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Misure coercitive

Le misure coercitive e le controversie di famiglia.

a cura di Sara Maffei*

*Dottoranda di ricerca in Diritto Processuale Civile presso l’Università degli Studi La Bicocca di Milano.

la QUESTIONE

Quali sono i principali aspetti critici delle controversie di famiglia alla luce delle problematiche derivanti dall’attuale disciplina?In un ambito in cui la prestazione obbligata non è surrogabile con un’attività giuridica dell’ufficio esecutivo come si può coartare l’attività dell’obbligato e quindi costringerlo con misure coercitive?

l’APPROFONDIMENTO

La tutela offerta dall’ordinamento nelle controversie di famiglia.

Dal punto di vista del processualista le controversie di famiglia sono destinatarie di un procedimento speciale in virtù del dettato riscontrabile nel diritto sostanziale e che riflette le particolarità delle situazioni tutelate. Infatti, quello del diritto di famiglia è un ambito nel quale entrano in gioco interessi patrimoniali, si pensi all’assegno divorzile o al credito al mantenimento, interessi personali, come la potestà e l’affidamento ed interessi misti quale ad esempio l’assegnazione della casa. In realtà già la scelta di utilizzare il singolare e di parlare di un procedimento speciale potrebbe rappresentare una presa di posizione. In questo senso è ancora aperto il dibattito tra coloro i quali ritengono che si possa parlare di una uniforme regolamentazione del rito e quindi di procedimento di separazione e divorzio e gli autori che optano per un diverso inquadramento della problematica distinguendo i due procedimenti (tra questi Graziosi, I processi di separazione e divorzio, G.Giappichelli Editore, 2011). Quale che sia la situazione da tutelare tra quelle sopra accennate si riscontrano nelle controversie di famiglia alcune caratteristiche da cui questa tutela non può prescindere. Brevemente si può dire che alla luce degli interessi e dei valori toccati dal diritto di famiglia si riscontra sempre una necessità di tutela urgente, adattabile alla mutevolezza dei fatti con lo scorrere del tempo e effettiva (il che conduce la riflessione alla tutela esecutiva, fulcro di questo scritto). Per rispondere all’esigenza dell’urgenza di tutela l’ordinamento ha optato per i provvedimenti presidenziali adottati subito nella fase a cognizione sommaria necessaria, possibili solo alla luce della scelta del legislatore di conferire un carattere bifasico del procedimento. I poteri del presidente di tribunale nella prima fase e dunque nella adozione di questi provvedimenti sono amplissimi, tanto da poter anticipare in toto gli effetti della sentenza finale. Per le implicazioni sistematiche che comporta, suscita grande interesse l’art. 189 delle disposizioni d’attuazione del codice di rito alla luce del quale il provvedimento presidenziale conserva la sua efficacia anche dopo l’estinzione del processo. Da ciò si ricava un principio di autonomia di questo provvedimento presidenziale che non dipende da un successivo giudizio di merito e che resta a regolamentare salvo che non sia revocato o modificato in un successivo procedimento. Si delinea così l’immagine di un provvedimento dotato di autonomia e capace di conservare i suoi effetti seppure non idoneo alla stabilità del giudicato e che apre una buona strada. La risposta dell’ordinamento a quell’esigenza di urgenza e di anticipazione degli effetti della sentenza finale, cioè la prima fase sommaria e i provvedimenti presidenziali consentono alcune riflessioni circa la natura di questa prima fase e la tutela cui si può attingere in caso di famiglia non fondata sul matrimonio e all’ipotesi della famiglia legittima che sia però al di fuori della crisi. Partendo dal primo dei due problemi le teorie principali che si sono sviluppate in relazione alla natura della fase presidenziale sono tre: quella cautelare, quella volontaria e quella anticipatoria. Dando seguito alla teoria secondo la quale l’ordinanza presidenziale è un provvedimento cautelare si deve ritenere, stando alla lettera dell’art. 669 quaterdecies c.p.c., che il processo cautelare uniforme si applichi anche all’ordinanza presidenziale, stante che si adopera per tutti i provvedimenti cautelari dell’ordinamento. La teoria secondo la quale la fase presidenziale ha natura prevalentemente volontaria faceva perno sull’art. 189 delle disposizioni del codice di rito sopra citato, ovvero sull’ultrattività dell’ordinanza presidenziale pur senza gli effetti del giudicato. Questo argomento è stato in parte svuotato di contenuti dall’introduzione dell’art. 669 octies c.p.c. che ha stabilito che tutti i provvedimenti cautelari con natura anticipatoria non perdono effetto. Non mi sento di avallare in toto la teoria della natura cautelare anche guardando all’esperienza che si è avuta, prima ad opera della Corte Costituzionale e poi del legislatore, in materia di processo possessorio. In questo ambito, infatti, l’art. 703 c.p.c. richiama oggi in modo espresso e maturo il processo cautelare uniforme. In questa sede vi sono le due fasi, rispettivamente quella sommaria e quella eventuale a cognizione piena, ma i provvedimenti interinali non sono basati su un periculum. A mio avviso la natura della prima fase è quella di un processo a cognizione sommaria di natura anticipatoria non cautelare dato che il periculum per l’appunto c’è sempre e non va dimostrato, è in re ipsa. Questo periculum immanente da ritardo di tutela non fa pensare al cautelare ma a misure anticipatorie ove la cognizione su gravità ed irreparabilità del danno diviene irrilevante proprio alla luce di questa immanenza. Anzi a rafforzare la mia posizione si erge anche l’art.624 c.p.c. che a seguito della Legge 14 maggio 2005, n.80 è una breccia per l’applicazione del cautelare uniforme ad ipotesi simili a quella delineata dalla norma oggetto di riflessione (sul punto tornerò in seguito). Analizzando ora la mancanza di una tutela dello stesso tipo per l’ipotesi della famiglia non fondata sul matrimonio e al di fuori dei casi di crisi, dato che non si può neppure concepire una lacuna di tutela ed una tale differenza di trattamento non rimane che accogliere una lettura estensiva dell’art. 148 c.p.c. il quale permette all’avente diritto di ottenere una misura patrimoniale che consente di addivenire ad una cessione coatta pro futuro come pagamento del credito che l’obbligato vanta nei confronti di un terzo. Questa lettura dell’art. 148 c.p.c. come un similmonitorio è stata portata avanti dalla giurisprudenza anche con riferimento alla necessità di accertare il contributo di mantenimento. Il problema rimane però, perché questo strumento è utile ed efficace solo con riferimento ai diritti di natura patrimoniale. L’ordinamento ha dovuto anche far fronte all’esigenza di adattabilità della misura alla mutevolezza dei fatti nel tempo. Il problema in questo caso si è avuto a causa della soluzione irrazionale del legislatore che ha previsto ancora una tutela non omogenea. Infatti, nel caso di modifica o revoca dei provvedimenti presidenziali l’art.709 c.p.c. e l’art. 4 Legge 1 dicembre 1970, n.898, che non richiedono il profilo della sopravvenienza, danno una tutela di tipo sommario-anticipatorio. Diversamente il legislatore ha optato per una tutela di natura camerale ma sommaria per quanto riguarda le sentenze di merito da modificare o revocare solo però sulla base di sopravvenienze ex art. 710 c.p.c e in base alla Legge … 1970, n.898. Purtroppo la risposta dell’ordinamento si mantiene nel segno dell’incoerenza anche in relazione alla tutela di merito successiva, prevedendo per la crisi della famiglia legittima il processo a cognizione piena di rito ordinario per i procedimenti di separazione e divorzio e optando invece per il rito camerale per tutte le altre ipotesi della famiglia legittima e sempre e comunque per la famiglia di fatto. Nel primo caso vi è perfetta continuità tra la fase sommaria e quella a cognizione piena di rito ordinario. Dal momento in cui si apre l’udienza di fronte al giudice istruttore il processo segue le regole del rito ordinario. Già l’art. 708, 3 comma e l’art. 709 c.p.c. stabiliscono che i provvedimenti temporanei ed urgenti si occupano di nominare un giudice istruttore e i termini per comparire davanti a questo. Sempre in relazione al passaggio alla tutela di merito non si può non fare almeno un cenno al problema dei rapporti tra l’ordinanza del presidente del tribunale dei processi di divorzio e i pregressi provvedimenti contenuti nel verbale o nella sentenza di separazione, in particolare circa la loro modifica ad opera dell’ordinanza del presidente. Le prassi sono abbastanza permissive seppure il dato normativo sia contrario: non è concepibile che un provvedimento emesso a cognizione sommaria, quale l’ordinanza presidenziale, modifichi un provvedimento emesso a cognizione piena e passato in giudicato. Inoltre non è eludibile l’art. 710 c.p.c. circa la modifica delle condizioni dei separati per cui si deve applicare il rito camerale ed è necessario il presupposto della sopravvenienza di nuove circostanze. Quanto alla seconda ipotesi, relativa a tutte le diverse circostanze che possono interessare la famiglia legittima e quelle originate dalla famiglia di fatto, si ha l’uso del rito camerale. Ciò è ancora più grave e illogico dato che, con riferimento a questo rito, non si è avuta quell’opera di ingegneria giuridica che ha invece caratterizzato altre esperienze del nostro processo finalizzata ad un adattamento del rito al sistema di garanzie del giusto processo quali il diritto alla difesa, il contraddittorio, l’obbligo di motivazione e il controllo di legittimità. Ancora la Cassazione civ.,Sez.Unite, 3 aprile 2007, n. 8362 ha continuato a ritenere di competenza e rito del tribunale dei minorenni ogni controversia per l’affidamento dei figli naturali e le domande di mantenimento connesse. Ciò detto trovo impensabile alla luce della nostra carta costituzionale il fatto che per questi soggetti non vi sia la garanzia della bifasicità del procedimento. Ciò nonostante per i figli naturali è previsto il procedimento in camera di consiglio, il che comporta una disparità di trattamento a livello normativo tale da rendere auspicabile, a mio avviso, un intervento della Corte Costituzionale. Spero di aver evidenziato con la mia analisi come il terreno delle controversie di famiglia sia denso di problemi alla luce dell’attuale disciplina e fertile di soluzioni se riformato nel segno della razionalità del sistema, della riunione di giurisdizione e competenza e informato al principio di uguaglianza.

La tutela esecutiva: il problema e le risposte.

In apertura “la Questione” evidenzia l’aspetto dell’infungibilità della prestazione obbligata in un ambito in cui sono coinvolti diritti che hanno la necessità di una tutela in forma specifica e mai per equivalente, da cui discende la necessità di adeguate misure coercitive. Questo in ragione del fatto che trattandosi di situazioni che devono essere adempiute proprio dall’obbligato costui deve essere coartato nella sua attività al fine che adempia. L’esigenza di una tutela che sia improntata all’effettività è presente in tutte le materie, ma nel settore che qui ci interessa, il diritto di famiglia, è assolutamente centrale e costante. Alla luce di questo e delle situazioni infungibili che entrano in gioco le forme del libro III del codice di rito non sono mai soddisfacenti e infatti in questa materia si assiste frequentemente a deroghe rispetto al processo esecutivo. Vi sono situazioni che necessitano di una urgenza inderogabile di tutela e di mezzi che reagiscano all’infungibilità basti pensare al diritto al mantenimento, agli obblighi a questo sottesi e all’obbligo di consegna del minore. I limiti degli strumenti esecutivi tradizionali è ancora più forte guardando al carattere permanente delle situazioni, siano queste personali od economiche, tali da avere una continua proiezione nel tempo. Infatti, l’art. 474 c.p.c. vuole che il diritto sia già maturato o scaduto cioè esigibile dunque sarebbe necessario introdurre un processo esecutivo autonomo per ogni prestazione mancata con conseguente irrazionalità per l’ambito oggetto di analisi. Un piano particolarmente interessante e degno di considerazione è la tutela cautelare in particolare nella sua applicazione alla materia familiare. Attualmente il nostro sistema prevede agli artt. 146, 148 e 156 c.c. delle misure coercitive per assicurare i diritti al mantenimento, l’obbligo di consegna del minore a tutela della potestà e dell’affidamento. Con queste vi è poi quanto previsto prima dall’art.6 della Legge 1 dicembre 1970, n.898 oggi dall’art. 709 ter c.p.c. introdotto dalla Legge……2006, n.54 che in relazione alla tutela esecutiva dell’affidamento e della potestà postula l’applicazione di una misura sanzionatoria e/o risarcitoria e dunque un sistema di pressione psicologica e di coercizione indiretta sul quale merita soffermarsi in seguito. Ancora vi è la disciplina dettata dall’art. 614 bis c.p.c. che generalizza una misura coercitiva a contenuto pecuniario applicabile alle ipotesi in cui la condanna ha ad oggetto un non fare o un obbligo di fare infungibile e che si affianca alle misure coercitive specifiche suddette seguendo il modello delle astreintes francesi e distanziandosi invece da quello tedesco delle zwangsstrafen. Vi sono poi gli strumenti forniti dal diritto sostanziale, da menzionare solo a fini di completezza, quali l’iscrizione ipotecaria e il disporre che l’obbligato presti idonea garanzia reale o personale. Infine, solo un cenno per ricordare la tutela penale del contributo come tendenza da scongiurare alla luce degli scarsi risultati ma assunta talvolta dal nostro legislatore.

Le misure a tutela dei crediti di mantenimento.

La problematica del credito di mantenimento può essere assunta quale immagine emblematica dei problemi che si è cercato di evidenziare sopra: il bisogno di una tutela che sia data immediatamente o comunque in modo estremamente rapido con la necessità, non meno importante, di tutelare una situazione che ha molteplici proiezioni nel futuro e la cui prestazione è infungibile. In ragione di questo potrebbe succedere che la tutela del credito di mantenimento dei figli sia chiesta con quella forma anticipatoria garantita dalla fase sommaria dinnanzi al presidente del tribunale che può con ordinanza concedere tutte le misure utili a questo fine. Altrimenti può succedere che sia chiesta in un’ipotesi in cui non vi è separazione, di conseguenza non in sede di procedimento di separazione e ancor meno di divorzio, o nel caso di separazione di fatto ex art. 146 e 148 c.c.. Infine, si può abbandonare questa bipartizione appena delineata qualora ci si trovi in un’ipotesi di famiglia di fatto tale da giustificare un interesse dell’ordinamento per la tutela del credito per il mantenimento del figlio. Emerge ancora una volta con dirompente gravità il problema della tutela del figlio naturale al quale non è garantita quella tutela anticipatoria in limine litis al contrario di quanto avviene per il figlio legittimo. E’ questo l’ambito nel quale sono calati quelli strumenti di diritto sostanziale a protezione dei crediti di mantenimento. In primis ex art. 156 c.c. ed ex art. 8 Legge 1 dicembre 1970, n.898 l’iscrizione ipotecaria che il giudice può produrre come effetto con la sua sola sentenza. Per quanto riguarda i figli naturali questo tipo di tutela è portata avanti attraverso l’art. 2818 c.c.. Ancora attraverso la sentenza il giudice, d’ufficio, può imporre al coniuge di prestare idonea garanzia reale o personale se vi è il pericolo che si sottragga all’adempimento. In questo caso l’obbligato può reagire solo attraverso le forme dell’impugnazione o della modifica e revoca purché vi sia stato un mutamento delle circostanze o giustificati motivi sopravvenuti.

L’istituto che costituisce il più efficace mezzo di tutela è quello della cessione coatta del credito vantato dall’obbligato verso terzi o la surrogazione nella prestazione periodica e continuativa da parte di un terzo. La disciplina sul punto regola in maniera diversa questo stesso fenomeno qualora si esplichi nel processo per separazione o al di fuori delle ipotesi della crisi familiare o nel procedimento di divorzio. L’art. 156 c.c. al VI comma nel disciplinare l’istituto per il procedimento di separazione stabilisce che in caso di inadempienza il giudice può ordinare a terzi tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all’obbligato che una parte di esse sia direttamente versata agli aventi diritto. La Corte Costituzionale è intervenuta con la sentenza 31 maggio 1983, n. 144 prima e con la sentenza 19 gennaio 1987, n.5 dopo sancendo rispettivamente l’illegittimità di questo comma in quanto non prevedeva l’applicazione dell’istituto a favore dei figli dei coniugi consensualmente separati e ai coniugi separati consensualmente. Ancora la Corte Costituzionale con la sentenza 6 luglio 1994, n.278 ha dichiarato l’illegittimità del medesimo comma giacché non era prevista la possibilità che il giudice istruttore potesse adottare nel corso della causa di separazione il provvedimento di ordinare ai terzi debitori del coniuge obbligato al mantenimento di versare una parte delle somme direttamente agli aventi diritto. L’importanza dell’istituto si ravvisa con maggiore evidenza se si pensa alla problematica, prima accennata, posta nell’ambito oggetto di analisi dalla tutela esecutiva nelle forme del libro III che necessita, ex art. 474 c.p.c , un diritto certo, liquido ed esigibile. Nel terreno sul quale ci muoviamo invece è classico riscontrare ipotesi di prestazioni future e necessariamente continuative per le quali risulta davvero poco adeguata una ripetizione di esecuzioni per tutelare la parte ogni volta che si verifica la scadenza della prestazione e l’inadempimento. Grazie a questo istituto si realizza la fattispecie per cui l’ordine del giudice disciplina per il fututo la situazione che per il resto è in toto assimilabile alla cessione del credito. Coerentemente alla previsione del diritto sostanziale non è coinvolto all’interno del procedimento il terzo ceduto, che però conserva le eccezioni di cui disponeva nei confronti dell’originario creditore e che può sempre contestare an e quantum del credito con i mezzi ordinari (processo di cognizione o opposizione all’esecuzione). La disciplina è analoga in quella seconda ipotesi, sopra delineata, ovvero quando l’istituto spiega i suoi effetti al di fuori della crisi familiare ex art. 148 c.c.. Mi sembrerebbe da ritenere proprio questa la disciplina valevole anche per l’ipotesi di un figlio naturale concepito nel contesto di una famiglia di fatto. Nel regolamentare il concorso agli oneri il legislatore stabilisce una serie di fasi per cui, qualora si verifichi un inadempimento rispetto a quei doveri verso i figli che l’art. 147 c.c. elenca, il presidente del tribunale dopo aver sentito l’inadempiente ed aver assunto informazioni, può, qualora vi sia un’istanza in tal senso, ordinare con decreto che una quota dei redditi dell’obbligato sia versata direttamente all’altro coniuge o comunque a chi occupandosi del mantenimento, dell’istruzione e dell’educazione della prole ne sopporta le spese. Giunti a questo punto tale decreto, che costituisce titolo esecutivo, viene notificato a tutti gli interessati ed ovviamente al terzo debitore che ha 20 giorni, come le altre parti, per proporre un’opposizione (su modello di quella regolata dall’art. 645 c.p.c. per quanto riguarda il decreto ingiuntivo). Questa forma con la quale il terzo e le parti possono fare opposizione e la scelta di un termine di 20 giorni implicano tempi di reazione estremamente ridotti, trascorsi i quali viene a crearsi giudicato circa l’esistenza del credito ceduto così come stabilito nel decreto del presidente del tribunale. A conclusione il terzo debitore e le parti possono decidere di utilizzare le forme del processo ordinario per chiedere modifica e revoca di questo provvedimento ma solo qualora vi siano circostanze o fatti sopravvenuti tali da superare il limite del giudicato. Infine l’applicazione dell’istituto al procedimento di divorzio semplifica ulteriormente la procedura tanto da escludere qualunque intervento del giudice e da legittimare la parte che ha diritto a costituire la conseguenza derivante dalla surrogazione nel credito su un piano stragiudiziale. L’art.8 della Legge 1 dicembre 1970, n.898, infatti, stabilisce che il coniuge cui spetta la corresponsione periodica dell'assegno mette in mora a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento del coniuge obbligato e inadempiente. Trascorsi trenta giorni l’avente diritto può notificare il provvedimento in cui è stabilita la misura dell'assegno ai terzi tenuti a corrispondere periodicamente delle somme di denaro al coniuge obbligato con l'invito a versargli direttamente le somme dovute, dandone comunicazione al coniuge inadempiente. Degno di nota il dato per cui l’istituto in ambito divorzile concerne esclusivamente un soggetto obbligato a far fronte periodicamente alla sua obbligazione con una somma di denaro come può essere ad esempio il datore di lavoro. Inoltre qualora il terzo cui è stato notificato il provvedimento non adempia, il coniuge creditore ha azione diretta esecutiva nei suoi confronti per il pagamento delle somme dovutegli quale assegno di mantenimento ai sensi degli articoli 5 e 6 della Legge 1 dicembre 1970, n.898. Possono porsi delle problematiche in relazione alle esigenze postulate dal concorso e dal principio della par condicio creditorum, difficilmente arginabili alla luce dell’attuale disciplina.

Si può passare ora ad analizzare il sequestro dei beni dell’obbligato, istituto nato a tutela del mantenimento del coniuge e divenuto applicabile alla tutela del figlio legittimo, a seguito di interventi della Corte Costituzionale, e del figlio naturale alla luce dell’art. 261 c.c.. Volgendo lo sguardo all’ipotesi di questo sequestro così come è regolata all’interno del procedimento di separazione personale è da evidenziare subito come al di la del nomen non vi sia affatto coincidenza con l’istituto del sequestro conservativo. In primis quanto ai presupposti dato che in quest’ambito la norma non fa riferimento al periculum concreto ma ritiene bastevole l’istanza di parte e l’inadempimento (art.156 c.c.). Ma anche in relazione al fumus dato che nel momento in cui il giudice concede questa misura vi è stata una cognizione sommaria o piena e dunque non può replicare un accertamento che è già stato compiuto. Secondariamente poi spicca come differenza rispetto al sequestro conservativo il fatto che questo sequestro a tutela del credito di mantenimento resta valido ed efficace anche qualora non vi sia un successivo giudizio di merito. Anche la ratio dell’istituto in realtà si allontana dalla logica prevalentemente conservativa per avvicinarsi a quel sistema di coercizione mediante esecuzione indiretta, in questo senso Cassazione civile, Sez. I, 12 maggio 1998, n.4776. Questo è confermato anche dal dato che il sequestro è vincolato esclusivamente a parte del patrimonio in un’ottica sanzionatorio-coercitiva e non conservativa. In quella stessa pronuncia la Corte di Cassazione si sofferma sul presupposto che la legge individua dell’inadempimento precisando che rientra in questa nozione, oltre all’adempimento dell’obbligo di mantenimento ogni violazione ad esso connessa. Ciò detto, non si può non ricordare l’opera della Corte Costituzionale, la quale con molteplici pronunce ha esteso l’ambito di applicazione del sequestro che il giudice può disporre a tutela del credito di mantenimento in molteplici direzioni. In primis a quanto stabilito durante la separazione consensuale (sentenza 31 maggio 1983, n. 144), secondariamente a quanto deciso nel provvedimento emesso dal presidente nella fase sommaria, ed infine a favore del figlio naturale. Infatti, con la sentenza 18 aprile1997, n.99 la Corte Costituzionale ha ampliato l’ambito di applicazione dell’istituto nell’ultimo dei sensi sopra ricordati con un importante adattamento alla lettera ed ai principi della nostra Carta fondamentale. Questo stesso sequestro assume connotati distinti alla luce della disciplina contenuta all’art.8 della Legge 1 dicembre 1970, n.898, ovvero sia quella dettata in relazione al procedimento di divorzio. In questa sede il sequestro potrebbe andare a colpire l’intero patrimonio e ciò anche qualora non vi fosse un inadempimento rispetto all’accertamento del contributo. Bisogna però almeno pensare che qualora non vi sia stato un inadempimento vi sia quantomeno il pericolo che ciò accada, in un’accezione quasi cautelare. I caratteri appena descritti deporrebbero a favore di un’interpretazione che ravvisi forti somiglianze con l’istituto del sequestro conservativo, ma, dato che ciò sarebbe un dato fortemente irrazionale per il sistema, in ragione del fatto che gli interessi sottesi sono assimilabili a quelli presenti nell’ipotesi su vista di sequestro in sede di separazione, sembra più corretto ritenere che anche in questo caso la logica dominante sia quelle coercitiva e sanzionatoria.

Solo un cenno per ricordare e criticare l’esistenza di una tutela in sede penale prevista per l’esecuzione dei provvedimenti che riguardano crediti di mantenimento. In particolare l’art. 12 sexties della Legge 1 dicembre 1970, n.898 introdotto a seguito della Legge 6 marzo 1987, n.74 sancisce che al coniuge che si sottrae all'obbligo di corresponsione dell'assegno dovuto si applicano le pene previste dall'art. 570 del codice penale. Non si può non notare come una tutela penale del contributo al mantenimento violi la necessità di effettività che è una caratteristica, come si è cercato di sottolineare in questo lavoro, davvero primaria nel settore delle controversie di famiglia.

La disciplina a tutela dell’affidamento e della potestà.

Non potendo trascurare uno dei più delicati terreni dai quali nascono molteplici controversie, la tutela del minore ed in particolare del suo affidamento e della potestà, il legislatore con la Legge 8 febbraio 2006, n.54 ha introdotto nel nostro ordinamento una disposizione, l’arti.709 ter c.p.c.. Il fine della norma è fornire una risposta in grado di tutelare il diritto del figlio minore alla bi genitorialità in almeno due momenti e cioè sia durante il procedimento di separazione o di divorzio che dopo la sua conclusione. Prima di analizzare le previsioni della norma basti solo ricordare che sull’importanza del diritto del minore alla bi genitorialità è intervenuta anche la Corte di Giustizia CE con la sentenza 23 dicembre 2009, C/403/09 per evidenziare l’importanza per il bambino di intrattenere regolarmente relazioni personali con entrambi i genitori a prescindere dalla crisi tra i due coniugi. L’art. 709 ter c.p.c. stabilisce quale sia il giudice dotato della competenza per decidere relativamente alla modalità di affidamento dei figli o sulle liti nate per quanto concerne l’esercizio della potestà sui figli. Contemporaneamente la norma attribuisce a questa stessa autorità giudiziaria il potere di valutare le violazioni che un genitore compie avverso il provvedimento che disciplina l’affidamento. L’art. 709 ter c.p.c. infatti,è tutto volto ad assicurare il rispetto del provvedimento di affidamento dei figli anche senza che sia in corso una controversia tra i genitori sul punto. E’ sufficiente che uno dei genitori abbia compiuto delle violazioni rispetto al provvedimento di affidamento dei figli affinché il giudice possa modificare i provvedimenti in vigore ed anche adottare quelle misure coercitive che sono elencate dal secondo comma della norma in maniera analitica. Dunque in caso di inadempienze che ostacolino l’interesse del minore al corretto svolgimento dell’affido e alla continuità dei rapporti familiari l’ordinamento prevede un sistema sanzionatorio improntato anch’esso alla coercizione indiretta. Il giudice può modificare i provvedimenti di affidamento in vigore, il che rappresenta un forte incentivo per il genitore che si è reso colpevole dell’inadempienza a rimediare a quella condotta per evitare il rischio di essere estromesso dalla vita del figlio. Ma non solo. Il sistema sanzionatorio prevede poi l’ammonizione del genitore che si è reso inadempiente, la condanna del medesimo al pagamento di una somma che rappresenta una sanzione pecuniaria ed infine il risarcimento dei danni in favore del figlio e/o dell’altro coniuge. Da un punto di vista processuale la norma è adattabile tanto al rito quanto alla fase del procedimento in cui entra in gioco. Infatti, non è specificata dall’articolo la forma del processo e dunque si potrà utilizzare quella del momento processuale in cui viene proposta l’istanza. Ciò detto non si può trascurare di rilevare come la scelta del legislatore del 2005 di non stabilire in concreto le forme che deve avere il processo in seno al quale viene a vita la misura coercitiva sia di fatto una non scelta madre di perplessità. La norma appena analizzata deve infine esser messa in relazione con l’art. 614 bis c.p.c. recentemente introdotto dalla riforma sulla razionalizzazione del processo, la Legge 18 giugno 2009, n.69. Questo articolo è mosso dallo spirito di favorire l’adempimento di tutti quegli obblighi di fare infungibile e di non fare che sono comunque ed inevitabilmente legati alla condotta del debitore tanto che il creditore non ha mezzi di esecuzioni in danno. Così la norma prevede una misura coercitiva di tipo pecuniario, su modello delle astreintes francesi, che il giudice su richiesta di parte può fissare e che l’obbligato deve per ogni successiva inosservanza o violazione o anche per ogni ritardo. Il provvedimento di condanna che il giudice emette ai sensi di questa norma costituisce titolo esecutivo per ogni inosservanza e violazione. Spetta al giudice la quantificazione della somma dovuta tenuto conto del valore della lite, del danno, quantificato o prevedibile e di qualunque altra circostanza utile. E’una norma prevista in generale per l’esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare ma che di certo tocca anche il terreno delle controversie di famiglia proprio in virtù delle caratteristiche delle prestazioni che lo interessano.

Considerazioni conclusive.

Il momento della tutela esecutiva nelle controversie di famiglia resta uno dei più delicati anche alla luce degli intereventi, non sempre ispirati alla razionalità, del legislatore. L’ordinamento deve trovare quelle risposte capaci di assicurare l’effettività della tutela in tempi brevi e tali da reagire al problema dell’infungibilità della prestazione. In questo senso una buona strada da percorrere per le controversie di famiglia potrebbe essere quella delle misure coercitive cautelari. Ciò è suggerito anche dalla direzione presa dall’evoluzione legislativa in merito alla tutela cautelare che, nata come strumento accessorio, è divenuta sempre più autonoma protagonista ritagliandosi pian piano nuovi terreni. Questa sede non è il luogo più idoneo per ripercorrere le tappe di questo cammino con tutte le riflessioni processualistiche che ne conseguono, ma basti pensare alla creazione, proprio in sede cautelare grazie alla Legge 14 maggio 2005, n.80 , di quella forma di tutela anticipatoria autosufficiente che non necessita di un giudizio di merito dopo di se. Questa non raggiunge mai la stabilità propria del giudicato ma in potenza è capace di fornire molte risposte agli interrogativi ed alle problematiche proprie delle controversie di famiglia. La tutela cautelare anticipatoria, nel suo distinguersi da quella tradizionale conservativa, e nell’assolvere all’arduo compito di fornire rapidamente la regola per risolvere il conflitto potrebbe anche essere la chiave di volta del sistema sotto un altro profilo ovvero l’aspetto per cui si ha una assoluta continuità tra il giudice della fase cognitiva e quello della fase esecutiva. Aspetto non di poco conto nella materia delle controversie di famiglia dove è importante che sia garantito un margine di discrezionalità al giudice, almeno quanto alle tecniche della fase esecutiva, alla luce del bisogno di elasticità e di adattamento alla situazione che si ha volta volta dinnanzi e che nessuno meglio conosce del giudice della fase cognitiva. Avere un nuovo faro, ovverosia la disciplina dettata per il processo cautelare uniforme dalla Legge 26 novembre 1990, n.353 permetterebbe anche di risolvare molti dei dubbi interpretativi ed applicativi circa la disciplina vigente, ed in particolare quell’art. 709 ter c.p.c. sopra analizzato.