Riassunzione riformataLa riassunzione del processo civile alla luce delle novità introdotte con la legge n.69/2009, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.140 il 19 giugno 2009
La legge 18 giugno 2009 n.69, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale lo scorso mese di giugno, ha apportato sostanziali modifiche al codice di procedura civile, cercando di semplificare i meccanismi processuali, le formalità di contenuto delle sentenze e della loro impugnazione. La recente novella ha anche introdotto il procedimento sommario di cognizione e ha inciso sul giudizio di cassazione, fino ad aumentare le competenze del giudice di pace; il legislatore, in particolare, ha inteso ridurre sensibilmente i termini per proseguire o riassumere il processo, sì da abbreviarne la durata.
di Marco Cattani*
*Avvocato del Foro di Lucca.
LA QUESTIONE
Alla luce della recente novella legislativa come viene modificato l’istituto della riassunzione nel processo civile? In particolare: come vengono disciplinati i termini per riassumere il giudizio nelle varie fattispecie previste dal codice di rito? Alla luce della finalità perseguita dal legislatore, quali sono le problematiche e le questioni rimaste irrisolte o comunque prive di adeguate riposte?
INTRODUZIONE
La legge 18 giugno 2009 n.69, con efficacia a decorrere dal 4 luglio 2009, ha inteso “rivitalizzare” il processo civile attraverso la riduzione e la semplificazione del processo civile di cognizione.
La novella ha in particolare operato molteplici abbreviazioni di termini mirando a ridurre la durata (e quindi i costi) del giudizio, onerando le parti di adempimenti in tempi più rapidi (per la disciplina della riassunzione del processo, v. infra) e frustando eventuali intenti dilatori (si veda, ad esempio, il novellato art.307 sull’estinzione del processo per inattività delle parti, dichiarabile dal giudice anche d’ufficio); ha altresì opportunamente integrato alcuni articoli del codice di rito (tra cui, al secondo comma, l’art.182 c.p.c. sulle conseguenze del difetto di rappresentanza, assistenza ed autorizzazione).
Gli effetti della riforma potranno essere compiutamente valutati solo nel prosieguo, sebbene qualche limite ed omissione – (v. infra nelle conclusioni) – è certamente ravvisabile.
LE NORME
Legge 18 giugno 2009 n.69
Art. 46 – Modifiche al libro II del codice di procedura civile
Regio Decreto 18 dicembre 1941, n.1368. Disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie
Art. 125 – Riassunzione della causa
Art. 126 – Fascicolo della causa riassunta
Codice Procedura Civile
Art. 50 – Riassunzione della causa
Art.153 – Improrogabilità dei termini perentori
Art. 296 – Sospensione su istanza delle parti
Art. 297 - Fissazione della nuova udienza dopo la sospensione
Art. 305 - Mancata prosecuzione o riassunzione
Art. 307 - Estinzione del giudizio per inattività delle parti
Art. 327 – Decadenza dell’impugnazione
Art. 353 – Rimessione al primo giudice per ragioni di giurisdizione
Art. 392 – Riassunzione della causa
Art. 393 – Estinzione del processo
LA FATTISPECIE
La novella legislativa ha fissato termini più brevi per riassumere il processo che, per vari motivi, compresi quelli concernenti l’inattività delle parti od il difetto di giurisdizione, verte in un periodo di “stasi”; ciò all’evidente fine di abbreviarne i tempi “morti”.
Ad oggi, pertanto le parti sono chiamate ad attivarsi in maniera tempestiva per evitare che il Giudice, anche d’ufficio, ne dichiari l’estinzione; devono quindi notificare l’atto di riassunzione, completo di ogni suo elemento, al destinatario (o destinatari) non appena abbiano obiettiva conoscenza della ragione che ha determinato la sospensione e/o interruzione del giudizio.
Ne deriva la necessità di esaminare le varie ipotesi di riassunzione (almeno quelle più significative) e le conseguenze che si determinano in caso di ripresa tempestiva, o meno, dei relativi giudizi.
Riduzione dei termini per la riassunzione del processo e tempestività del deposito dell’atto riassuntivo
L’intervento legislativo ha innanzitutto ridotto alla metà (da sei a tre mesi, decorrenti dalla comunicazione dell’ordinanza di regolamento o dell’ordinanza che dichiara l’incompetenza del giudice adito) il termine per la riassunzione della causa dinanzi al giudice dichiarato competente (art.50 c.p.c., sempre che non sia determinato dal giudice un termine diverso).
Parimenti passano da sei a tre mesi i termini sia per la richiesta di fissazione dell’udienza di prosecuzione dopo la cessazione della causa di sospensione o dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia civile od amministrativa di cui all’art.295 c.p.c. (art.297 c.p.c.), sia per la prosecuzione o riassunzione del processo interrotto (art.305 c.p.c.).
Ugualmente tre mesi (anziché un anno) - decorrenti dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto a norma dell‘art.166 c.p.c. o dalla data di provvedimento di cancellazione della causa disposta dal giudice - è l’arco temporale decorso il quale si produce l’estinzione del processo per inattività delle parti (art.307, comma 1 c.p.c.), così come quello che il giudice è autorizzato a fissare ai sensi del comma 3 del medesimo articolo (prima stabilito in un anno).
Tre mesi è il termine massimo che il giudice può concedere per la sospensione del giudizio su istanza delle parti ex art.296 c.p.c..
In caso di rimessione della causa al primo giudice per ragioni di giurisdizione, l’art.353 c.p.c. dispone che le parti – ove il giudice d’appello, riformando la sentenza di primo grado ed affermando che il giudice ordinario ha sulla causa la giurisdizione negata dal primo giudice, pronuncia sentenza con la quale rimanda le parti davanti al primo giudice – devono riassumere il processo nel termine perentorio di tre mesi (invece di sei) dalla notificazione della sentenza medesima (termine conseguentemente applicabile anche per rinvio ex artt. 354 e 383 c.p.c.).
Diventa di tre mesi (e non più di un anno) dalla pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione, il termine entro cui, ex art.392 c.p.c., deve riassumersi la causa davanti al giudice di rinvio.
Viene altresì dimezzato (da un anno a sei mesi) il termine di decadenza per la proposizione delle impugnazioni di cui all’art.327 c.p.c. (appello, ricorso per cassazione e revocazione per motivi indicati nei numeri 4 e 5 dell’art.395 c.p.c.): il termine de quo decorre dalla pubblicazione – in assenza di notifica della stessa – ed è soggetto alla (secondo le regole generali) sospensione feriale.
LA DOTTRINA
La volontà del legislatore di ridurre i tempi di durata del processo va senz’altro vista in senso positivo; anche perché tende ad evitare le lungaggini, più o meno volute, che il sistema normativo ha tollerato fino ad oggi (FITTIPALDI, Altre modifiche al libro I del codice di rito, da Il Civilista, luglio-agosto 2009, Milano 2009, 45 ss.).
In tale ottica assume rilievo il novellato art.327 c.p.c. che, riducendo a 6 mesi il termine per impugnare una sentenza, limita sensibilmente la frequente proroga della sospensione feriale dei termini ed impedisce l’applicazione di una seconda sospensione feriale quando la prima scadenza prorogata cada di nuovo nel periodo 1 agosto – 15 settembre (SASSANI, A.D.2009: ennesima riforma al salvataggio del rito civile. Quadro sommario delle novità riguardanti il processo di cognizione”, www.judicium.it, 26.05.2009, 3; DEMARCHI, Il nuovo processo civile, Milano 2009, 68).
E’ pur vero che l’iniziativa del legislatore, formalmente positiva, rischia di rimanere di scarso rilevo pratico o comunque di efficacia limitata; ciò non solo per i casi marginali di operatività, ma anche – se non soprattutto – per la scarsa incidenza sulla durata del processo, che dipende in realtà da altre cause (DEMARCHI, Il nuovo processo, cit., 68).
E’ infatti noto che per migliorare e quindi ridurre i tempi della giustizia italiana, accelerare l’attività delle parti è senz’altro utile, ma perché tale accelerazione assuma davvero rilievo è necessario agevolare anche l’attività del giudice, come dimostrano i procedimenti mancanti di una vera trattazione istruttoria (cassazione e, di fatto, appello), in cui l’inaccettabile, lunga durata è provocata dai tempi morti dell’attesa della decisione (SASSANI, A.D.2009, cit., 3).
Altrettanto rilevante – in ordine alla ratio della riforma – è l’aggiunta del secondo comma all’art.153 c.p.c. che, in ossequio ad una scelta equitativa, deroga alla rigidità del principio della improrogabilità dei termini perentori “nemmeno sull’accordo delle parti”. La nuova disposizione statuisce infatti che: “La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile, può chiedere al giudice di essere rimessa in termini.Il Giudice provvede a norma dell’art.294, secondo e terzo comma”.
In questo modo si è superata la vecchia norma che, sebbene da molti considerata “una baluardo contro il disordine ed il possibile favoritismo, mostrava ormai la corda da tempo (complice una certa giurisprudenza che, esaltatasi al verbo del principio di preclusione portato sugli altari dalla riforma del 1990, aveva ritenuto di farne una delle colonne della procedura)” (SASSANI, A.D.2009, cit., 4, il quale vede favorevolmente tale apertura, pur prevedendo che alimenterà discussioni sulla sua concreta applicabilità ai termini di impugnazione).
La modifica dell’art.153 ha quindi determinato l’abrogazione dell’art.184–bis c.p.c., essendo il suo ambito operativo compreso nell’ampia portata della nuova e generale rimessione in termini.
LA GIURISPRUDENZA
Allo stato, resta immutata la giurisprudenza sviluppatasi nel corso degli anni in ordine agli effetti della tempestiva riassunzione del processo sospeso e/o interrotto.
Ne deriva che la riassunzione di una causa interrotta - e non proseguita a norma dell'art. 302 c.p.c. - si attua mediante un procedimento “bifasico”, costituito dal deposito del ricorso per riassunzione nella cancelleria del giudice e quindi – una volta fissata con decreto apposita udienza ad opera del medesimo giudice - con la notifica alla controparte del ricorso e di detto provvedimento. Il termine perentorio di sei (ora tre) mesi previsto dall'art. 305 c.p.c. è riferibile esclusivamente al deposito del ricorso in cancelleria, sicché, eseguito tempestivamente tale adempimento, quel termine non ha più alcuna rilevanza sulla fissazione successiva, ad opera del giudice, di un ulteriore termine per eseguire la notificazione prescritta dall'art. 303 c.p.c.. Conseguentemente, depositato tempestivamente il ricorso in cancelleria e perfezionatasi la riassunzione, in caso di nullità o inesistenza della notificazione dell'atto riassuntivo, il giudice deve ordinare la rinnovazione della notifica entro un termine perentorio - come previsto dall'art. 291 c.p.c. - il cui mancato rispetto determina l'estinzione del giudizio (Cass. 6.09.2007, n. 18713, in Giust. Civ. Mass. 2007, 9).
Il termine perentorio di sei (ora tre) mesi per la riassunzione decorre dalla data in cui la parte stessa abbia avuto effettiva conoscenza, mediante notificazione, comunicazione o dichiarazione, della cessazione della causa di sospensione: spetta quindi alla parte che eccepisce l'avvenuta estinzione del processo per tardiva riassunzione, dimostrare che detta conoscenza sia stata acquisita da chi l’ha riassunta in epoca precedente al semestre (ora trimestre) anteriore alla presentazione dell'istanza per la fissazione dell'udienza di prosecuzione (Cass. 29.12.1999 n.14691, in Giust. Civ. mass. 1999, 2646).
Nell’ipotesi in cui la riassunzione sia effettuata con citazione ad udienza fissa - invece che con comparsa o ricorso al giudice per far fissare l'udienza di prosecuzione - quest'ultima deve possedere tutti i requisiti formali previsti dall'art. 125 disp. att. c.p.c. ed è sufficiente la notifica alla controparte prima della scadenza del termine di sei (ora tre) mesi previsto dall'art. 305 c.p.c., per impedire l'estinzione del processo, potendosi adempiere anche successivamente l'obbligo di deposito dell'atto (Cass. 28.12.2007 n.27183, in Giust. Civ.. 2008, 4, 888).
La riassunzione della causa deve avvenire nel rispetto delle disposizioni dell'art. 170 c.p.c. e dell'art. 125 delle relative norme di attuazione, e quindi mediante notifica dell'atto riassuntivo al procuratore costituito e non già alla parte direttamente e personalmente; nel caso di decesso di una parte, la notificazione agevolata agli eredi di quest’ultima - prevista dall'art. 303, comma 2, c.p.c. - trova fondamento nella presunzione legale che gli eredi, nel periodo di un anno dalla morte, facciano capo al domicilio del de cuius per tutte le questioni o i rapporti inerenti la successione.
In presenza di pluralità di cause scindibili proposte in un unico processo, l'evento interruttivo che riguardi una delle parti di una singola causa vale per l'intero procedimento: qualora la riassunzione non sia eseguita nei confronti di una delle parti, peraltro, sono improcedibili le domande proposte da quest'ultima nei confronti delle altre parti (Trib. Napoli 26.05.2008, in Giur. Merito 2008, 11, 2852). Ove invece l’interruzione del processo riguardi più cause riunite per ragioni di connessione, la parte non ha l'onere di riassumere tutte le cause riunite, anche se tra queste sussista un rapporto di pregiudizialità, ben potendo limitare la riattivazione del processo solamente alla causa cui è interessata, lasciando che le altre si estinguano (Cass. 26.04.2005 n.8670, in Giust. Civ. Mass. 2005, 5).
Con l'atto di riassunzione, infine, può essere proposta una domanda nuova in aggiunta a quella originaria, quando essa contenga tutti gli elementi prescritti dall'art. 163 c.p.c., posto che la funzione dell'atto riassuntivo non impedisce che esso cumuli in sé anche quella introduttiva di un nuovo giudizio: nel caso in cui contenga una domanda nuova, infatti, l'atto di riassunzione vale, a questo limitato effetto, come atto introduttivo "ex novo". (C. app. Reggio Calabria 19.07.2004, in Iure praesentia 2004, 2, 50).
Istanza di riassunzione, requisiti ed effetti conseguenti alla tempestività della sua notifica
L’atto di riassunzione della causa deve avvenire tramite una comparsa contenente tutte le prescrizioni di cui all’art.125 disp. att. trans. cd. proc. civ. e, quindi, in particolare:
1) l'indicazione del giudice davanti al quale si deve comparire; 2) il nome delle parti e dei loro difensori con procura; 3) il richiamo dell'atto introduttivo del giudizio; 4) l'indicazione dell'udienza in cui le parti debbono comparire, osservati i termini stabiliti dall'articolo 163-bis del codice; 5) l'invito a costituirsi nei termini stabiliti dall'articolo 166 del codice; 6) l'indicazione del provvedimento del giudice in base al quale è fatta la riassunzione, e, nel caso dell'articolo 307 primo comma del codice, l'indicazione della data della notificazione della citazione non seguita dalla costituzione delle parti, ovvero del provvedimento che ha ordinato la cancellazione della causa dal ruolo.
Nei casi previsti dagli artt.299-301 c.p.c. (morte o perdita della capacità prima della costituzione, morte o perdita della capacità della parte costituita o del contumace, morte od impedimento del procuratore), la costituzione per proseguire ex art.305 c.p.c. il processo può avvenire all’udienza o a norma dell’arrt.166 c.p.c.. Se non è fissata alcuna udienza, la parte può chiedere con ricorso al giudice istruttore o, in mancanza, al presidente del Tribunale, la fissazione dell'udienza.
Il ricorso ed il decreto sono notificati alle altre parti a cura dell'istante (art.302 c.p.c.).
Ove non avvenisse la prosecuzione del processo a norma dell'art.302 c.p.c., l'altra parte può chiedere la fissazione dell'udienza, notificando il ricorso e il decreto a coloro che debbono costituirsi per proseguirlo. Nell’ipotesi in cui si verificasse la morte della parte, il ricorso deve contenere gli estremi della domanda, e la notificazione entro un anno dalla morte può essere fatta collettivamente e impersonalmente agli eredi, nell'ultimo domicilio del defunto. Se vi sono altre parti in causa, il decreto è notificato anche ad esse (art.303 c.p.c. che, all’ultimo comma, dispone che se la parte che ha ricevuto la notificazione non comparisce all'udienza fissata, si procede in sua contumacia).
Il processo deve essere proseguito o riassunto nel termine di tre mesi dall’interruzione, altrimenti si estingue.
Se dopo la notificazione della citazione nessuna delle parti si sia costituita entro il termine stabilito dall'articolo 166 c.p.c., ovvero, se, dopo la costituzione delle stesse, il giudice, nei casi previsti dalla legge, abbia ordinata la cancellazione della causa dal ruolo, il processo, salvo il disposto del secondo comma dell'articolo 181 c.p.c. e dell'articolo 290 c.p.c., deve essere riassunto davanti allo stesso giudice nel termine perentorio di tre mesi, che decorre rispettivamente dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto a norma dell'articolo 166, o dalla data del provvedimento di cancellazione; altrimenti il processo si estingue (art.307 c.p.c.).
Il processo, una volta così riassunto, si estingue se nessuna delle parti si sia costituita, ovvero se nei casi previsti dalla legge il giudice ordini la cancellazione della causa dal ruolo.
Il processo si estingue altresì - salvo diverse disposizioni di legge - qualora le parti alle quali spetta di rinnovare la citazione, o di proseguire, riassumere o integrare il giudizio, non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge, o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo.
LA DOTTRINA
Prima della novella legislativa l’estinzione del processo per inattività delle parti doveva essere eccepita dalla parte “prima di ogni sua difesa”; ora il riformato art.307 c.p.c. dispone che l’estinzione opera di diritto ed è dichiarata, anche d’ufficio, con ordinanza del giudice istruttore ovvero con sentenza del Collegio. In questo modo le parti non potranno più contare su “sviste” avversarie, ma rimarranno sempre esposte al rischio di un rilievo officioso dell’estinzione del giudizio.
Il legislatore, sempre nell’ottica di accelerare i tempi del giudizio, ha quindi accresciuto i poteri processuali del giudice con un duplice effetto positivo: impedire il rischio di prassi lassiste e dare un beneficio – nel caso in cui le parti non abbiano interesse a coltivare la causa – alle cancellerie del Tribunale, potendo le stesse “svuotare rapidamente gli armadi dalle cause in limbica attesa di un formale atto di rinuncia che, di solito, non arriva mai” (DEMARCHI, Il nuovo, cit., 70; ma v. anche FITTIPALDI, Altre modifiche, cit., 46).
Non viene però chiarito l’ambito del potere d’ufficio del giudice: se è infatti vero che fino a quando la causa è quiescente non vi sono limiti al suo rilievo ed al conseguente provvedimento di estinzione, qualche problema pare sorgere nell’ipotesi di riassunzione fuori termine, ovvero quando il giudice non abbia rilevato subito la tardività ed il processo sia proseguito.
Ci si è quindi domandato se il giudice possa dichiarare l’estinzione nel corso del processo oppure con la sentenza che definisce il giudizio.
Autorevole dottrina sostiene che l’assenza di un termine finale per il rilievo d’ufficio e l’avvenuta cancellazione della precisazione che “l’estinzione deve essere eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra sua difesa”, sembra “lasciare il giudice libero di pronunciare l’estinzione in qualunque momento, anche se tale interpretazione (pare) porsi in conflitto con le evidenti finalità della riforma (di accelerazione del processo e di realizzazione di una maggiore economia processuale)” (DEMARCHI, Il nuovo, cit., 70-71).
LA GIURISPRUDENZA
L'atto di riassunzione del processo interrotto – a prescindere che sia redatto sotto forma comparsa, ricorso o atto di citazione - deve sempre contenere gli elementi soggettivi ed oggettivi necessari per riattivare il rapporto processuale quiescente (Cass. 24.02.2004 n.3623, in Giust. Civ. Mass. 2004, 2): a tal riguardo costituiscono suoi elementi essenziali il riferimento esplicito alla precedente fase processuale e la manifesta volontà di riattivare il giudizio attraverso il ricongiungimento delle due fasi in un unico processo (Cass. 14.03.2001 n.3695, in Giust. Civ. Mass. 2001, 480).
La mancata notificazione, nel termine ordinatorio stabilito dal giudice, dell'istanza di riassunzione di un processo interrotto, unita all'impossibilità di richiedere un nuovo termine per la notificazione del ricorso a causa della scadenza del termine perentorio di sei (ora tre) mesi dalla conoscenza legale della causa dell'interruzione, fonda l'eccezione di estinzione del processo (Cassazione civile , sez. I, 01 settembre 1997, n. 8314, in Foro it. 1998, I,2535).
E' nullo l'atto di riassunzione che, sebbene eseguito dopo oltre un anno dalla morte della parte, non rechi l'indicazione personale degli eredi di questa, ai quali l'atto stesso è diretto, ma ne faccia menzione collettiva ed impersonale. La nullità, derivante da violazione del combinato disposto degli art. 125, disp. att., c.p.c., e 163, c.p.c. e degli art. 139, e ss., c.p.c., è sanabile solo per effetto della costituzione in giudizio di tutti gli eredi.
Parimenti, l'omessa riassunzione nei confronti di una delle parti del giudizio determina la nullità di tutti gli atti successivi alla mancata riassunzione stessa, compresa la sentenza, essendo applicabile, ai vizi dell'atto di riassunzione, la stessa disciplina dei vizi della notificazione degli atti di introduzione del giudizio e di integrazione del contraddittorio (a meno che – sanando così il vizio - la parte interessata, equiparabile ad un litisconsorte pretermesso, accetti la causa, promovendo l'appello nello stato e nel grado in cui essa viene a trovarsi) (Corte appello Firenze, sez. I, 17 febbraio 2004, in Giurisprudenza locale - Firenze 2004).
LA GIURISPRUDENZA RICHIAMATA
Cassazione civile , sez. I, 06 settembre 2007, n. 18713
La riassunzione di una causa interrotta - e non proseguita a norma dell'art. 302 c.p.c. - si attua mediante un procedimento bifasico, dapprima con il deposito del ricorso per riassunzione nella cancelleria del giudice e, quindi, previa fissazione con decreto di apposita udienza ad opera del medesimo giudice, con la notifica alla controparte del ricorso e del detto provvedimento. Il termine perentorio di sei (ora tre) mesi previsto dall'art. 305 c.p.c. è riferibile solo al deposito del ricorso in cancelleria, sicché, eseguito tempestivamente tale adempimento, quel termine non gioca più alcun ruolo sulla fissazione successiva, ad opera del giudice, di un ulteriore termine per eseguire la notificazione prescritta dall'art. 303 c.p.c. Ne consegue che, depositato tempestivamente il ricorso in cancelleria e così perfezionatasi la riassunzione, in caso di nullità o inesistenza della notificazione dell'atto riassuntivo, il giudice deve ordinare la rinnovazione della notifica entro un termine perentorio - come previsto dall'art. 291 c.p.c. - il cui mancato rispetto determina l'estinzione del giudizio (Mass. Giust. Civ. 2007, 9).
Cassazione civile , sez. lav., 29 dicembre 1999, n. 14691
L'art. 305 c.p.c. - a seguito delle sentenze n. 139 del 1967, n. 178 del 1970, n. 159 del 1971 e n. 36 del 1976 Corte cost. - deve essere interpretato nel senso che il termine per la riassunzione o la prosecuzione del processo, interrotto per morte o impedimento del procuratore, decorre non dal giorno in cui si è verificato l'evento interruttivo, bensì da quello in cui lo stesso evento sia venuto a conoscenza della parte, interessata alla riassunzione, in forma legale, risultante cioè da dichiarazione, notificazione o certificazione, non essendo sufficiente la conoscenza aliunde acquisita (Giust. civ. Mass. 1999, 2646).
Cassazione civile , sez. un., 28 dicembre 2007, n. 27183
In tema di interruzione del processo, qualora la riassunzione sia effettuata, secondo il combinato disposto degli art. 303 e 305 c.p.c., con il deposito del ricorso presso la cancelleria del giudice precedentemente adito entro il termine prescritto, tale tempestivo deposito è sufficiente per impedire l'estinzione del processo. Tuttavia la parte può provvedere alla riassunzione, anziché con comparsa o ricorso al giudice per la fissazione dell'udienza di prosecuzione, con citazione ad udienza fissa, purché la stessa possieda tutti i requisiti formali previsti dall'art. 125 disp. att. c.p.c. indispensabili per il raggiungimento dello scopo previsto nell'art. 297 c.p.c. - consistente nel compimento di un atto di parte prima che sia trascorso il termine perentorio entro il quale va promossa la prosecuzione del giudizio - ed in tal caso è sufficiente la notifica alla controparte prima della scadenza del termine medesimo per impedire l'estinzione del processo, restando al di fuori l'obbligo di deposito dell'atto, che può avvenire solo dopo il compimento effettivo della notificazione, a cura dell'ufficiale giudiziario, e che non ha alcuna funzione definitoria circa la posizione processuale della parte o la sua attività difensiva, essendo previsto dall'art. 303, comma 2, c.p.c., che il riassumente indichi (nell'atto di riassunzione) gli estremi della domanda (Giust. civ. Mass. 2007, 12).
Tribunale Napoli, sez. VII, 26 maggio 2008
In tema di pluralità di cause scindibili proposte in un unico processo, l'evento interruttivo che riguardi una delle parti di una singola causa, opera per l'intero procedimento: peraltro, qualora la riassunzione non sia eseguita nei confronti di una delle parti, sono improcedibili le domande proposte da quest'ultima nei confronti delle altre parti (Giur. merito 2008, 11 2852).
Cassazione civile , sez. II, 26 aprile 2005, n. 8670
In caso di interruzione di processo concernente più cause riunite per ragioni di connessione, la parte non ha l'onere di riassumere tutte le cause riunite, anche se tra queste sussista un rapporto di pregiudizialità, ben potendo limitare la riattivazione del processo solamente alla causa cui è interessata, lasciando che le altre si estinguano. (Giust. civ. Mass. 2005, 5 ).
Corte appello Reggio Calabria, 19 luglio 2004
Con l'atto di riassunzione può essere proposta una domanda nuova in aggiunta a quella originaria, quando esso contenga tutti gli elementi prescritti dall'art. 163 c.p.c., posto che la funzione dell'atto riassuntivo non è di ostacolo a che esso cumuli in sè anche quella introduttiva di un nuovo giudizio: nel caso in cui contenga una domanda nuova, l'atto di riassunzione vale, infatti, a questo limitato effetto, come atto introduttivo "ex novo" (In iure praesentia 2004, 2, 50).
Cassazione civile , sez. I, 24 febbraio 2004, n. 3623
L'atto di riassunzione del processo interrotto, pur potendo, per il principio di equivalenza delle forme, consistere in una comparsa o ricorso o in un atto di citazione, deve contenere, in ogni caso, gli elementi soggettivi ed oggettivi necessari per riattivare il rapporto processuale quiescente (Nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto inidonea allo scopo l'istanza, notificata alla controparte unitamente al conseguente provvedimento di fissazione della nuova udienza, con cui una parte aveva richiesto al presidente del tribunale la sostituzione del giudice istruttore trasferito, atteso che detta istanza non conteneva, in particolare, gli elementi richiesti dall'art. 125 disp. att. c.p.c., n. 5 e 6, cioè l'invito alla controparte a costituirsi nei termini stabiliti dall'art. 166 c.p.c. e l'indicazione del provvedimento del giudice, ovvero dell'evento a causa del quale era fatta la riassunzione). (Giust. civ. Mass. 2004, 2).
Cassazione civile , sez. lav., 14 marzo 2001, n. 3695
Costituiscono elementi essenziali dell'atto di riassunzione il riferimento esplicito alla precedente fase processuale e la manifesta volontà di riattivare il giudizio attraverso il ricongiungimento delle due fasi in un unico processo; la mancanza di uno o più dei requisiti di cui all'art. 125 c.p.c. non determina la nullità dell'atto, non comminata da alcuna disposizione di legge, salvo che non determini il mancato raggiungimento dello scopo dell'atto di riassunzione. (Nella specie il tribunale aveva dichiarato nulla la riassunzione, contenente l'indicazione dell'atto introduttivo del giudizio e del provvedimento in forza del quale veniva eseguita, per omessa riproduzione delle domande e dell'esposizione dei fatti di causa) (Giust. civ. Mass. 2001, 480).
Cassazione civile , sez. lav., 14 marzo 2001, n. 3695
Costituiscono elementi essenziali dell'atto di riassunzione il riferimento esplicito alla precedente fase processuale e la manifesta volontà di riattivare il giudizio attraverso il ricongiungimento delle due fasi in un unico processo; la mancanza di uno o più dei requisiti di cui all'art. 125 c.p.c. non determina la nullità dell'atto, non comminata da alcuna disposizione di legge, salvo che non determini il mancato raggiungimento dello scopo dell'atto di riassunzione (Giust. civ. Mass. 2001, 480).
Cassazione civile , sez. I, 01 settembre 1997, n. 8314
La mancata notificazione, nel termine ordinatorio stabilito dal giudice, dell'istanza di riassunzione di un processo interrotto, unita all'impossibilità di richiedere un nuovo termine per la notificazione del ricorso a causa della scadenza del termine perentorio di sei mesi dalla conoscenza legale della causa dell'interruzione, fonda l'eccezione di estinzione del processo (Foro it. 1998, I,2535).
Corte appello Firenze, sez. I, 17 febbraio 2004
L'omessa riassunzione nei confronti di una delle parti del giudizio determina la nullità di tutti gli atti successivi alla mancata riassunzione stessa, compresa la sentenza, essendo applicabile, ai vizi dell'atto di riassunzione, la stessa disciplina dei vizi della notificazione degli atti di introduzione del giudizio e di integrazione del contraddittorio. Tale nullità potrebbe, però, essere sanata ove la parte interessata, la cui posizione processuale è analoga a quella di un litisconsorte pretermesso, accetti la causa, promovendo l'appello, nello stato e nel grado in cui essa viene, così, a trovarsi; non, invece, se essa, al contrario, si proponga, con l'impugnazione, di far valere tale anomalia per sostenere, l'inefficacia, nei suoi confronti, della sentenza stessa (Giurisprudenza locale - Firenze 2004).
LA DOTTRINA
Per approfondimenti dottrinari:
- FITTIPALDI, Altre modifiche al libro I del codice di rito, da Il Civilista, luglio-agosto 2009, Milano 2009;
- SASSANI, A.D.2009: ennesima riforma al salvataggio del rito civile. Quadro sommario delle novità riguardanti il processo di cognizione”, www.judicium.it, 26.05.2009.
- DEMARCHI, Il nuovo processo civile, Milano 2009.
- ANCESCHI-GUSBERTI. ”La responsabilità dell’avvocato per omessa riassunzione della causa”, in Resp. civ. e prev. 2008, 10 (v. conclusioni).
LE CONCLUSIONI
Non vi è dubbio che ogni novità legislativa volta rendere più breve la durata del processo vada vista con favore: la sensibile riduzione dei termine per riassumere un giudizio interrotto o sospeso obbliga le parti ad attivarsi tempestivamente, scoraggiando tattiche (diffuse) di carattere dilatorio.
In questo senso, anche la modifica dell’art.327 c.p.c. - che incide sulla prassi della “duplicazione” della sospensione feriale dei termini – costituisce un segnale importante.
Il problema è semmai un altro: la riforma rischia di produrre effetti poco significativi se il legislatore non incide su quegli ulteriori meccanismi rispetto ai quali le parti, solerti o meno che siano, non possono fare nulla, e precisamente quelli giudiziari.
Se non si rendono più tempestivi ed efficaci i tempi della giustizia, ingiustificabilmente lunghi (con rinvii fissati, tra un’udienza ed un’altra, superiori ad un anno) e non si pongono correttivi al suo malfunzionamento (spesso le cause sono decise da un giudice dopo che la trattazione è stata curata da un altro e l’istruttoria da un altro ancora) anche aumentando il numero di giudici “ordinari”, ben difficilmente il processo ne riceverà, in termini di durata, un effettivo miglioramento.
E’ pertanto auspicabile un nuovo intervento che affronti, possibilmente, anche questioni di cui si discute da tempo o che lo potranno essere nel prossimo futuro.
Sotto quest’ultimo aspetto l’abrogazione dell’rt.184-bis c.p.c. “sostituito” – se così si può dire – dall’art.153 c.p.c., apre scenari interessanti: in che termini si applica, ora, il principio di preclusione? Che portata viene esso ad assumere nelle impugnazioni? Non mancheranno certo dibattiti (come giustamente rilevato da SASSANI, A.D. 2009, cit., 4).
Relativamente al primo aspetto la giurisprudenza si è “sbizzarrita” nell’inquadrare la responsabilità dell’avvocato che ometta di riassumere la causa, anche in ordine alle conseguenze ad esso imputabili.
Si è sul punto precisato che il contratto che lega l’avvocato al cliente impone al primo specifici obblighi, la cui violazione determina “responsabilità contrattuali”: l’avvocato deve improntare la sua condotta alla professionalità ed alla correttezza, adempiendo con diligenza e prudenza al suo compito, anche in termini di comunicazione di informazioni costanti ed adeguate al cliente.
Tra le varie tesi giurisprudenziali che si sono diffuse (e bene descritte da ANCESCHI-GUSBERTI in ”La responsabilità dell’avvocato per omessa riassunzione della causa”, in Resp. civ. e prev. 2008, 10, che, partendo dal commento di Cass. 15.04.2008, n.9868, analizza anche il tema della quantificazione del danno), pare prevalere quella che parte da un presupposto: la riassunzione della causa non integra un’attività distinta dalla causa originaria, sospesa, bensì solo un atto prodromico al suo proseguimento una volta che sia terminata la ragione che ha originato la sua sospensione. L’attività riassuntiva rientrerebbe pertanto nei doveri professionali scaturenti dal mandato professionale rilasciato dal cliente, senza che si renda necessario, per il legale, ottenere una nuova delega per la prosecuzione della controversia.
Ecco allora che, al fine di far venir meno l’obbligo dell’avvocato di riassumere la causa – e quindi la sua responsabilità - non è sufficiente la semplice inerzia del cliente, ma occorre che quest’ultimo rinunci espressamente, anche verbalmente o per facta concludentia.
E’ un argomento che, soprattutto, per gli avvocati, riveste notevole interesse e sul quale un chiarimento “normativo” sarebbe sicuramente opportuno.
LA PRATICA
Il caso
Con contratto preliminare di compravendita il X prometteva di vendere a Y un appartamento entro una certa data. Al momento stabilito per la stipula dell’atto definitivo di vendita X rimaneva inadempiente e Y gli notificava un atto di citazione volta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre; tale atto veniva peraltro trascritto presso la conservatoria dei registri immobiliari.
La causa non veniva iscritta a ruolo nei dieci giorni successivi alla notifica della citazione in quanto le parti, pur non avendo pattuito nulla di scritto, erano addivenute ad un accordo stragiudiziale.
Dopo molti anni dalla morte di X e di Y i figli di X decidono di vendere l’appartamento della madre, ma il Notaio incaricato dell’atto segnala loro che dai registri fondiari emerge ancora la trascrizione della domanda giudiziale, mai iscritta a ruolo.
Contattati gli eredi di Y, a mente degli accordi verbali dei rispettivi danti causa, entrambe le parti decidono di rivolgersi ad un legale per risolvere la questione.
Il legale incaricato deve quindi predisporre un atto ex art.303 c.p.c. per riassumere la causa, mai iscritta a ruolo, ed ottenere la dichiarazione di estinzione del processo: il relativo provvedimento sarà poi annotato a margine della trascrizione della domanda giudiziale in modo da trasferire finalmente l’immobile appartenuto a X.
Fac simile comparsa di riassunzione
TRIBUNALE DI ……..
COMPARSA DI RIASSUNZIONE
La Sig.ra Z, nata a «…» il giorno «…», residente a «…», Via «…», C.F.: «…», elettivamente domiciliata in «…», Viale «…», nello studio dell’Avv. «…», che la rappresenta e la difende per mandato in calce al presente atto, nella sua qualità di unica erede della defunta Sig.ra X, nata a «…» il «…», e deceduta in «…», il giorno «…», in vita residente in «…», Corso «…», C.F.: «…», espone quanto segue.
Con atto in data «…», ai rogiti del Notar «…» al n. «…» di rep. è stato pubblicato il testamento olografo della defunta Signora X, la quale aveva nominato sua erede universale la comparente.
Da una verifica dell’asse ereditario è tuttavia emersa la trascrizione di una domanda giudiziale volta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre, promossa da Y, contro la de cuius. Si è difatti rinvenuto l’atto di citazione notificato alla Sig.ra X il «…» con il quale si domandava il trasferimento dell’immobile sito in «…»
Di seguito si riproduce l’atto di citazione notificato alla de cuius «…».
Sono oramai decorsi diversi anni dalla data dell’udienza di prima comparizione, fissata per il giorno «…», senza che nessuna delle parti abbia provveduto alla iscrizione a ruolo della causa, né alla sua riassunzione nei termini di cui all’art. 307 c.p.c..
La comparente ha interesse affinché sia dichiarata l’estinzione del procedimento de quo, con la consequenziale autorizzazione alla cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale.
Tutto ciò premesso, la Sig.ra «…», come sopra rappresentata e difesa
RIASSUME,
ai soli fini della dichiarazione di estinzione, il processo sopra meglio indicato e invita i Sigg.ri:
- «…»
- «…»
nella loro qualità di eredi universali del defunto Sig. Y, nato a «…», in vita residente «…», deceduto a «…» il «…», come da atto notorio ai rogiti del Notar «…», in data «…» al n. «…», a comparire all’udienza del «…» ore di rito, che si terrà nei locali del Tribunale di «…», ed a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza indicata dinanzi al giudice designato ai sensi dell’art.168 bis c.p.c., con l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui all’art.167 e dell’art. 38 c.p.c e che in caso di mancata costituzione si procederà in sua contumacia, per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni:
« Voglia codesto Ill.mo Tribunale dichiarare estinta la causa promossa dal Sig. Y contro la Sig.ra X con atto di citazione notificato in data «…», mai iscritta a ruolo e meglio identificata in narrativa, ordinando inoltre la cancellazione della domanda giudiziale trascritta presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Lucca in data «…» al n. «…» di reg. gen. e al n. «…» di reg. part. »
Si producono i documenti sopra enumerati.
«…», addì «…»
Con ossequio.
- Avv. «…» -
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