Eccezione di giudicatoLa rilevazione della eccezione di giudicato materiale
Natura dell’eccezione di giudicato materiale. Limiti temporali per l’allegazione della eccezione nei giudizi di merito e di legittimità. Contrasto tra giudicati. Interpretazione del giudicato esterno.
a cura di Claudio Zanda*
*dottorando di ricerca in diritto processuale civile
LA QUESTIONE
Quando sia avviato un giudizio con lo stesso oggetto di altro giudizio già deciso con sentenza passata in giudicato, con quali limiti la parte interessata può far valere quel giudicato? È necessaria l’istanza di parte o il giudicato è rilevabile anche d’ufficio? Esistono delle regole e dei principi specifici per il giudizio di Cassazione?
INTRODUZIONE
L’art. 324 c.p.c., nel definire la cosa giudicata formale, stabilisce che «si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per Cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell’articolo 395». Il giudicato formale esprime la definitività del provvedimento, che non può più essere oggetto di gravame (se non tramite i mezzi di impugnazione straordinari). In altri termini, la sentenza non può più essere modificata né dal giudice che l’ha emessa (irrevocabilità), né da un altro giudice di grado superiore (inoppugnabilità).
Il giudicato materiale (o sostanziale) è disciplinato dall’art. 2909 c.c., alla stregua del quale «l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa». La norma dell’art. 2909 c.c. esprime la vincolatività della regola contenuta nel provvedimento, cioè la sua idoneità a produrre effetti anche al di fuori del processo. Ciò con la conseguenza che, qualora la situazione coperta da giudicato materiale sia dedotta in un successivo giudizio, il giudice adito è privo del potere giurisdizionale (in applicazione del principio ne bis in idem).
Altra distinzione di rilievo in tema di giudicato è quella, di origine pretoria, tra giudicato interno ed esterno. Il giudicato interno è quello che si produce all’interno dello stesso processo; il giudicato esterno è quello formatosi in un altro processo. Mentre il primo è suscettibile di inerire a qualunque sentenza, il secondo è tipico delle sole sentenze di merito (nonché di certe pronunce di rito della Corte di Cassazione).
Ancora, l’art. 112 c.p.c., oltre a fissare il principio della domanda (prima parte), pone la regola generale in ordine alla rilevabilità d’ufficio delle eccezioni all’interno del processo (seconda parte): «il giudice non può pronunciare d’ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti». Sulla base di questa norma si è affermata la dicotomia tra eccezioni in senso stretto e eccezioni in senso lato: le prime rilevabili solo dalla parte, le seconde rilevabili anche d’ufficio.
Lo strumento processuale col quale far valere l’esistenza di un precedente giudicato materiale è l’eccezione di cosa giudicata. Se l’eccezione è fondata, si apre la seguente alternativa. L’oggetto dei due giudizi è il medesimo: in questo caso si ha chiusura in rito del processo; se invece l’oggetto dei due giudizi è diverso, ciò significa che il procedimento posteriore ha ad oggetto un diritto dipendente da quello accertato con efficacia di giudicato: in questo caso il giudice è vincolato al giudicato anteriore nel decidere la questione pregiudiziale (quindi in questa seconda ipotesi l’eccezione di cosa giudicata non preclude la conclusione nel merito).
La giurisprudenza tradizionale configurava l’eccezione di giudicato esterno come eccezione in senso stretto, rilevabile esclusivamente nel corso del giudizio di merito e non anche per la prima volta in sede di giudizio di legittimità; viceversa, l’eccezione di giudicato interno era considerata eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, anche per la prima volta in Cassazione.
La differente natura della eccezione di giudicato interno ed esterno si fondava sulla seguente considerazione: che il giudicato esterno, in quanto formatosi al di fuori del processo nel quale assume in seguito rilevanza, opera nel solo interesse e a garanzia della parte che ha, in separata sede, ottenuto il riconoscimento del diritto controverso.
La dottrina dominante, in contrasto con la giurisprudenza, ha in maniera costante negato rilevanza alla distinzione tra giudicato interno e giudicato esterno, e, di conseguenza, alla affermata diversa autorità dei due giudicati. Si è infatti sostenuto che il nostro processo conosce una sola specie di giudicato (quella disposta dagli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c.), cosicché gli effetti che gli sono propri si manifestano in modo identico sia dentro che fuori del processo in cui si è formato.
La dottrina è quindi venuta a riconoscere alla eccezione di giudicato (interno o esterno, ciò non rileva) natura di eccezione in senso lato, con le conseguenze già evidenziate: rilevabilità in ogni stato e grado del procedimento, anche per la prima volta in Cassazione.
A partire dalla metà degli anni novanta, si sono avute diverse pronunce a Sezioni semplici nelle quali la Corte di Cassazione ha assunto una posizione assimilabile a quella della dottrina. Ciò ha creato una spaccatura all’interno della giurisprudenza, che si è cercato di comporre attraverso una serie di decisioni a Sezioni Unite, di seguito schematicamente illustrate.
LE NORME
Codice di procedura civile
112 - Corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato
324 - Cosa giudicata formale
372 - Produzione di altri documenti
Codice civile
2909 - Cosa giudicata
LA FATTISPECIE
L’interpretazione dell’art. 112 c.p.c. secondo le Sezioni Unite.
Secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (cfr. Cass., Sez. Un., 3 febbraio 1998, n. 1099), l’art. 112 c.p.c. pone la seguente alternativa: o si tratta di norma che rinvia alle disposizioni che prevedono caso per caso la necessaria iniziativa di parte (con ciò escludendo la possibilità di enucleare un principio generale che caratterizzi tutti quei casi); oppure la norma, affermando l’esistenza di eccezioni che possono essere proposte solo dalle parti, fa riferimento a un criterio generale di individuazione delle eccezioni in senso stretto (criterio che, restando inespresso nella norma stessa, andrebbe ricavato da altre disposizioni dell’ordinamento processuale).
La Corte sposa la prima delle due opzioni ermeneutiche: poiché nel nostro ordinamento non è possibile rintracciare un comune denominatore dei vari casi in cui la legge prevede l’iniziativa di parte quale condizione indispensabile per la pronuncia, la qualifica di eccezione in senso stretto non può che derivare da una specifica disposizione di legge.
Potere di allegazione e potere di rilevazione.
Cass., Sez. Un., 3 febbraio 1998, n. 1099 distingue tra potere di allegazione e potere di rilevazione. Questa distinzione, come si vedrà subito, opera come limite al principio della generale rilevabilità d’ufficio dei fatti est. mod. imp. Tale limite, dettato con specifico riguardo al rito del lavoro, deve ritenersi valido anche per il nuovo rito ordinario, come risultante dalla riforma del 2005, in quanto anch’esso caratterizzato da un rigido sistema di preclusioni.
Orbene, il potere di allegazione compete esclusivamente alla parte ed è, di norma, esercitabile (nel rito del lavoro), fino alla comparsa di costituzione (art. 416 c.p.c.). Infatti, affermano le Sezioni Unite, ammettere l’allegabilità di fatti nuovi anche oltre tale termine per la sola ragione che la rilevanza dei loro effetti non si iscrive nel novero delle eccezioni riservate alla parte, significherebbe compromettere il sistema delle preclusioni sul quale il rito si fonda, ed in particolare la sua funzione di affidare alla fase degli atti introduttivi del giudizio la cristallizzazione dei temi controversi e delle relative istanze istruttorie.
Il termine perentorio così individuato, e coincidente col tempestivo deposito della memoria difensiva ex art. 416 c.p.c., può essere superato in un solo caso: si tratta dell’ipotesi prevista e disciplinata dall’art. 420 c.p.c., I comma, ultima parte, che prevede una estrema possibilità di modificazione di domande ed eccezioni, in presenza di gravi motivi e previa autorizzazione del giudice.
Viceversa, il potere di rilevazione (cioè di desumere l’effetto dal fatto) spetta al giudice, ed è l’unico esercitabile anche oltre il suddetto limite temporale, ove i fatti siano stati allegati tempestivamente e siano rilevabili d’ufficio, e quindi tali da far sorgere il potere-dovere del giudice di tenerne conto ai fini della decisione.
L’eccezione di giudicato materiale è rilevabile d’ufficio.
La rilevabilità d’ufficio dell’eccezione di giudicato materiale è stata definitivamente affermata da Cass., Sez. Un., 25 maggio 2001, n. 226.
La motivazione delle Sezioni Unite si fonda su quattro argomenti.
a) Tenore letterale dell’art. 112 c.p.c.
Come già visto, affermando che «il giudice non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti», l’art. 112 rende principio generale la rilevabilità d’ufficio delle eccezioni. Poiché la qualificazione dell’eccezione di giudicato esterno in termini di eccezione in senso stretto non si desume - né esplicitamente, né implicitamente - da alcuna disposizione di legge, ne discende la natura di eccezione in senso lato.
b) Disciplina della revocazione ordinaria (art. 395, n. 5 c.p.c.).
In base all’art. 395, n. 5 c.p.c. è soggetta a revocazione ordinaria la sentenza che sia «contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione». È allora evidente che sarebbe contraria alla logica e all’armonia del sistema una interpretazione secondo la quale il giudice sarebbe obbligato a pronunciare una sentenza, almeno potenzialmente, inutiliter data (e che egli sa essere viziata), esclusivamente perché le parti non hanno sollevato la questione tempestivamente.
c) Disciplina della litispendenza (art. 39 c.p.c.).
L’art. 39 c.p.c. impone al giudice successivamente adito di dichiarare ex officio la litispendenza e di disporre con ordinanza la cancellazione della causa dal ruolo. Ora, poiché tra litispendenza e giudicato esiste un rapporto di continenza, tale norma non può precludere al giudice la possibilità di pronunciare d’ufficio sulla preclusione da giudicato. Ciò anche in considerazione del fatto che sia l’eccezione di giudicato, che l’eccezione di litispendenza sono ispirate da una stessa ratio di certezza e economia processuale.
d) Principio del ne bis in idem.
Le norme di cui agli artt. 395, n. 5 e 39 c.p.c. sono espressione del principio del ne bis in idem, che chiare esigenze sistematiche inducono a ritenere prevalente, per quel che riguarda il regime da applicare all’eccezione di giudicato esterno, sul principio dispositivo, in quanto la discrezionale facoltà di avvalersi, oppure no, del giudicato, che è operante fuori del processo, non può essere invocata per affermare la piena disponibilità dell’eccezione di giudicato che opera nel processo.
La rilevabilità d’ufficio della eccezione di giudicato materiale in dottrina.
Con l’affermazione della rilevabilità d’ufficio della exceptio rei iudicatae, le Sezioni Unite del 2001 aderiscono finalmente alla opinione dominante in dottrina, la quale si è praticamente da sempre espressa a favore della natura di eccezione in senso lato.
Oltre agli argomenti fatti propri dalle Sezioni Unite e riportati in motivazione, è possibile individuare in dottrina un ulteriore punto a sostegno della rilevabilità ex officio, che si fonda sulla funzione del processo, sul significato dell’esercizio della giurisdizione: giacché il processo soddisfa un interesse pubblico, deve ritenersi che le parti non abbiano la facoltà di disporre di esso, almeno nel senso di chiedere una nuova pronuncia sulla stessa controversia.
In altri termini, le parti sono libere se adire o meno l’autorità giudiziaria, ma una volta che il processo sia stato avviato e si sia giunti a una decisione che in seguito assuma il carattere della definitività, non la possono porre nel nulla (avviando un nuovo processo col medesimo oggetto), bensì, stante la rilevanza pubblicistica della cosa giudicata, devono conformarsi a quella.
Critica alla distinzione potere di allegazione - potere di rilevazione.
Cass., Sez. Un., 25 maggio 2001, n. 226 critica, con specifico riferimento alla deducibilità del giudicato esterno, la distinzione tra potere di allegazione e potere di rilevazione operata da Cass., Sez. Un., 3 febbraio 1998, n. 1099, statuendo che questa distinzione non può (né deve) rilevare nella materia in esame.
Infatti se da un lato – come affermano le Sezioni Unite del 1998 - una allegazione che non osservi i termini fissati in relazione ai singoli procedimenti in cui è destinata ad operare incontra un limite di utilizzabilità nelle ormai intervenute decadenze istruttorie, dall’altro - osserva Cass., Sez. Un., 25 maggio 2001, n. 226 - l’autorità del giudicato ha da tempo cessato di fare parte delle prove, e di conseguenza non è soggetta alle regole che le governano. In particolare la relativa eccezione non è soggetta a preclusioni per quanto riguarda la sua allegazione in sede di merito.
Ovviamente, stante la non utilizzabilità della scienza privata del giudice, è necessario che la parte, oltre ad allegare, dimostri l’esistenza di un giudicato esterno idoneo ad incidere sulla controversia. Orbene, tale attività di allegazione e dimostrazione non solo non è soggetta a termini particolari (potendo essere effettuata in ogni stato e grado del giudizio di merito), ma prescinde da qualsiasi volontà della parte di avvalersene.
In altri termini il giudicato esterno, una volta che è entrato nella disponibilità del giudice, non differisce in alcun modo dal giudicato interno: il giudice è obbligato a rilevarlo d’ufficio, a prescindere da qualsiasi istanza di parte.
L’allegazione del giudicato materiale nel giudizio di legittimità.
Abbiamo visto che le Sezioni Unite hanno affermato da un lato (sentenza 3 febbraio 1998, n. 1099) il principio della generale rilevabilità d’ufficio - salvo espresse previsioni di legge in senso contrario - delle eccezioni, dall’altro (sentenza 25 maggio 2001, n. 226) la natura di eccezione in senso lato della exceptio rei iudicatae.
A seguito di questi due importanti arresti, restava aperta la questione della deducibilità per la prima volta nel giudizio di legittimità del giudicato esterno. Se cioè fosse possibile in sede di ricorso per Cassazione far valere l’esistenza di un giudicato materiale formatosi dopo l’esaurimento dei gradi di merito.
Sul punto la giurisprudenza successiva alle Sezioni Unite del 2001 si è spaccata: un primo orientamento si era mostrato favorevole ad ulteriori passi in avanti; altro orientamento più prudente, viceversa, era preoccupato di rimanere entro più rigidi confini.
Si è così nuovamente reso necessario l’intervento delle Sezioni Unite, che si sono pronunciate con la sentenza del 16 giugno 2006, numero 13916.
La questione ruota intorno al valore preclusivo da riconoscere alla disposizione di cui all’art. 372 c.p.c. Da una parte si afferma che la norma citata non preclude la produzione per la prima volta in Cassazione di atti dai quali risulti l’esistenza di un giudicato esterno, purché il documento nuovo (costituito dalla sentenza passata in giudicato) si sia formato dopo l’esaurimento dei gradi di merito e venga prodotto con la notifica del ricorso per Cassazione; da altra parte si nega tale possibilità, sulla considerazione che la limitazione stabilita dall’art. 372 c.p.c. è intrinseca alla struttura del giudizio di legittimità e, dunque, non è superabile.
Le Sezioni Unite aderiscono alla prima interpretazione, sì da evitare il maggiore inconveniente della tesi più restrittiva, ovvero l’eventuale contrasto di giudicati tra le due pronunce, che potrebbe sostanziare i presupposti di un vizio revocatorio, causando un inconveniente incompatibile con il principio di rango costituzionale di economicità dei giudizi.
Qualora la violazione del giudicato non sia stata dedotta, residua il rimedio della revocazione ordinaria, ex art. 395, n. 5 c.p.c.
L’allegazione del giudicato materiale nel giudizio di legittimità secondo la dottrina.
Proprio facendo leva sull’art. 395, n. 5 c.p.c., la dottrina che ha avuto modo di esprimersi sul punto aveva in maniera prevalente preso posizione a favore della seconda interpretazione tra quelle su riportate, escludendo la possibilità per la parte interessata di far valere l’eccezione di cosa giudicata anche per la prima volta in Cassazione.
Infatti, secondo l’opinione dottrinale (non condivisa dalle Sezioni Unite del 2006), l’art. 395, n. 5 c.p.c., obbligando le parti ad impugnare la sentenza per revocazione nel caso in cui l’eccezione di giudicato esterno non sia stata proposta anteriormente, negherebbe alle stesse il potere di far valere l’eccezione de qua per la prima volta in sede di legittimità.
Perciò se si esclude tale potere in capo alle parti, deve ritenersi che esso non sussista nemmeno in capo al giudice (di legittimità). Altrimenti, sempre secondo la dottrina, l’iniziativa della Suprema Corte, magari velatamente sollecitata dal ricorrente o dall’impugnato, sortirebbe l’effetto di rimettere indebitamente in termini la parte interessata.
Veste formale della eccezione di giudicato materiale.
Per giurisprudenza costante, l’eccezione di giudicato materiale non richiede formule sacramentali, essendo sufficiente che dalle deduzioni della parte il giudice rinvenga comunque la manifestazione della volontà di avvalersi dell’effetto preclusivo (Cass., Sez. lavoro, 22 febbraio 1992, n. 2200).
Sulla scorta di questo principio si è affermato che il semplice richiamo, nel corso del processo, ad una sentenza pronunziata fra le stesse parti in altro giudizio non comporta di per sé la deduzione del giudicato esterno (Cass., Sez. lavoro, 15 dicembre 1999, n. 14107). Nemmeno la mera produzione di copia di sentenza pronunciata fra le stesse parti in un altro giudizio vale di per sé a ritenere integrata l’eccezione (Cass., Sez. II, 16 luglio 1997, n. 6476).
Ad ogni modo, è evidente che la questione ha perso di rilevanza una volta affermata la rilevabilità d’ufficio della exceptio rei iudicatae. Infatti anche nelle ipotesi in cui l’eccezione debba considerarsi come non correttamente proposta, il giudice potrà comunque tenerne conto.
Prova dell’eccezione di cosa giudicata.
Per quanto concerne la prova della eccezione di giudicato materiale, è principio condiviso quello per cui spetta alla parte che propone l’eccezione provare l’avvenuta formazione del giudicato medesimo (Cass., Sez. Un., 19 luglio 1999, n. 460), il che solitamente avviene con la produzione della sentenza definitiva.
Viceversa grava sulla controparte la prova della pendenza del giudizio di impugnazione (attraverso la produzione del relativo atto e della certificazione attestante tale pendenza), ovvero che l’oggetto della controversia successiva è diverso da quello cui la pronuncia passata in giudicato si riferisce.
In caso di contrasto pratico di giudicati, il giudicato formatosi successivamente prevale su quello precedente.
Può accadere che nel corso del giudizio non sia rilevata l’esistenza di un precedente giudicato avente ad oggetto la stessa situazione sostanziale, e che, in seguito, non si sia utilizzato il rimedio della revocazione. Ora, se il secondo giudice decide la controversia in maniera difforme dal primo, si realizza un contrasto pratico di giudicati: come lo si risolve?
Secondo giurisprudenza e dottrina dominanti il giudicato successivo prevale su quello precedente. Ciò sulla base delle regole in materia di successione tra gli atti giuridici, per le quali l’atto posteriore si sostituisce al primo relativo al medesimo oggetto.
L’interpretazione del giudicato esterno in sede di giudizio di legittimità.
Nel caso in cui il ricorrente deduca la violazione del giudicato esterno nel precedente grado di merito, può il giudice di legittimità esercitare un controllo al di là della motivazione fornita dal giudice del merito, oppure deve limitarsi a un sindacato sulla logicità della motivazione stessa?
Sul punto è intervenuta la recentissima pronuncia a Sezioni Unite del 28 novembre 2007, n. 24664, la quale ha statuito (in sintonia con Cass., Sez. Un., 25 maggio 2001, n. 226) che il giudicato deve essere assimilato agli “elementi normativi”, sia per la sua natura (di comando giuridico), sia per gli effetti che produce (di dare certezza e stabilità alla res controversa).
Dal che discende che l’interpretazione del giudicato operata dal giudice del merito non consiste in un apprezzamento di fatto, ma in una vera e propria quaestio iuris, come tale sindacabile in sede di legittimità non per il mero profilo del vizio di motivazione, ma nella più ampia ottica della violazione di legge.
Rilevabilità del giudicato esterno contenuto nel lodo arbitrale.
Il principio della rilevabilità ex officio del giudicato (anche) esterno risultante da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, rinviene la propria ratio essendo nel particolare carattere della sentenza del giudice e nella natura pubblicistica dell’interesse al suo rispetto; tale principio, pertanto, non opera con riferimento al lodo arbitrale, essendo questo un atto negoziale riconducibile al dictum di soggetti privati, che non muta la propria originaria natura per l’attribuzione a posteriori degli effetti della sentenza (Cass., Sez. I, 27 novembre 2001, n. 15023).
LA GIURISPRUDENZA
Si riportano in ordine cronologico le principali sentenze, tutte a Sezioni Unite, in tema di rilevabilità della eccezione di giudicato materiale.
PRINCIPIO DELLA DOMANDA, POTERE DI ALLEGAZIONE E POTERE DI RILEVAZIONE
Cassazione civ., Sez. Unite, 3 febbraio 1998, n. 1099
In relazione all’opzione difensiva del convenuto consistente nel contrapporre alla pretesa attorea fatti ai quali la legge attribuisce autonoma idoneità modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto sul quale la predetta pretesa si fonda, occorre distinguere il potere di allegazione da quello di rilevazione, posto che il primo compete esclusivamente alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto applicabile (pertanto sempre soggiacendo alle relative preclusioni e decadenze), mentre il secondo compete alla parte (e soggiace perciò alle preclusioni previste per le attività di parte) solo nei casi in cui la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva), ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l’iniziativa di parte, dovendosi in ogni altro caso ritenere la rilevabilità d’ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito, senza che, peraltro, ciò comporti un superamento del divieto di scienza privata del giudice o delle preclusioni e decadenze previste, atteso che il generale potere - dovere di rilievo d’ufficio delle eccezioni facente capo al giudice si traduce solo nell’attribuzione di rilevanza, ai fini della decisione di merito, a determinati fatti, sempre che la richiesta della parte in tal senso non sia strutturalmente necessaria o espressamente prevista, essendo però in entrambi i casi necessario che i predetti fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultino legittimamente acquisiti al processo e provati alla stregua della specifica disciplina processuale in concreto applicabile. (Giur. it., 1999, 521; Corr. giur., 1999, 1007; Dir. lav., 1999, II, 12)
RILEVABILITÀ D’UFFICIO DELL’ECCEZIONE DI GIUDICATO MATERIALE
Cassazione civ., Sez. Unite, 25 maggio 2001, n. 226
Poiché nel nostro ordinamento vige il principio della rilevabilità di ufficio delle eccezioni, derivando invece la necessità dell’istanza di parte solo dall’esistenza di una eventuale specifica previsione normativa, l’esistenza di un giudicato esterno, è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, ed il giudice è tenuto a pronunciare sulla stessa qualora essa emerga da atti comunque prodotti nel corso del giudizio di merito. Del resto, il giudicato interno e quello esterno, non solo hanno la medesima autorità che è quella prevista dall’art. 2909 c.c., ma corrispondono entrambi all’unica finalità rappresentata dall’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche e dalla stabilità delle decisioni, i quali non interessano soltanto le parti in causa, risultando l’autorità del giudicato, riconosciuta non nell’interesse del singolo soggetto che lo ha provocato, ma nell’interesse pubblico, essendo essa destinata a esprimersi - nei limiti in cui ciò sia concretamente possibile - per l’intera comunità. Più in particolare, il rilievo dell’esistenza di un giudicato esterno non è subordinato ad una tempestiva allegazione dei fatti costitutivi dello stesso, i quali non subiscono i limiti di utilizzabilità rappresentati dalle eventualmente intervenute decadenze istruttorie, e la stessa loro allegazione può essere effettuata in ogni stato e fase del giudizio di merito. Da ciò consegue che, in mancanza di pronuncia o nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia affermato la tardività dell’allegazione - e la relativa pronuncia sia stata impugnata - il giudice di legittimità accerta l’esistenza e la portata del giudicato con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice del merito. (Nuova giur. civ,. 2002, 265; Foro it., 2001, I, 2810; Corr. giur., 2001, 1462)
DEDUCIBILITÀ PER LA PRIMA VOLTA NEL GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ DEL GIUDICATO ESTERNO
Cassazione civ., Sez. Unite, 16 giugno 2006, n. 13916
Nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. Si tratta infatti di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del ne bis in idem, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione. Tale garanzia di stabilità, collegata all’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, i quali escludono la legittimità di soluzioni interpretative volte a conferire rilievo a formalismi non giustificati da effettive e concrete garanzie difensive, non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 cod. proc. civ., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato; questi ultimi, d’altronde, comprovando la sopravvenuta formazione di una regula iuris alla quale il giudice ha il dovere di conformarsi in relazione al caso concreto, attengono ad una circostanza che incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione, e sono quindi riconducibili alla categoria dei documenti riguardanti l’ammissibilità del ricorso. La produzione di tali documenti può aver luogo unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l’impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, fino all’udienza di discussione prima dell’inizio della relazione; qualora la produzione abbia luogo oltre il termine stabilito dall’art. 378 cod. proc. civ. per il deposito delle memorie, dovendo essere assicurata la garanzia del contraddittorio, la Corte, avvalendosi dei poteri riconosciutile dall’art. 384, terzo comma, cod. proc. civ., nel testo modificato dal d.lgs. 2006, n. 40, deve assegnare alle parti un opportuno termine per il deposito in cancelleria di eventuali osservazioni. (Corr. giur., 2006, 1694)
SINDACATO PIENO DEL GIUDICE DI LEGITTIMITÀ SUL GIUDICATO ESTERNO
Cassazione civ., Sez. Unite, 28 novembre 2007, n. 24664
Il giudice di legittimità può direttamente accertare l’esistenza e la portata del giudicato esterno con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice di merito.
LA DOTTRINA
Si riportano i riferimenti dottrinali più significativi in materia.
- CAVALLINI, Eccezione rilevabile di ufficio e struttura del processo, Jovene, 2003;
- CHIOVENDA, «Cosa giudicata e preclusione», in Saggi di diritto processuale civile, vol. III, rist., Giuffrè 1993, 231;
- FITTIPALDI, «Preclusioni processuali e giudicato esterno: verso un disimpegno della Cassazione dalla teorica dell’eccezione? », in Corr. giur., 2001, 1462;
- IOZZO, «Eccezione di giudicato esterno e poteri del giudice (anche di legittimità)», in Foro it., 2001, I, 2810;
- LIEBMAN, «Giudicato (diritto processuale civile)», in Enc. giur., XV, Treccani, 1989;
- MENCHINI, Il giudicato civile, Utet, 2002;
- ORIANI, «Eccezioni rilevabili (e non rilevabili) d’ufficio. Profili generali», in Corr. giur., 2005, 1011;
- ORIANI, «Eccezione», in D. disc. priv. sez. civ., vol. VII, Utet, 1991, 262;
- VOLPINO, «L’eccezione di giudicato esterno: problemi e prospettive», in N. giur. civ. comm., 2002, 276.
LE CONCLUSIONI
Il giudice ha il potere di rilevare d’ufficio l’esistenza di un giudicato esterno, quando questo sia allegato da una delle parti. A tal fine non rileva la volontà della parte di far valere il giudicato stesso: si tratta infatti di un potere – dovere del giudice.
Nel giudizio di merito l’attività di allegazione del giudicato esterno non è subordinata ad alcuna preclusione.
In sede di legittimità è rilevabile per la prima volta il giudicato esterno forgiatosi successivamente alla conclusione del giudizio di merito; tuttavia la parte interessata deve proporre l’eccezione di giudicato materiale, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., con la notifica del ricorso per Cassazione
Ad ogni modo, quando la parte non abbia allegato il giudicato esterno, o comunque il giudice non l’abbia rilevato, resta la possibilità di percorrere il rimedio revocatorio ex art. 395, n. 5 c.p.c.
L’eccezione di giudicato materiale non richiede formule sacramentali, essendo sufficiente che dalle deduzioni della parte il giudice rinvenga comunque la manifestazione della volontà di avvalersi dell’effetto preclusivo.
Se per un qualunque motivo si formano due giudicati aventi ad oggetto la medesima situazione sostanziale, quello successivo prevale.
Il giudice di legittimità ha cognizione piena e autonoma in ordine alla latitudine oggettiva e soggettiva del giudicato esterno: esso infatti è assimilabile agli “elementi normativi”.
Poiché il lodo arbitrale ha natura di atto negoziale, il giudicato in esso contenuto non è rilevabile d’ufficio.
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