qual caso deve essere disposta dal giudice al ricorrere di gravi e fondati motivi;
d) l’obbligo di notifica d’ufficio, da parte della cancelleria, dell’ordinanza che definisce il giudizio.
Tutti gli effetti processuali summenzionati non appaiono ugualmente raggiungibili ricorrendo alle disposizioni del codice di procedura civile che disciplinano il rito sommario di cognizione.
In attuazione del criterio di delega previsto dall’articolo 54, comma 2 della l. n. 69 del 2009, che impone la realizzazione del coordinamento con le altre disposizioni vigenti, è stata prevista la designazione, da parte del presidente del collegio, con il decreto di cui all'articolo 702-bis, terzo comma, del codice di procedura civile del giudice istruttore, al fine di integrare la disciplina del rito sommario di cognizione, in origine prevista per un organo giudicante monocratico, alle modalità operative dell’organo giudicante collegiale.
Tale designazione, in attuazione dei principi generali previsti dalla disciplina del rito ordinario di cognizione, implica la delega al giudice istruttore del compito di compiere l’attività istruttoria necessaria per la definizione della controversia.
Articolo 25 (Dei procedimenti in materia di discriminazione)
I procedimenti in materia di discriminazione sono regolati attualmente da una pluralità di fonti legislative, frutto di una disciplina che si è stratificata nel tempo senza un adeguato coordinamento legislativo.
L’articolo 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 disciplina in via generale le azioni civili contro ogni discriminazione fondata su motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
L’articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215 disciplina in particolare le azioni civili contro ogni discriminazione a causa della razza o dell’origine etnica, per quanto concerne l’accesso al lavoro e la disciplina del rapporto di lavoro, la formazione professionale, la protezione sociale, l’assistenza sanitaria, le prestazioni sociali, l’istruzione e l’accesso a beni e servizi.
L’articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216 disciplina a sua volta le azioni civili contro ogni discriminazione a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell’età o dell’orientamento sessuale, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro.
L’articolo 3 della legge 1° marzo 2006, n. 67 disciplina le azioni civili contro ogni discriminazione attuata in pregiudizio delle persone disabili.
L’articolo 55-quinquies del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 disciplina infine le azioni civili contro le discriminazioni per ragioni di sesso nell’accesso a beni e servizi e loro fornitura.
Il procedimento regolato dall’articolo 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 richiama in parte la disciplina del procedimento cautelare uniforme disciplinato dagli articoli 669-bis e seguenti del codice di procedura civile, ed è caratterizzato da una cognizione sommaria (perché superficiale) dei fatti dedotti a fondamento della domanda, ciò che ha indotto la giurisprudenza di legittimità ad inquadrare tale procedimento nell’ambito degli strumenti di tutela cautelare.
In realtà – come già evidenziato da una parte della dottrina – quello disciplinato dall’articolo 44 del decreto legislativo n. 286 del 1998 è un vero e proprio procedimento speciale (semplificato) di cognizione su diritti, suscettibile di concludersi con un provvedimento idoneo alla formazione del giudicato, come si evince dal fatto che:
a) l’articolo 44, comma 10 parla di «sentenza che accerta le discriminazioni sulla base del ricorso presentato ai sensi del presente articolo»;
b) i rimedi a disposizione della parte che lamenti di aver subito una discriminazione (cessazione del comportamento pregiudizievole; rimozione degli effetti della discriminazione; risarcimento del danno non patrimoniale) esauriscono gli strumenti di tutela a disposizione del soggetto leso, consentendogli di conseguire direttamente il bene della vita idoneo ad eliminare la lesione e i suoi effetti (ciò che consente di escludere il carattere strumentale e/o anticipatorio della tutela offerta dall’articolo 44 del decreto legislativo n. 286 del 1998, e la natura cautelare della relazione azione).
Considerazioni analoghe valgono anche per gli altri procedimenti in materia di discriminazione, tutti disciplinati mediante il rinvio per relationem alle norme contenute nell’articolo 44 del decreto legislativo n. 286 del 1998 (con alcune differenze che – lungi dal venire incontro a specifiche esigenze di tutela in funzione della natura della discriminazione – si spiegano con la stratificazione nel tempo della legislazione in materia e con un difetto di coordinamento delle diverse discipline).
L’articolo 25 dello schema di decreto legislativo si propone di razionalizzare la disciplina della tutela giurisdizionale contro gli atti di discriminazione (qualunque sia la loro natura e il loro oggetto), mediante l’introduzione di un unico rito che sostituisca il procedimento regolato dall’articolo 44 del decreto legislativo n. 286 del 1998, quello regolato dall’articolo 4 del decreto legislativo n. 215 del 2003, quello regolato dall’articolo 4 del decreto legislativo n. 216 del 2003, quello regolato dall’articolo 3 della legge n. 67 del 2006 e quello regolato dall’articolo 55-quinquies del decreto legislativo n. 198 del 2006 (questi procedimenti coincidono parzialmente quanto all’oggetto della tutela e/o quanto agli strumenti di tutela attualmente previsti).
In particolare, tenuto conto della natura di questi procedimenti (che hanno ad oggetto la cognizione sul diritto tutelato dalle norme in materia di discriminazione), delle caratteristiche del provvedimento conclusivo del procedimento (idoneo a realizzare integralmente le esigenze di tutela della parte lesa e ad esaurire gli strumenti di tutela offerti dalla legge) e del fatto che si tratta di procedimenti in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione e dell’istruzione della causa, si è ritenuto opportuno inserire i procedimenti in materia di discriminazione tra quelli regolati dal rito sommario di cognizione, mantenendo quegli elementi di specialità che consentono di produrre effetti che non potrebbero altrimenti conseguirsi con l’applicazione delle sole norme contenute negli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile.
La riconduzione dei procedimenti in materia di discriminazione alla disciplina del rito sommario di cognizione implica un accertamento a cognizione piena del diritto che si assume leso dal comportamento antidiscriminatorio, suscettibile di concludersi con un provvedimento idoneo alla formazione del giudicato. Con la precisazione che - qualora la parte lamenti che il proprio diritto è suscettibile di subire un pregiudizio imminente e irreparabile nelle more della definizione del giudizio di merito, nonostante la forma semplificata e accelerata del rito sommario di cognizione – sarà sempre possibile agire in via cautelare ai sensi dell’articolo 700 del codice di procedura civile.
Per quanto riguarda gli aspetti peculiari della disciplina dei procedimenti in materia di discriminazione che si è voluto conservare e/o coordinare con le altre disposizioni vigenti, si osserva quanto segue:
a) l’articolo 44 del decreto legislativo n. 286 del 1998 e l’articolo 55-quinquies del decreto legislativo n. 198 del 2006 stabiliscono che il ricorso può essere presentato anche personalmente dalla parte, legittimando in tal modo il solo ricorrente ad agire in giudizio senza il ministero di un difensore. Nel disciplinare con un unico rito tutti i procedimenti in materia di discriminazione, si è ritenuto di applicare tale previsione a tutte le azioni in materia di discriminazione (essendo irragionevole applicare una diversa disciplina sul punto a seconda dell’oggetto della discriminazione) e di estendere tale facoltà anche al resistente (il coordinamento con le disposizioni vigenti imposto dalla legge delega deve essere fatto anche con riferimento alle disposizioni della Costituzione, che impongono di attuare il principio di parità tra le parti del processo);
b) è stata mantenuta la previsione che pone a carico del convenuto l’onere di provare l’insussistenza della discriminazione quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si può presumere l’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori. Al riguardo, a fronte della sussistenza di rilevanti differenze nelle previsioni già contenute nell’articolo 44, comma 9, del decreto legislativo n. 286 del 1998, nell’articolo 4, comma 3, del decreto legislativo n. 215 del 2003, nell’articolo 4, comma 4, del decreto legislativo n. 216 del 2003, e nell’articolo 3 della legge n. 67 del 2006 e dall’articolo 55-sexies del decreto legislativo n. 198 del 2006, è stata prescelta la formulazione più aderente alle previsioni degli articoli 8 della direttiva del Consiglio dell'Unione Europea 2000/43/CE e 10 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio dell'Unione Europea e maggiormente coerente con l’ordinamento vigente in materia di prova per presunzioni;
c) è stata introdotta una norma che disciplina – analogamente a quanto previsto dalla legislazione vigente in materia – quali siano i provvedimenti che il giudice può emanare quando accerta la sussistenza di un comportamento o di un atto discriminatorio;
d) ragioni di coordinamento hanno indotto ad estendere la previsione della pubblicazione del provvedimento che accoglie la domanda a tutti i casi in cui il giudice accerta la sussistenza di un comportamento discriminatorio.
Articolo 26 (Del procedimento di opposizione ai provvedimenti in materia di riabilitazione del debitore protestato)
Le controversie aventi per oggetto l’opposizione al provvedimento di diniego di riabilitazione di cui all’articolo 17, comma 3, della legge 7 marzo 1996, n. 108, ovvero al decreto di riabilitazione ai sensi del comma 4 del medesimo articolo, vengono ricondotte al rito sommario di cognizione.
Viene rispettata, come necessario, la competenza della corte d'appello, e la sua composizione collegiale.
Stante la trattazione collegiale, si indica che con il decreto di cui all’articolo 702-bis, terzo comma, del codice di procedura civile, il presidente della corte di appello fissa l’udienza di discussione della causa e designa il relatore, e conseguentemente al fatto che la corte d’appello giudica in unico grado di merito viene previsto che al giudizio davanti alla corte si applichino le norme che disciplinano il primo grado, mentre è stata prevista la possibilità per il collegio di delegare il giudice relatore per l'assunzione dei mezzi istruttori.
Queste le ulteriori peculiarità mantenute:
a) il ricorso va proposto, a pena di decadenza, entro dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento di diniego di riabilitazione ovvero entro dieci giorni dalla pubblicazione del decreto di riabilitazione effettuata ai sensi dell’articolo 17, comma 4, della legge n. 108 del 1996;
b) il provvedimento che accoglie il ricorso è pubblicato nel Bollettino dei protesti cambiari.
Articolo 27 (Del procedimento di opposizione al diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché agli altri provvedimenti dell'autorità amministrativa in materia di diritto all'unità familiare)
Le controversie previste dall’articolo 30, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, vengono assoggettate al rito sommario di cognizione.
È mantenuta, come d’obbligo, la competenza del tribunale del luogo in cui risiede il ricorrente.
Queste le peculiarità processuali conservate:
a) l’ordinanza che accoglie il ricorso può disporre il rilascio del visto anche in assenza del nulla osta;
b) gli atti del procedimento sono esenti da imposta di bollo e di registro e da ogni altra tassa.
Il punto sub b) è già presente nella disciplina attuale, per cui l’invarianza finanziaria è rispettata.
CAPO IV - DEI PROCEDIMENTI REGOLATI DAL RITO ORDINARIO DI COGNIZIONE
Articolo 28 (Delle controversie in materia di rettificazione di attribuzione di sesso)
L’articolo 28 regolamenta le controversie aventi ad oggetto la rettificazione di attribuzione di sesso ai sensi dell'articolo uno della legge 14 aprile 1982, n. 164
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito ordinario di cognizione, in mancanza di elementi che consentissero di ritenere il procedimento connotato da peculiari caratteri di concentrazione processuale, ovvero di ufficiosità dell'istruzione, né di caratteri di semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa.
Tale procedimento, infatti, risultava già in base alla legislazione previgente assoggettato al rito ordinario di cognizione e la sua inclusione nell'ambito del presente decreto risponde ad esigenze di organicità e di completezza del decreto legislativo, in ossequio alle finalità compilative meglio specificate nella parte generale della presente relazione illustrativa.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 4, lettera a) della l. n. 69 del 2009) sono state mantenute ferme l’individuazione e la composizione dell’organo giudicante (il tribunale in composizione collegiale) e la competenza territoriale, correlata al luogo di residenza dell'attore.
Nel rispetto dell’ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», sono state mantenute le seguenti previsioni:
a) l'obbligo di notifica dell'atto di citazione al coniuge ed ai figli dell'attore;
b) la partecipazione al giudizio del pubblico ministero, conseguente alla natura dell'oggetto della controversia, consistente in uno status;
c) la possibilità di autorizzare il trattamento medico-chirurgico necessario per l'adeguamento dei caratteri sessuali con previo ed autonomo procedimento. al riguardo è stato tenuto conto della pronunzia della Corte costituzionale n. 161 del 24 maggio 1985 che ha riconosciuto il diritto alla rettificazione dell'attribuzione di sesso anche in assenza di previa autorizzazione al trattamento medico-chirurgico;
d) l'efficacia irretroattiva della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso e l'automatico scioglimento del matrimonio conseguente al suo passaggio in giudicato.
Tutti gli effetti processuali summenzionati non appaiono ugualmente raggiungibili ricorrendo alle disposizioni del codice di procedura civile che disciplinano il rito ordinario di cognizione.
Articolo 29 (Del procedimento in materia di opposizione a procedura coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici)
Il procedimento in materia di opposizione avverso la procedura coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici - attualmente disciplinato dall’articolo 3 del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, approvato con regio decreto 14 aprile 1910, n. 639 - è stato inserito tra i procedimenti regolati dal rito ordinario.
Si è tenuto conto, al riguardo, del fatto che la scarna disciplina vigente in materia non consente di ritenere che questo procedimento presenti caratteri di concentrazione processuale o di officiosità dell’istruzione, ovvero di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa.
L’articolo 3 del testo unico citato, infatti, prevede che avverso il provvedimento contenente l’ingiunzione di pagamento il debitore può proporre opposizione regolata «a norma del codice di procedura civile». L’inclusione di tale procedimento nell'ambito del presente decreto risponde ad esigenze di organicità e di completezza del decreto legislativo, in ossequio alle finalità compilative meglio specificate nella parte generale della presente relazione illustrativa.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 4, lettera a) della l. n. 69 del 2009) è stata mantenuta ferma la competenza territoriale, determinata in base al luogo in cui ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento opposto.
Sebbene il procedimento in questione appaia richiamare – per certi aspetti – il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, regolato anch’esso dalle norme sul giudizio ordinario di cognizione, va evidenziato che, secondo una giurisprudenza costante della Suprema Corte di Cassazione, che la Corte costituzionale ha ritenuto integrare “diritto vivente” con la sentenza 16 dicembre 1997, n. 452 il procedimento ha natura di giudizio di accertamento negativo della pretesa manifestata con il provvedimento impugnato, nel quale, a differenza del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l'opponente assume la posizione dell'attore in senso formale e in senso sostanziale.
La disciplina previgente del procedimento prevede, inoltre, un termine di 30 giorni dalla notificazione del provvedimento impugnato per la proposizione dell'opposizione.
Al riguardo, tuttavia, la giurisprudenza di legittimità, sulla base della anzidetta natura di accertamento negativo del credito del giudizio ed in considerazione della assenza di alcuna previsione espressa di una sanzione connessa alla violazione del predetto termine, in base al principio generale espresso dall'articolo 152, comma secondo, del codice di procedura civile, ha costantemente affermato che il decorso del predetto termine preclude unicamente la facoltà di conseguire la sospensione dell'esecuzione in forza dell'ingiunzione, ma non osta alla possibilità di agire anche successivamente per far dichiarare l'insussistenza del credito vantato dall'amministrazione .
Alla luce di tali considerazioni, e nel rispetto dell’ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», è stata mantenuta la previsione della possibilità per il giudice, su istanza di parte, di sospendere con ordinanza motivata l'efficacia esecutiva dell'ingiunzione unicamente allorquando l'opposizione sia stata proposta entro il termine di 30 giorni dalla notificazione del provvedimento opposto.
Articolo 30 (Delle controversie in materia di opposizione alla stima nelle espropriazioni per pubblica utilità)
L’articolo 30 regolamenta le controversie aventi ad oggetto aventi ad oggetto l’opposizione alla stima ai sensi dell’articolo 54 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 327.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito ordinario di cognizione, in mancanza di elementi che consentissero di ritenere il procedimento connotato da peculiari caratteri di concentrazione processuale, ovvero di ufficiosità dell'istruzione, né di caratteri di semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa.
Tale procedimento, infatti, risultava già in base alla legislazione previgente assoggettato al rito ordinario di cognizione e la sua inclusione nell'ambito del presente decreto risponde ad esigenze di organicità e di completezza del decreto legislativo, in ossequio alle finalità compilative meglio specificate nella parte generale della presente relazione illustrativa.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 4, lettera a) della l. n. 69 del 2009) sono state mantenute ferme l’individuazione e la composizione dell’organo giudicante (la corte d'appello, in grado unico di merito) e la competenza territoriale, correlata al luogo in cui si trova il bene espropriato.
Nel rispetto dell’ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», sono state mantenute le seguenti previsioni:
a) il termine di 30 giorni per la proposizione dell'opposizione, a pena di decadenza, decorrente dalla notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, se successiva al decreto di esproprio;
b) l'obbligo di notifica dell'atto di citazione all'autorità espropriante, al promotore dell'espropriazione e, se del caso, al beneficiario dell'espropriazione, se attore è il proprietario del bene, ovvero all'autorità espropriante e al proprietario del bene, se attore è il promotore dell'espropriazione. In proposito si è ritenuto di mantenere la previgente dizione letterale della norma, che, secondo la giurisprudenza costante integra una ipotesi di mera litis denuntiatio, rimanendo fermi i criteri elaborati nel tempo dalla giurisprudenza per la concreta individuazione del soggetto legittimato passivo rispetto alla pretesa fatta valere in giudizio.
Tutti gli effetti processuali summenzionati non appaiono ugualmente raggiungibili ricorrendo alle disposizioni del codice di procedura civile che disciplinano il rito ordinario di cognizione.
Articolo 31 (Delle controversie in materia di attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria e contestazione del riconoscimento)
L’articolo 31 regolamenta le controversie aventi ad oggetto l’attuazione di sentenze e di provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria ai sensi dell’articolo 67 della legge 31 maggio 1995, n. 218.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito ordinario di cognizione, in mancanza di elementi che consentissero di ritenere il procedimento connotato da peculiari caratteri di concentrazione processuale, ovvero di ufficiosità dell'istruzione, né di caratteri di semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa, e la sua inclusione nell'ambito del presente decreto risponde ad esigenze di organicità e di completezza del decreto legislativo, in ossequio alle finalità compilative meglio specificate nella parte generale della presente relazione illustrativa.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 4, lettera a) della l. n. 69 del 2009) sono state mantenute ferme l’individuazione e la composizione dell’organo giudicante (la corte d'appello, in grado unico di merito) e la competenza territoriale, correlata al luogo di attuazione del provvedimento.
Articolo 32 (Delle controversie in materia di liquidazione degli usi civici)
L’articolo 32 regolamenta le controversie aventi ad oggetto l’appello contro le decisioni dei commissari regionali ai sensi dell'articolo 32 della legge 16 giugno 1927, n. 1766.
Con riferimento a tale procedura di intervento normativo è stato limitato unicamente alla fase dell'appello, in considerazione della natura speciale della giurisdizione devoluta giurisdizione speciale ai commissari regionali, e del limite posto dalla legge delega che circoscrive l'oggetto dell'intervento delegato ai “procedimenti civili di cognizione che rientrano nell'ambito della giurisdizione ordinaria”.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito ordinario di cognizione, in mancanza di elementi che consentissero di ritenere il procedimento connotato da peculiari caratteri di concentrazione processuale, ovvero di ufficiosità dell'istruzione, né di caratteri di semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa.
Tale procedimento, infatti, risultava già in base alla legislazione previgente assoggettato al rito ordinario di cognizione e la sua inclusione nell'ambito del presente decreto risponde ad esigenze di organicità e di completezza del decreto legislativo, in ossequio alle finalità compilative meglio specificate nella parte generale della presente relazione illustrativa.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 4, lettera a) della l. n. 69 del 2009) sono state mantenute ferme l’individuazione e la composizione dell’organo giudicante (la corte d'appello, in grado unico di merito) e la competenza territoriale, individuata nella corte d'appello di Palermo, per i provvedimenti pronunziati dal commissario regionale per la liquidazione degli usi civici per la Regione Siciliana, e nella corte d'appello di Roma per i provvedimenti pronunziati dei commissari delle restanti regioni.
Nel rispetto dell’ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», sono state mantenute le seguenti previsioni:
a) il termine di 30 giorni, decorrente dalla notificazione del provvedimento impugnato, per la proposizione dell'appello, a pena di inammissibilità;
b) la possibilità di proporre appello avverso le decisioni preparatorie o interlocutori dei commissari regionali soltanto dopo la decisione definitiva ed unicamente all'impugnazione di quest'ultima;
c) la partecipazione al giudizio del pubblico ministero;
d) il potere di acquisizione degli atti istruttori compiuti nella causa dal commissario che ha pronunciato la decisione impugnata;
e) l'obbligo di comunicazione della sentenza che definisce il giudizio al ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, a cura della cancelleria.
Tutti gli effetti processuali summenzionati non appaiono ugualmente raggiungibili ricorrendo alle disposizioni del codice di procedura civile che disciplinano il rito ordinario di cognizione.
Non sono state, viceversa, mantenute in vigore tutte le ulteriori disposizioni contenute nella legge 10 luglio 1930, n. 1078, in quanto disciplinanti aspetti del procedimento in larga parte assorbiti e regolamentati dalle disposizioni che disciplinano il rito ordinario di cognizione, come nel caso delle previsioni relative alla partecipazione del pubblico ministero al procedimento, alla comunicazione degli atti da parte della cancelleria, al rinvio da parte del giudice di appello al giudice di prime cure ed ai termini per la proposizione del ricorso per cassazione.
CAPO V - DISPOSIZIONI FINALI ED ABROGAZIONI
Art. 33. (Modificazioni e abrogazioni)
L’articolo 33 regolamenta le numerose modificazioni ed abrogazioni delle leggi speciali conseguenti alla nuova disciplina dei diritti previsti dal presente decreto.
Nell'ambito di tale complessiva opera di riscrittura e di semplificazione della legislazione speciale è stato adottato un modello di intervento già sperimentato con successo in occasione dell'esercizio della delega legislativa conferita al governo dall'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n 69, che ha portato all'approvazione del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante il codice del processo amministrativo.
L'intervento normativo, infatti, incide sulla legislazione speciale con l'eliminazione di tutte le disposizioni processuali ivi contenute, sostituendovi l'espressa previsione della giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie il cui oggetto viene delimitato da ciascuna legge speciale e con il rinvio all'articolo del presente decreto che disciplina il relativo procedimento.
Sono state, inoltre, emanate le necessarie disposizioni di raccordo per garantire l'organicità e la coerenza del testo normativo di ciascuna legge speciale oggetto di intervento.
Articolo 34 (Clausola di invarianza finanziaria)
L'articolo in commento sancisce l'invadenza finanziaria del presente intervento normativo, come richiesto dalle vigenti disposizioni in materia di contabilità pubblica.
Al riguardo va evidenziato che tutte le disposizioni del presente decreto che prevedono l'esenzione da tasse o imposte degli atti processuali e dei provvedimenti giudiziari non hanno carattere innovativo, ma riproducono analoghe previsioni legislative contenute nelle disposizioni preveggenti, senza ampliarne in alcun modo l'ambito applicativo.
Articolo 35 (Disposizioni transitorie e finali)
L’articolo in commento detta la disciplina transitoria, stabilendo che le norme del presente decreto si applichino ai procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso, conformemente al principio generale espresso dall'articolo 11 delle disposizioni sulla legge in generale.
Allo scopo di evitare eventuali dubbi interpretativi circa l'efficacia delle disposizioni abrogative viene, inoltre, espressamente sancita l’ultrattività delle norme abrogate o modificate dal presente decreto, le quali continueranno ad applicarsi a tutte le controversie pendenti alla data di entrata in vigore dello stesso.
SOMMARIO
OSSERVAZIONI GENERALI
CAPO I - DISPOSIZIONI GENERALI
Articolo 1 (Definizioni)
Articolo 2 (Disposizioni comuni ai procedimenti disciplinati dal rito del lavoro)
Articolo 3 (Disposizioni comuni ai procedimenti disciplinati dal rito sommario di cognizione)
Articolo 4 (Mutamento del rito)
CAPO II - DEI PROCEDIMENTI REGOLATI DAL RITO DEL LAVORO
Articolo 5 (Del procedimento in materia di opposizione ad ordinanza-ingiunzione)
Articolo 6 (Del procedimento in materia di opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada)
Articolo 7 (Del procedimento di opposizione a sanzione amministrativa in materia di stupefacenti)
Articolo 8 (Del procedimento in materia di opposizione ai provvedimenti di recupero di aiuti di Stato)
Articolo 9 (Del procedimento in materia di applicazione delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali)
Articolo 10 (Delle controversie agrarie)
Articolo 11 (Del procedimento di impugnazione dei provvedimenti in materia di registro dei protesti)
CAPO III - DEI PROCEDIMENTI REGOLATI DAL RITO SOMMARIO DI COGNIZIONE
Articolo 12 (Del procedimento per la liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato)
Articolo 13 (Del procedimento per l’opposizione a decreto di pagamento di spese di giustizia)
Articolo 14 (Delle controversie in materia di mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale in favore dei cittadini dell’Unione europea)
Articolo 15 (Delle controversie in materia di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea o dei loro familiari)
Articolo 16 (Delle controversie in materia di espulsione dei cittadini di Stati che non sono membri dell'Unione europea)
Articolo 17 (Delle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale)
Articolo 18 (Del procedimento per l’opposizione alla convalida del trattamento sanitario obbligatorio)
Articolo 19 (Del procedimento per le azioni popolari e per le controversie in materia di eleggibilità, decadenza ed incompatibilità nelle elezioni comunali, provinciali e regionali)
Articolo 20 (Del procedimento per le azioni in materia di eleggibilità e compatibilità nelle elezioni per il parlamento europeo)
Articolo 21 (Del procedimento per l’impugnazione delle decisioni della Commissione elettorale circondariale in tema di elettorato attivo)
Articolo 22 (Del procedimento per la riparazione a seguito di illecita diffusione del contenuto di intercettazioni telefoniche)
Articolo 23 (Del procedimento per l’impugnazione dei provvedimenti disciplinari a carico dei notai)
Articolo 24 (Del procedimento di impugnazione delle deliberazioni del consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti)
Articolo 25 (Dei procedimenti in materia di discriminazione)
Articolo 26 (Del procedimento di opposizione ai provvedimenti in materia di riabilitazione del debitore protestato)
Articolo 27 (Del procedimento di opposizione al diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché agli altri provvedimenti dell'autorità amministrativa in materia di diritto all'unità familiare)
CAPO IV - DEI PROCEDIMENTI REGOLATI DAL RITO ORDINARIO DI COGNIZIONE
Articolo 28 (Delle controversie in materia di rettificazione di attribuzione di sesso)
Articolo 29 (Del procedimento in materia di opposizione a procedura coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici)
Articolo 30 (Delle controversie in materia di opposizione alla stima nelle espropriazioni per pubblica utilità)
Articolo 31 (Delle controversie in materia di attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria e contestazione del riconoscimento)
Articolo 32 (Delle controversie in materia di liquidazione degli usi civici)
CAPO V - DISPOSIZIONI FINALI ED ABROGAZIONI
Art. 33 (Modificazioni e abrogazioni)
Articolo 34 (Clausola di invarianza finanziaria)
Articolo 35 (Disposizioni transitorie e finali)
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