Arb irrituale e contradditt.
Arbitrato irrituale e principio del contraddittorio
......................
a cura di Enrico Bernini*
*Avvocato del Foro di Livorno, dottorando di ricerca Università L.U.I.S.S. – Roma.
LA QUESTIONE
Qual era, alla luce degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali antecedenti all’entrata in vigore del d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, l’ambito di applicazione del principio del contraddittorio nell’arbitrato irrituale?
Quali sono le novità apportate dall’art. 808-ter c.p.c.?
INTRODUZIONE
Già molto tempo prima della riforma della disciplina dell’arbitrato, posta in essere con il d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (di attuazione della legge-delega 14 maggio 2005, n. 80), era risultato acquisito che il principio del contraddittorio dovesse essere rispettato nell’ambito dell’arbitrato rituale .
Il “vecchio” art. 816, comma 4, c.p.c. – che prevedeva che gli arbitri dovessero «in ogni caso assegnare alle parti i termini per presentare documenti e memorie, e per esporre le loro repliche» – sanciva, senza alcun dubbio da parte degli interpreti, la necessità del rispetto in generale del principio del contraddittorio, successivamente consacrata, con la riforma del 1994, con la previsione di un apposito motivo di nullità del lodo all’interno dell’art. 829 c.p.c.
La norma è stata poi trasfusa nell’art. 816-bis il quale, con terminologia più appropriata ma senza incidere sul significato sostanziale della disposizione, fa riferimento alla doverosa attuazione da parte degli arbitri del principio del contraddittorio, con concessione alle parti di ragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa.
Nulla invece prevedeva la disciplina codicistica, in ordine all’arbitrato irrituale, fino alle riforme del processo civile degli anni 2005/2006. La legge 80/2005 imponeva al legislatore delegato di prevedere che le norme in materia di arbitrato trovassero sempre applicazione, salvo diversa ed espressa volontà derogatoria delle parti, ma con il rispetto in ogni caso del principio del contraddittorio: direttiva che ha trovato attuazione nell’art. 808-ter c.p.c., il quale prevede, al comma 2, che il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il suddetto principio.
Prima di tale esplicito riconoscimento – le cui concrete applicazioni, del resto, necessitano di essere verificate alla luce delle prime pronunce giurisprudenziali – era dibattuta in dottrina e giurisprudenza l’applicazione ma, soprattutto, l’estensione del principio del contraddittorio in relazione all’istituto dell’arbitrato irrituale; problema al quale venivano date soluzioni diverse e tra loro contrastanti a seconda dell’inquadramento giuridico che veniva dato all’istituto.
Nelle prossime pagine, dopo aver dato atto delle varie posizioni espresse in dottrina e giurisprudenza circa l’applicabilità o meno e il contenuto del principio del contraddittorio in ordine all’arbitrato irrituale, verrà analizzata la portata della disposizione del nuovo art. 808-ter c.p.c.
LE NORME
Codice di procedura civile
Art. 808-ter – Arbitrato irrituale
Art. 816-bis – Svolgimento del procedimento
Codice civile
Art. 1429 – Errore essenziale
Art. 1711 – Limiti del mandato
LA FATTISPECIE
Le origini dell’arbitrato irrituale.
L’arbitrato cd. irrituale entra “ufficialmente” a far parte degli istituti conosciuti all’interno del nostro ordinamento a seguito della sentenza della Cassazione di Torino 27 dicembre 1904 , la quale, prendendo atto di un fenomeno già ampiamente diffuso nella pratica, per la prima volta riconosceva la possibilità per i privati di affidare a terzi il potere di comporre, con efficacia contrattuale, le controversie in forme differenti da quelle giurisdizionali nonché da quelle arbitrali regolate dal codice di procedura civile.
Il nuovo istituto conosceva una grande diffusione nelle pratiche dei traffici e degli affari in quanto permetteva alle parti non soltanto di addivenire rapidamente alla risoluzione delle controversie, a opera di persone scelte dalle parti stesse in base alla fiducia nutrita e alle capacità tecniche ma, soprattutto, di evitare il giogo dei controlli (processuale e fiscali) ai quali era sottoposto il lodo rituale nella vigenza del codice di procedura civile del 1865.
Mentre, tuttavia, fin dall’inizio in giurisprudenza si riconosceva la validità della nuova forma di risoluzione delle controversie nata dalla prassi commerciale, molto più scettica si dimostrava nei confronti dell’istituto gran parte della dottrina.
Infatti, accanto ad alcuni autori che accolsero con entusiasmo il nuovo istituto, riconoscendone non solo l’indubbia utilità pratica ma anche la validità giuridica , altri autori invece negavano la validità dei compromessi e lodi irrituali, sulla base di diverse argomentazioni (in ogni caso, partendo dal presupposto che la risoluzione delle controversie fosse monopolio – a eccezione degli istituti espressamente previsti dall’ordinamento dell’arbitrato rituale ovvero dell’arbitraggio – dello Stato) .
Tuttavia la progressiva presa d’atto della diffusione nella pratica dell’istituto e, ben presto, il suo (implicito ) riconoscimento legislativo, spostavano l’attenzione degli studiosi dal problema di giustificarne l’esistenza a quello del suo inquadramento giuridico.
L’arbitrato irrituale come arbitraggio di una transazione o di un negozio di accertamento.
Il primo tentativo di inquadrare concettualmente il nuovo istituto fu attuato mediante il richiamo alla figura dell’arbitraggio e, in particolare, dell’arbitraggio applicato al negozio di transazione.
Secondo i sostenitori di tale teoria l’arbitrato irrituale non consisterebbe nella risoluzione di una controversia giuridica, ma in un atto di volontà di un terzo, il quale si limiterebbe a fissare il contenuto di un contratto (appunto di transazione) stipulato tra le parti.
In sostanza, una volta sorta la controversia, la stessa verrebbe superata attraverso una transazione (cioè quel contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già cominciata o che potrebbe sorgere) stipulata direttamente tra le parti, le quali, però, non essendo in grado di stabilire personalmente il contenuto dei loro interessi, si rimettono alla decisione del terzo al fine della fissazione dei termini di superamento della lite.
Altri autori , invece, pur facendo riferimento all’arbitraggio, lo legano alla figura del negozio di accertamento, in modo tale da rendere possibile, anche concettualmente, che le parti non si facciano reciproche concessioni e il terzo possa accogliere integralmente le pretese di una sola di esse.
La teoria dell’arbitrato irrituale come arbitraggio di una transazione o di un negozio di accertamento, sviluppatasi negli anni successivi alla nascita del fenomeno ma tuttora sostenuta da alcuni autori , ha altresì avuto un ampio e duraturo seguito nelle pronunce della giurisprudenza .
Si tratta, a questo punto, di vedere quale sia lo spazio che residua al principio del contraddittorio qualora si abbracci una tale concezione dell’arbitrato irrituale.
Giova premettere che sia la dottrina che la giurisprudenza che sostengono la descritta teoria non mettono in dubbio che il principio del contraddittorio debba essere rispettato, così come nell’arbitrato rituale, anche nell’arbitrato irrituale.
Le sentenze , tuttavia, partendo dalla corretta considerazione che il fenomeno de quo ha natura esclusivamente negoziale, arrivano ad affermare che non si possa parlare in relazione alla predetta forma di arbitrato di un principio di parità delle armi tra le parti ma soltanto della necessità che gli arbitri, in qualsiasi modo, siano posti in grado di conoscere i termini della contrapposizione di interessi, in modo da poterla comporre correttamente.
Secondo questa impostazione la violazione del principio del contraddittorio, in primo luogo, presuppone che il rispetto dello stesso sia stato espressamente richiesto dalle parti al momento della stipulazione del patto compromissorio (così che la violazione dello stesso non sarebbe in ogni caso idonea a rilevare di per sé ma, tutt’al più, come violazione del contratto di mandato intercorrente tra le parti e gli arbitri) e, in secondo luogo, impone alla parte che lamenta la violazione l’onere di dimostrare che la stessa abbia avuto come conseguenza un errore nella manifestazione della volontà degli arbitri, non essendo sufficiente per ottenere l’annullamento del lodo il fatto puro e semplice di non essere stati ascoltati.
L’arbitrato irrituale come processo
Accanto alla teoria che giustifica l’arbitrato irrituale facendo ricorso alla figura dell’arbitraggio nella transazione o nel negozio di accertamento, si è sviluppata, soprattutto a partire dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso, la teoria cd. unitaria .
Secondo la teoria unitaria arbitrato rituale e irrituale sono accomunati dal fatto di essere entrambi processi, finalizzati alla risoluzione di una controversia attraverso l’espressione di un giudizio, e si differenzierebbero esclusivamente in relazione al regime dell’atto conclusivo (non potendo il lodo irrituale essere munito di exequatur) e al sistema delle impugnazioni (applicandosi al lodo rituale le impugnazioni di cui agli artt. 827 ss. c.p.c. e al lodo irrituale le impugnative previste per i contratti).
La ricostruzione dell’arbitrato come processo ha come inevitabile corollario la necessità del rispetto del principio del contraddittorio, indipendentemente dalla espressa scelta in tal senso che abbiano fatto i compromittenti e senza bisogno di richiamare le norme che impongono il rispetto del principio nel processo statuale e in quello di arbitrato rituale, dal momento che il diritto di ciascuna parte di far ascoltare le proprie ragioni e prendere posizioni su quelle espresse dalla controparte è, nel nostro ordinamento, principio inderogabile di ordine pubblico.
Pertanto il principio del contraddittorio, nell’ambito dell’arbitrato irrituale, potrà considerarsi rispettato anche senza la pedissequa ripetizione delle forme previste per il processo di cognizione – le quali, del resto, mal si attaglierebbero a un processo avente struttura diversa – e purché sia consentito alle parti quel minimo di attività in cui si sostanzia il diritto di difesa: diritto di allegazione e di prova dei fatti, di interloquire sugli elementi raccolti all’interno del processo, svolgendo argomentazioni e replicando a quelle svolte dalle altre parti, ivi compreso il soggetto giudicante .
La posizione della giurisprudenza
I dubbi e le oscillazioni che si possono riscontrare nelle posizioni della dottrina trovano puntualmente eco nelle decisioni della giurisprudenza.
In primo luogo occorre sottolineare che sono praticamente assenti in giurisprudenza decisioni che affermino la necessità del rispetto del principio del contraddittorio quale norma di ordine pubblico processuale, con la conseguente rilevabilità del vizio in ogni stato e grado del processo .
Parte delle pronunce, invece, partendo dal corretto presupposto della natura negoziale dell’arbitrato irrituale, arrivano a negare che quest’ultimo sia processo e, di conseguenza, se ne trae che il rispetto del principio de quo non sia elemento essenziale, dal momento che gli arbitri sono tenuti a esprimere una soluzione transattiva, rispetto alla quale non rileva che le parti siano poste nella condizione di difendersi adeguatamente ma che gli arbitri, in qualunque modo, conoscano adeguatamente i motivi delle opposte ragioni dei contendenti .
In tale prospettiva, il rispetto del principio del contraddittorio è subordinato all’espresso richiamo che ne facciano le parti in sede di determinazione delle regole del procedimento (rectius, nell’ottica della descritta giurisprudenza, del contenuto del contratto di mandato).
La maggior parte delle sentenze, tuttavia, parte dal corretto presupposto che anche l’arbitrato irrituale sia un processo che si sostanzia in un giudizio, con la conseguenza che il rispetto del principio del contradditorio diventa elemento irrinunciabile.
Ma nel momento in cui si passa dal piano della enunciazione dei principi a quello della pratica applicazione degli stessi, si nota che il concetto di contraddittorio a cui si riferisce la giurisprudenza è lontano da quello auspicato dalla dottrina, in modo da «comunicare l'idea dell'ammissibilità di un contraddittorio ridotto, un po’ arrangiato, nell'arbitrato libero» .
Indicative, in tal senso, sono alcune pronunce.
Per esempio, la già citata Cass. 5 marzo 1992, n. 2650, dopo aver affermato la necessità del rispetto del principio del contraddittorio anche nell’arbitrato irrituale, non ne ha ritenuto la violazione da parte dell’arbitro, un ingegnere, che si è limitato a comunicare il contenuto di un parere giuridico richiesto a un giurisperito esclusivamente nel lodo – senza pertanto dare la possibilità alle parti di interloquire sui risultati dello stesso – e non ha portato a conoscenza delle parti alcuni dati raccolti ai fini della determinazione del quantum della richiesta avanzata.
Secondo, invece, Cass. 9 agosto 2004, n. 15353, relativa a un arbitrato irrituale in materia di sanzione disciplinare, non costituisce violazione del principio del contraddittorio il fatto che la lavoratrice incolpata non sia stata ammessa, nel corso della procedura arbitrale, a esporre le ragioni con le quali avrebbe inteso contestare le accuse della datrice di lavoro e la pretesa della stessa di adottare una sanzione disciplinare. Infatti, traducendosi tale forma di arbitrato in una regolamentazione negoziale della contesa, la violazione del principio del contraddittorio non si porrebbe come vizio del procedimento ma come violazione del contratto di mandato e potrebbe rilevare esclusivamente ai fini dell'impugnazione ai sensi dell'art. 1429 c.c., con la conseguenza che la parte che impugna il lodo deve farsi carico di dimostrare, in concreto, l'errore nell’apprezzamento della realtà nel quale gli arbitri sarebbero incorsi, senza che possa rilevare il solo fatto di non essere stata, la parte medesima, ascoltata o di non essere venuta a conoscenza della memoria prodotta nel giudizio arbitrale dalla datrice di lavoro o di non avere prodotto a sua volta una replica.
Nella medesima sentenza, inoltre, neppure l’omessa verbalizzazione delle attività del collegio arbitrale e la mancanza totale di motivazione (ovvero la carenza della stessa al punto da non consentire di comprendere l’iter del ragionamento degli arbitri e la ratio della decisione) sono considerate tali da inficiare il lodo per violazione del contraddittorio.
Significativa anche una sentenza più recente, Cass. 8 settembre 2004, n. 18049 , nella quale il ricorrente contestava agli arbitri di non aver proceduto ad ascoltare le parti, di non aver loro comunicato le attività compiute e di non aver redatto un verbale delle operazioni svolte. Il mancato compimento di alcuna di queste attività è risultato però idoneo, secondo la Cassazione, a ritenere integrata la violazione del principio del contraddittorio. La parte, infatti, avrebbe dovuto dimostrare che le predette attività erano state previste come obbligo imprescindibile nel contratto di mandato, in modo da permettere al giudice del merito di ricostruire l’effettivo contenuto dell’obbligazione degli arbitri. Ma neppure questo sarebbe stato sufficiente per il ricorrente al fine di vedere accolta la propria doglianza, dal momento che, anche in caso di espressa violazione di una regola imposta dalle parti, il lodo si sarebbe salvato dalla dichiarazione di invalidità qualora non fosse stato possibile dimostrare quali elementi di fatto il mancato rispetto delle formalità processuali avesse impedito di far acquisire al processo e come tale mancanza avesse viziato la volontà degli arbitri riverberandosi nel lodo.
Di poco successiva Cass. 24 gennaio 2005, n. 1398 – relativa all’impugnazione da parte di un datore di lavoro di una sentenza che aveva ridotto la sanzione inflitta di licenziamento con quella meno grave della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione – nella quale la Suprema corte nega che possa violazione del contraddittorio la mancata garanzia della presenza del difensore della parte nel corso del procedimento arbitrale.
Alla luce delle descritte decisioni, si può pertanto notare come per la giurisprudenza sussista una netta distinzione tra arbitrato rituale e irrituale circa la valenza del principio del contraddittorio, dal momento che, per quanto riguarda il primo, è principio pacifico in giurisprudenza che il principio costituisca una regola processuale inderogabile di ordine pubblico, il cui mancato rispetto è idoneo a essere rilevato di per sé, indipendentemente cioè da una valutazione su quello che sarebbe stato l’esito della controversia .
Principi completamente differenti, come si è visto, in tema di arbitrato irrituale, in quanto non solo la violazione del contraddittorio non è idonea a rilevare di per sé (ma soltanto in relazione al contenuto della pronuncia che hanno voluto i compromittenti e quindi come mancato rispetto del contratto di mandato) ma, in ogni caso, costituisce onere della parte che lamenta la violazione la dimostrazione del differente contenuto che il lodo irrituale avrebbe avuto se alla parte fosse stessa fosse stato riconosciuto il diritto di dire e contraddire sui fatti di causa: cioè la dimostrazione dell’errore essenziale in cui sarebbero incorsi gli arbitri.
L’art. 808-ter c.p.c.
Quello sommariamente descritto nei paragrafi precedenti era il panorama giurisprudenziale e dottrinale all’interno del quale deve essere inquadrato il nuovo art. 808-ter c.p.c., il quale costituisce una disposizione del tutto innovativa all’interno del nostro ordinamento.
La norma è stata introdotta dall’art. 20 d. lgs. n. 40 del 2006 sulla base di quanto previsto dall’art. 1 della legge-delega n. 80 del 2005, la quale prevedeva che le norme in materia di arbitrato dovevano trovare «sempre applicazione in presenza di patto compromissorio comunque denominato, salva la diversa ed espressa volontà delle parti di derogare alla disciplina legale, fermi in ogni caso il rispetto del principio del contraddittorio, la sindacabilità in via di azione o di eccezione della decisione per vizi del procedimento e la possibilità di fruire della tutela cautelare».
In attuazione della delega, il comma 2 dell’art. 808-ter prevede che «il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente secondo le disposizioni del libro I: ... 5) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio...».
Sembra pertanto chiara e netta la scelta del legislatore delegato, sulla base delle indicazioni contenute nella legge-delega e da tempo caldeggiate dalla dottrina maggioritaria, di prevedere l’applicazione del principio del contraddittorio all’interno del procedimento arbitrale, come principio processuale di ordine pubblico, in quanto tale in grado di rilevare autonomamente, al di là di specifici richiami che ne abbiano fatto le parti e indipendentemente da qualsiasi indagine sul rapporto tra violazione e contenuto del lodo.
LA GIURISPRUDENZA
Giurisprudenza
Sono di seguito riportate alcune massime della giurisprudenza di legittimità e di merito, con particolare attenzione alle sentenze più recenti.
GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITÀ E DI MERITO
Trib. Bologna, Sez. II, 3 luglio 2006
L'impugnazione del lodo nell'arbitrato libero (o irrituale) non può attenere al caso del mancato rispetto dei termini inderogabili per la presentazione di documenti e memorie, vigendo tale regola esclusivamente nel caso dell'arbitrato rituale e dunque sancendosene, in tal modo, l'inapplicabilità a quello irrituale (o libero), nel quale prevale in modo esaustivo, ed ai fini della predetta esclusione, la volontà negoziale che nel lodo sia espressa, nonché la sufficienza di una esplicazione dell'attività assertiva e deduttiva delle parti in qualunque modo e tempo espressasi, ciò che non lede né contraddice il carattere cogente e l'attuazione del principio pieno del rispetto del contraddittorio anche nell'arbitrato irrituale e con riguardo al lodo che da esso promani. L'impugnazione avanti l'autorità giurisdizionale ordinaria del lodo pronunziato nell'arbitrato irrituale (o libero) con l'esercizio della quale si lamentino e contestino "errores in judicando" riconducibili non all'erronea percezione dei fatti nella loro materialità (idonei così a viziare la volontà che nel lodo si sia espressa) bensì riconducibili esclusivamente alla erronea valutazione dei fatti stessi, incontrano la sanzione - in sede di cognizione del giudice ordinario adito - dell'inammissibilità, così come, analogamente, a tale sanzione non possono che essere assoggettati gli "errores in procedendo" che non si risolvano nella dimostrata lesione del principio del contraddittorio. (Sito Giuraemilia.it, 2007).
Cass. civ., Sez. III, 16 marzo 2005, n. 5678
Nella perizia contrattuale (al pari di quanto si verifica nell'arbitrato irrituale) la decisione dei periti è impugnabile solo attraverso le tipiche azioni di annullamento e di risoluzione per inadempimento previste per i contratti e non attraverso gli strumenti accordati dal codice di procedura civile per i lodi rituali. Deriva da quanto precede, pertanto, che errori "in procedendo" o "in iudicando" posti in essere nella perizia contrattuale, comprensivi dei principi della collegialità e del contraddittorio, rilevano a condizione che si risolvano in cause di invalidità e, cioè, incapacità e vizi del consenso o di risoluzione (Guida al diritto, 2005, 17, 45).
Cass. civ., Sez. I, 8 settembre 2004, n. 18049
Nell’arbitrato irrituale il contraddittorio si realizza assicurando alle parti la possibilità di svolgere l’attività assertiva e deduttiva, in qualsiasi modo e tempo, in rapporto agli elementi utilizzati dall’arbitro per la sua pronuncia - in applicazione di tale principio, la corte ha respinto il ricorso con il quale una delle parti si doleva della mancata redazione di un verbale delle operazioni e della mancata comunicazione delle attività compiute, prima dell’emissione della decisione finale, senza allegare e provare il compimento di uno specifico atto istruttorio diverso dall’esame dei documenti versati da ciascuna di esse – (Foro it., 2005, I, 1775).
Cass. civ., Sez. lavoro, 9 agosto 2004, n. 15353
Nell'arbitrato libero o irrituale, che si traduce in una regolamentazione contrattuale della contesa, la violazione del principio del contraddittorio non rileva come vizio del procedimento, ma come violazione del contratto di mandato, e può rilevare esclusivamente ai fini dell'impugnazione ex art. 1429 c.c., ossia come errore degli arbitri che abbia inficiato la volontà contrattuale dai medesimi espressa; ne consegue che la parte che impugna il lodo deve dimostrare in concreto l'errore nell'apprezzamento della realtà nel quale gli arbitri sarebbero incorsi, mentre il solo fatto di non essere stata ascoltata, di non aver ricevuto copia della memoria prodotta dalla controparte o di non aver potuto produrre a sua volta una replica non implica di per sé un vizio della volontà degli arbitri
Cass. civ., Sez. I, 27 febbraio 2004, n. 3975
Anche nell'arbitrato irrituale si impone il rispetto del principio del contraddittorio, la cui operatività comporta che gli arbitri conoscano compiutamente i punti di vista degli interessati e che questi ultimi conoscano ciò che le altre parti hanno detto o fatto conoscere agli arbitri, nonché gli elementi di fatto esterni rilevanti per la controversia, che gli arbitri stessi abbiano acquisito. L'osservanza di detto principio non implica, peraltro, che le parti debbano essere poste a conoscenza degli elementi di valutazione e delle argomentazioni che gli arbitri intendano adottare a fondamento del loro giudizio (Nella specie, alla stregua di tale principio, la S.C. ha negato che costituisse violazione del contraddittorio la mancata conoscenza del contenuto di un parere tecnico sulle caratteristiche di un prodotto chimico-farmaceutico che l'arbitro aveva chiesto ad un consulente, fatto conoscere alle parti prima della decisione) (Foro it., 2005, I, 1778).
Cass. civ., Sez. I, 18 settembre 2001, n. 11678
Nell'arbitrato irrituale - quale vicenda che inizia e si esaurisce sul piano contrattuale - la violazione del principio del contraddittorio non si pone come vizio del procedimento, ma come violazione del contratto di mandato e può rilevare esclusivamente ai fini dell'impugnazione ai sensi dell'art. 1429 c.c., ossia come un errore degli stessi arbitri che abbia inficiato la volontà contrattuale dai medesimi espressa, con la conseguenza che la sua deduzione comporta un'indagine sull'effettivo contenuto del mandato stesso, indagine riservata al giudice di merito e non censurabile in Cassazione, se correttamente e logicamente motivata.
Trib. Taranto, 24 gennaio 1997
La violazione del principio del contraddittorio nel corso di un arbitrato irrituale può assumere rilevanza, ai fini dell'impugnazione del lodo, qualora configuri un'ipotesi di errore che abbia inficiato la volontà contrattuale espressa dagli arbitri (Gius, 1997, 882).
Cass. civ., Sez. II, 15 marzo 1995, n. 3032
La norma di cui all'art. 816, comma 3, c.p.c. - la quale impone agli arbitri, anche se autorizzati a decidere secondo equità e senza il rispetto delle regole processuali, di assegnazione in ogni caso alle parti termini per produrre documenti e memorie e per esporre le loro repliche, al fine dell'osservanza del principio del contraddittorio - non è prescritta del pari a pena di nullità nell'arbitrato irrituale. In questo, infatti, tale inderogabile principio va inteso e seguito in relazione al contenuto della pronunzia arbitrale voluta dai compromittenti: non vi si articola, quindi, necessariamente in forme rigorose e in fasi progressive regolate dall'arbitro mediante prefissione di termini, nemmeno per quanto attiene al potere delle parti di presentare documenti e memorie e di esporre repliche, essendo sufficiente che la loro attività assertiva e deduttiva si sia potuta esplicare, in qualsiasi modo e tempo, in rapporto agli elementi utilizzati dall'arbitro per la sua pronunzia (Riv. arb., 1997, 71).
Cass. civ., Sez. I, 5 marzo 1992, n. 2650
Anche nell'arbitrato irrituale si impone il rispetto del principio del contraddittorio, la cui operatività comporta che gli arbitri conoscano compiutamente i punti di vista degli interessati e che questi ultimi conoscano ciò che le altre parti hanno detto o fatto conoscere agli arbitri, nonché gli elementi di fatto esterni, rilevanti per la controversia, che gli arbitri stessi abbiano acquisito; l'osservanza del detto principio non implica invece che le parti siano poste a conoscenza degli elementi di valutazione e delle argomentazioni che gli arbitri intendano adottare a fondamento del proprio giudizio (nella specie, alla stregua di tale principio, la suprema corte ha negato che costituisse violazione del contraddittorio la mancata conoscenza del contenuto di un parere pro veritate che l'arbitro era stato autorizzato a chiedere ad un giurista, nonché dell'esito di computi metrici e rilievi tecnici ugualmente autorizzati dalle parti stesse) (Riv. arb., 1997, 48).
Cass. civ., Sez. I, 18 gennaio 1992, n. 595
Poiché l’arbitrato irrituale è vicenda che inizia e si esaurisce sul piano contrattuale, solo le parti possono disporre il contraddittorio nell’ambito del mandato conferito all’arbitro. Spetta, perciò, al giudice di merito accertare se l’arbitro abbia esorbitato dal mandato, obliterando la disposta modalità del contraddittorio (Riv. arb., 1997, 48).
App. Milano, 18 settembre 1990
Agli arbitri liberi è affidata una funzione di natura esclusivamente negoziale, essendo essi chiamati ad esprimere una soluzione transattiva o comunque convenzionale della vertenza; pertanto, in linea generale, non è possibile applicare all'arbitrato libero i principi del contraddittorio quali individuati dalla dottrina e dalla giurisprudenza in base alle norme dettate dal legislatore per disciplinare il corretto svolgimento del processo giurisdizionale; nulla vieta per altro che le parti, nell'accordo compromissorio, facciano riferimento ad alcune regole tipiche del contraddittorio vincolando così gli arbitri irrituali al rispetto di dette regole; non può invece valere a trasformare l'arbitrato libero in un procedimento modellato sugli schemi del processo giurisdizionale il generico richiamo al rispetto del contraddittorio contenuto nell'accordo compromissorio, restando in tal caso rilevanti solo le violazioni tali da compromettere in concreto la piena conoscenza, da parte degli arbitri, dei termini della questione sottoposta al loro esame, delle ragioni per le quali contendono e dei contrapposti interessi delle parti (Riv. arb., 1991, 555).
LA DOTTRINA
Per approfondimenti dottrinali
AULETTA, Sull’equo processo per arbitrato libero e il suo nòcciolo duro (nota a Cass. 15 marzo 1995, n. 3032), in Dir. arb., 1997, 73;
BIAVATI, Il nuovo art. 808-ter sull’arbitrato irrituale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 1159 ss.;
BOVE, Note in tema di arbitrato libero, in Riv. dir. proc., 1999, 688 ss.;
BOVE, L’arbitrato a modalità irrituale dopo la riforma, in www.judicium.it;
CAPONI, Determinazione delle regole ed aspetti del contraddittorio nel processo arbitrale, in Foro it., 2005, I, 1770 ss.;
CARPI, Il procedimento nell’arbitrato irrituale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1991, 394 ss.;
CECCHELLA, L’arbitrato, Torino, 2005;
CECCHELLA, Arbitrato libero e processo (contributo a una nozione unitaria dell’arbitrato italiano), in Riv. dir. proc., 1987, 881;
CIRULLI, Osservazioni sul principio del contraddittorio nell’arbitrato irrituale (nota a Cass. 5 marzo 1992, n. 2650), in Giust. civ., 1993, I, 2783;
FAZZALARI, Processo di arbitrato libero, in Riv. arb., 1993, 55 ss.;
FAZZALARI, I processi arbitrali nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. proc., 1968, 471 ss.;
LUISO, Diritto processuale civile. I processi speciali, Milano, 2007;
RICCI, Sul contraddittorio nell’arbitrato irrituale, in Rass. arb., 1987, 13 ss.;
SASSANI, L’arbitrato a modalità irrituale, in www.judicium.it.;
VIGORITI, Quale contraddittorio per l’arbitrato libero, in Riv. arb., 1991, 559 ss.
LE CONCLUSIONI
Alla luce delle osservazioni sin qui svolte, è possibile notare delle divergenze sia all’interno della giurisprudenza che della dottrina.
Quanto a quest’ultima, era sicuramente maggioritario l’orientamento che sostiene la necessità del pieno rispetto del principio del contraddittorio anche nell’arbitrato irrituale in quanto, pur essendo negoziali la sua natura e i suoi effetti, lo stesso può essere considerato un processo finalizzato alla risoluzione di una controversia, con la conseguenza che il rispetto del principio de quo deve essere considerata condizione minima e necessaria di validità del procedimento che porta all’emanazione del lodo e che la sua violazione è idonea di per sé a inficiare la validità del lodo.
Continua tuttavia a sussistere, sulla scia delle teorie affermatisi all’indomani della nascita dell’istituto, una parte della dottrina che ricostruisce l’arbitrato irrituale rifacendosi alla tradizionale figura dell’arbitraggio nella transazione o nel negozio di accertamento. Secondo i sostenitori di tale ultimo orientamento, pur avendo il contraddittorio uno spazio all’interno dell’arbitrato irrituale, rileverebbe in modo differente non solo da come rileva nel processo di fronte al giudice dello stato ma anche da quello di fronte all’arbitro rituale, dal momento che il fine del contraddittorio è quello di permettere all’arbitro di avere a disposizione i presupposti per svolgere la propria attività negoziale, così che per ottenere l’annullamento del lodo non sarebbe sufficiente il semplice fatto che una parte non sia stata ascoltata ma la dimostrazione che tale circostanza abbia avuto come conseguenza un errore dell’arbitro.
Quanto alla giurisprudenza, invece, accanto ad alcune rare sentenze che in sostanza negano tout court la necessità del rispetto del principio e lo subordinano in ogni caso all’espresso richiamo che ne facciano le parti in sede di determinazione delle regole del contratto di mandato che stipulano con gli arbitri, la maggioranza delle sentenze afferma con decisione la processualità dell’arbitrato irrituale e la conseguente necessità del rispetto del contraddittorio.
Quando, però, dal piano dei principi si passa a quello dell’applicazione, lo spazio lasciato al contraddittorio non sembra nei fatti molto più esteso, dal momento che, anche in questi casi, alla parte che si lamenta della violazione viene fatto carico dell’onere di dimostrare non solo che la determinata attività non espletata sia stata espressamente richiesta agli arbitri, ma anche che il contenuto del lodo sarebbe stato diverso, avendo la violazione stessa inciso sul processo di formazione della volontà degli arbitri.
In questo quadro si è inserita la riforma del 2005/06, la quale, prevedendo espressamente nel nuovo art. 808-ter c.p.c. l’obbligo del rispetto del contraddittorio anche nell’arbitrato irrituale, sembra finalmente aver fugato ogni dubbio sulla natura di principio processuale di ordine pubblico del contraddittorio anche nell’arbitrato irrituale.
|