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Ordinanza a chiusura istruzion

Processo civile

L’ordinanza ex art. 186 quater cpc

L’ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione con la novella del 1995. Con riforma di cui alla Legge 28 dicembre 2005 n. 263 è stato sostituito l’ultimo comma dell’art. 186 quater nell’evidente intento di far acquistare all’ordinanza più facilmente efficacia di sentenza impugnabile.

a cura di Stefano Pulidori *

* Avvocato del Foro di Pisa

la QUESTIONE

Come quando e con quali effetti l’ordinanza post-istruttoria acquista l’efficacia

di sentenza impugnabile sull’oggetto dell’istanza ?

l’INTRODUZIONE

Con l’art. 7 del D. L. 21 giugno 1995 fu introdotto l’art. 186 quater c.p.c, prevedendo la possibilità che il giudice istruttore pronunziasse, esaurita l’istruttoria, un’ordinanza esecutiva, su istanza della parte che avesse proposto domanda di condanna al pagamento di somme di denaro e alla consegna (di cose mobili) o rilascio di beni (immobili), nei limiti in cui ritenesse già raggiunta la prova del diritto. Con l’ordinanza il giudice deve provvedere sulle spese.

Si voleva consentire all’interessato il conseguimento anticipato del titolo esecutivo, evitando i lunghi tempi usualmente intercorrenti tra la fine dell’istruttoria e la decisione della causa con sentenza.

All’ordinanza venne attribuita, almeno in linea potenziale, l’attitudine a sostituire la sentenza finale attraverso due diversi meccanismi:

a) con l’estinzione del giudizio l’ordinanza pronunciata acquista efficacia di sentenza impugnabile sull’oggetto dell’istanza (art. 186 quater, 3° comma);

b) analogo effetto si ha se l’intimato rinuncia alla pronunzia della sentenza a mezzo atto notificato all’altra parte e depositato in cancelleria (art. 186 quater ultimo comma previgente).

La riforma del 2006 è intervenuta su quest’ultima comma, che attualmente così dispone: <>.

In sostanza si è avuto un completo rovesciamento: prima la parte intimata poteva dichiarare di rinunciare alla pronunzia della sentenza; adesso se vuole la pronunzia della sentenza deve dichiarare la sua volontà in tal senso, entro un termine di trenta giorni che, per quanto non esplicitamente detto, è da ritenersi perentorio: in difetto, l’ordinanza acquisterà automaticamente l’efficacia di sentenza impugnabile.

leNORME

Codice procedura civile

Art. 186 quater

laFATTISPECIE

L’ultimo comma dell’art. 186 quater

Il radicale cambiamento dell’ultimo comma dell’art. 186 quater denota l’evidente intenzione del Legislatore di favorire maggiormente la “conversione” in sentenza dell’ordinanza de qua.

E’ manifesto lo scopo di evitare, salvo che l’intimato non manifesti la sua volontà in senso contrario, che si renda necessaria la pronunzia della sentenza conclusiva del giudizio, con riferimento all’oggetto dell’istanza.

Sul piano funzionale, la discontinuità rispetto al passato è netta.

Dal momento che l’art. 186 quater avevo lo scopo di consentire il conseguimento anticipato del titolo esecutivo, la facoltà data all’intimato di rinunciare alla sentenza, a parte lo scopo deflattivo in senso lato, aveva soprattutto la funzione di consentirgli l’impugnazione immediata dell’ordinanza “divenuta” sentenza, proponendo eventualmente anche l’inibitoria ex art. 283 c.p.c.

Egli doveva fare una scelta esplicita in tal senso, se non preferiva attendere una, magari improbabile, revoca dell’ordinanza.

Revoca che, oltretutto, a differenza di quanto previsto per le ordinanze degli artt. 186 bis e 186 ter, soggette al regime della revocabilità ex artt. 177 e 178 cpc, poteva avvenire solo con la, verosimilmente lontana nel tempo, sentenza di primo grado (186 quater, secondo comma).

Adesso, invece, la “conversione” dell’ordinanza in sentenza impugnabile diviene la norma a fronte della mera inerzia dell’intimato, con accentuazione della finalità deflattiva.

Si vuole evitare il più possibile lo svolgersi di un’attività che, il più delle volte, dovrebbe essere di “conferma” in sentenza dell’ordinanza pronunziata, lasciando al giudice dell’eventuale impugnazione, piuttosto che alla “revoca” , il compito di rimediare agli errori. Come s’è detto, lo scopo è attuato attraverso una netta inversione dell’onere dell’iniziativa processuale: se nel regime previgente l’intimato non faceva nulla, la causa non poteva che proseguire ed andare a sentenza.

Ora, se l’intimato non fa nulla - almeno per quanto oggetto dell’istanza - la sentenza non deve essere pronunciata e la causa, quindi, non deve proseguire.

L’innovazione è entrata in vigore solo dal 1 marzo 2006 e vale solo per i giudizi introdotti da tale data.

Ciò rende ragione della mancanza di un’elaborazione giurisprudenziale sul nuovo testo: tenuto conto che l’ordinanza viene emessa ad istruttoria conclusa, visti i tempi ordinari della cause, ben poche nuove cause avranno raggiunto oggi lo stadio necessario….

E’ comunque interessante verificare l’impatto (il possibile impatto) di questa innovazione in riferimento ad alcune specifiche problematiche che l’ordinanza post-istruttoria pone.

In particolare, con specifico riferimento alla sua attitudine ad acquistare l’efficacia di una sentenza impugnabile, ci volgiamo soffermare:

* sul nuovo meccanismo tecnico delineato dall’art. 186 quater ultimo comma;

* sui termini per impugnare l’ordinanza che abbia in tal modo acquisito efficacia di sentenza;

* sulla possibilità di pronuncia ex art. 186 quater contro il contumace;

* sullo spazio che l’innovazione lascia al meccanismo estintivo del 186 quater 3° comma

laGIUSPRUDENZA

L’art. 186 quater ultimo comma previgente

Prima di esaminare questi punti rispetto al nuovo quadro normativo, è necessario un pur beve richiamo a quanto elaborato nella vigenza del 186 quater ultimo comma ante novella 2006.

Per quanto riguarda la “conversione” dell’ordinanza in sentenza a mezzo rinuncia, non era prevista una forma specifica e non esisteva alcun termine entro il quale l’intimato dovesse esercitare la facoltà di rinunciare alla sentenza, salvo quello ricavabile sistematicamente nella scadenza dei termini per le repliche ex art. 190 cpc.

Una volta intervenuta la notifica della rinuncia, l’interesse al successivo deposito in cancelleria era riconosciuto ad entrambe le parti: quindi non solo l’intimato, ma anche a chi aveva chiesto l’ordinanza, aveva titolo per il deposito , attività che poteva fare con la copia della rinuncia ricevuta a titolo di notifica.

Per quanto riguarda i termini per appellare l’ordinanza divenuta sentenza, particolarmente discussa è stata la questione della decorrenza del termine breve per l’impugnazione a carico dell’intimato che avesse rinunciato alla pronuncia della sentenza.

La Cassazione sul punto aveva avuto orientamenti contrastanti, ma da ultimo aveva affermato che per l’intimato che avesse rinunciato alla sentenza dal deposito dell’atto di rinuncia in cancelleria iniziava a decorrere direttamente il termine breve per l’appello ex art. 325 cpc, senza nemmeno che l’altra parte fosse tenuta a notificargli l’ordinanza-sentenza: si trattava, di fatto, di una abrogazione del termine lungo per l’intimato stesso .

La motivazione di questo orientamento stava in una alquanto forzata e discutibile valorizzazione della rinuncia alla sentenza come prova della legale conoscenza dell’ordinanza da parte dell’intimato e della sua specifica volontà di farle acquisire efficacia di sentenza impugnabile con ineluttabile, a dire della Suprema Corte, decorrenza del termine breve.

Per quanto riguarda la posizione del contumace, non è mai stato dubbio che contro di esso fosse ammessa la pronuncia ex art. 186 quater .

La contumacia dell’intimato, d’altronde, non dava luogo a problemi rilevanti: se egli non aveva notizia dell’ordinanza, oppure l’aveva ma non rinunciava alla sentenza, la causa poteva proseguire sino alla sentenza di primo grado (oppure estinguersi); se invece aveva notizia dell’ordinanza e rinunciava alla pronuncia della sentenza, si aveva l’effetto tipico previsto dall’ultimo comma dell’art. 186 quater.

La Cassazione ebbe a ritenere che il contumace potesse rinunciare anche senza ministero del difensore , mentre per la parte costituita l’atto competerebbe a pena di nullità al difensore

Per quanto riguarda, infine, il meccanismo estintivo (art. 186 queter terzo comma) esso configura un diverso modo attraverso il quale l’ordinanza può acquisire efficacia di sentenza impugnabile. L’effetto de quo è stato ritenuto accertabile anche in via incidentale in altro processo, atteso che l’estinzione opera di diritto . In dottrina, però, ampio seguito ha la ricostruzione secondo cui non solo occorrerebbe un provvedimento esplicito dichiarativo dell’estinzione, ma che il termine per impugnare decorrerebbe dall’irrevocabilità del provvedimento medesimo o dal passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa dell’estinzione, in applicazione analogica dell’art. 129 disp. att.

DECORRENZA DEL TERMINE BREVE PER L’INTIMATO

Cassazione civile , sez. II, 29 settembre 2004, n. 19602

In tema di impugnazione dell'ordinanza anticipatoria di condanna ai sensi dell'art. 186 quater c.p.c., l'attività posta in essere dall'intimato con la notificazione alla controparte dell'atto di rinuncia alla pronuncia della sentenza e con il deposito in cancelleria dell'atto di rinuncia notificato, cui consegue l'acquisto, per l'ordinanza, dell'efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza, costituisce adeguata dimostrazione della legale conoscenza del provvedimento da parte dell'intimato nonché della specifica volontà dello stesso di far acquisire all'ordinanza medesima l'efficacia della sentenza impugnabile; ne deriva che, esclusa l'applicabilità, per l'intimato, del termine lungo di impugnazione, dal momento in cui detta attività si perfeziona - ossia dal deposito in cancelleria dell'atto di rinuncia, notificato, alla sentenza - decorre, per il medesimo intimato, il termine breve di impugnazione. Per la controparte, invece, il termine breve di impugnazione decorre soltanto dal momento in cui sia stata ad essa notificata anche l'ordinanza - sentenza, restando fermo che, ove poi la stessa controparte riceva dall'intimato la notificazione, in luogo dell'ordinanza - sentenza, dell'atto di impugnazione dallo stesso proposto, essa potrà, a sua volta, proporre impugnazione con le forme e nei termini dell'impugnazione incidentale.

Cassazione civile , sez. II, 30 gennaio 2004, n. 1692

In tema di impugnazione dell'ordinanza anticipatoria di condanna ai sensi dell'art. 186 quater c.p.c., al deposito dell'atto di rinuncia alla sentenza (notificato dall'intimato alla controparte), a seguito del quale l'ordinanza acquista l'efficacia della sentenza impugnabile, è riservata - in coerenza con il sistema delineato dagli art. 325, 326 e 327 c.p.c. - la funzione di far decorrere esclusivamente il termine lungo di cui all'art. 327, mentre, per il decorso dei termini brevi di cui all'art. 325, è necessario che, alla conclusione del complesso iter procedimentale stabilito dall'art. 186 quater, ultimo comma, per attribuire all'ordinanza anticipatoria l'efficacia di sentenza (notifica dell'atto di rinuncia alla sentenza e deposito dello stesso), faccia seguito una nuova notificazione, avente ad oggetto l'ordinanza, che assumerà la funzione specifica di atto acceleratorio del procedimento di impugnazione.

FACOLTA’ DI DEPOSITO DELL’ATTO DI RINUNCIA NOTIFICATO

Cassazione civile , sez. II, 22 dicembre 2005, n. 28419

In tema di impugnazione dell'ordinanza anticipatoria di condanna, la disposizione di cui all'art. 186 quater c.p.c., secondo la quale, con la notificazione alla controparte dell'atto di rinuncia alla pronuncia della sentenza e con il deposito in cancelleria dell'atto di rinuncia notificato, l'ordinanza acquista, dalla data del suddetto deposito, l'efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza, va interpretata nel senso che il deposito dal quale decorre l'efficacia di sentenza dell'ordinanza anticipatoria può essere effettuato non solo dall'intimato, ma anche dall'intimante, atteso che la norma non indica espressamente quale parte deve provvedere al deposito della rinuncia, né esclude alcuna di esse dal potere di compiere detto incombente. All'intimato è riservato, in quanto unica parte incisa dall'ordinanza anticipatoria, il potere di scelta tra subire il provvedimento ovvero attendere la sentenza, ma, una volta avvenuta la rinunzia, il deposito della stessa ha la finalità di porre tale atto a disposizione del giudice e di tutte le parti del processo, per evitare che il giudice stesso pronunci la sentenza, sicché non può essere configurato come atto esclusivo dell'intimato, potendo provenire, per il principio di autoresponsabilità" delle parti, anche da un soggetto diverso da quest'ultimo.

ORDINANZA EX ART. 186 QUATER E CONTUMACIA

Tribunale Reggio Emilia, 13 luglio 1995

L'ordinanza successiva alla chiusura della istruzione può essere pronunciata nei conflitti del convenuto contumace allorché sia acquisita la prova dei fatti costitutivi posti a fondamento della domanda.

Cassazione civile , sez. III, 23 luglio 2002, n. 10748

In tema di ordinanza anticipatoria di condanna emessa dal giudice ad esaurimento dell'istruzione, la dichiarazione di rinunzia alla pronunzia della sentenza, che ha finalità di semplificare le forme decisorie, non è necessariamente esercizio dello "ius postulandi". Pertanto se la parte intimata è contumace, è rituale la rinuncia compiuta da essa personalmente.

SPETTANZA DELLA RINUNCIA AL DIFENSORE DELL’INTIMATO

Cassazione civile , sez. III, 06 marzo 2002, n. 3194

In tema di ordinanza anticipatoria di condanna emessa dal giudice ad esaurimento dell'istruzione, la dichiarazione di rinuncia alla pronuncia della sentenza, che la parte intimata può effettuare ai sensi dell'art. 186 quater, comma 4, c.p.c., è espressione di una scelta difensiva, diretta a determinare la trasformazione dell'ordinanza in sentenza immediatamente impugnabile, come tale rientrante tra i poteri del difensore a norma dell'art. 84, comma 1, c.p.c., mentre resta escluso che la parte, la quale stia in giudizio col ministero del difensore, possa validamente compiere di persona detta rinuncia, non essendo configurabile, là dove detto patrocinio sia obbligatorio, una fungibilità tra il potere del difensore e quello della parte personalmente nè l'invalidità dell'atto di rinuncia alla pronuncia della sentenza, in quanto proveniente dalla parte intimata personalmente, può ritenersi sanata, per conseguimento dello scopo, a seguito della interposizione dell'appello ad opera del difensore della parte stessa munito di apposita procura "ad litem", difettando in tal caso l'impugnazione del necessario presupposto, perché rivolta contro una ordinanza che non ha ancora acquistato l'efficacia della sentenza, efficacia conseguibile solo ed esclusivamente in conseguenza di una valida rinuncia.

ACCERTAMENTO INCIDENTALE DELL’ESTINZIONE EX ART. 186 quater 3° comma

Cassazione civile , sez. lav., 12 maggio 2006, n. 11039

L'ordinanza di cui all'art. 186 quater cpc acquista efficacia di sentenza impugnabile a seguito della sopravvenuta estinzione del processo, nel corso del quale sia stata pronunciata (ai sensi del comma 3 dello stesso articolo 186 quater cpc) e, in tal caso, il termine annuale di impugnazione (di cui all'art. 327 cpc) decorre dal perfezionamento della fattispecie estintiva la cui configurazione può essere incidentalmente accertata - d'ufficio - in un diverso processo, in funzione di qualsiasi altro effetto extraprocessuale ad essa ricollegabile. (Nella specie, la S.C., in accoglimento del relativo motivo proposto, ha accertato che l'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 186 quater c.p.c. nel corso del processo, proseguito dal lavoratore infortunato dinanzi ad altro giudice nei confronti degli altri condebitori solidali, aveva acquistato efficacia di sentenza impugnabile in dipendenza dell'estinzione del giudizio, per la sua mancata riassunzione, entro il termine perentorio di sei mesi, dall'interruzione dello stesso processo, a seguito della morte del procuratore alle liti di una delle parti, con l'effetto che la sentenza impugnabile era poi passata in giudicato, non essendo stata, per l'appunto, impugnata entro il termine annuale di cui all'art. 327 cpc, dalla data di perfezionamento - per decorrenza del termine perentorio di riassunzione previsto dall'art. 305 cpc - della fattispecie estintiva del processo).

laDOTTRINA

Forma e termini della dichiarazione dell’intimato

Nel nuovo regime, la “conversione” dell’ordinanza in sentenza deriva dalla mera “inattività” dell’intimato, novità salutata in dottrina sia con favore che in senso critico .

Sul piano formale, per la dichiarazione di volontà di ottenere la pronunzia della sentenza si richiede espressamente la forma del ricorso, da notificare all’altra parte e depositare in cancelleria nel termine di giorni trenta.

Rispetto alla forma stabilita, cioè il ricorso, è stato notato che sarebbe inappropriata, atteso che l’atto si rivolge alla controparte e non al giudice .

Anche se l’osservazione ha un fondo di verità, tuttavia forse un certo retropensiero del legislatore vale a giustificarla.

Mentre nel regime previgente la causa, dopo l’ordinanza ex art. 186 quater, doveva proseguire fino alla sentenza salvo che la rinuncia alla sentenza non la fermasse, oggi il meccanismo è invertito, per cui la causa di norma non deve proseguire.

Non è certo azzardato dire che una volta emanata l’ordinanza ex art. 186 quater il processo entri in una sorta di stato di quiescenza , in attesa dell’eventuale atto dell’intimato che solleciti la pronunzia della sentenza

Se così è, attraverso l’atto tipico l’intimato effettua una dichiarazione di volontà che ha valore di vero e proprio atto d’impulso a fronte del quale il giudice viene (re)investito del dovere di giudicare con sentenza la causa.

La forma del ricorso vale quindi, verosimilmente, a connotare in tali sensi l’atto processuale.

Per quanto attiene il rispetto dei termini, la questione principale è se nel termine di trenta giorni debbano aver luogo entrambe le formalità (notifica e deposito), oppure solo la prima.

Se si opta, come la maggioranza degli autori, per la prima soluzione, c’è l’aggravante per cui, a seguito dei ben noti interventi della Corte Costituzionale , il termine s’intenderebbe rispettato anche solo con la consegna dell’atto alla notifica. A tacere, poi, delle conseguenze degli eventuali vizi di notifica: una notifica nulla del ricorso sarà o meno rinnovabile, quando, come e con quali effetti ? E ancora, potrà trovare applicazione l’art. 184 bis cpc ?

Poiché, inoltre, non è previsto un termine finale di deposito , ci si domanda cosa succede nel caso in cui l’intimato provveda alla notifica del ricorso ma non al suo deposito.

Forse si dovrà trovare in via analogica un termine, quale potrebbe essere quello di 10 giorni previsti del rito societario dall’art. 9, terzo comma D. Lgs- 171.01.2003 n. 5 o recuperare altri meccanismi di salvaguardia.

Inopportunamente, anche da questo punto di vista, la nuova disposizione non precisa se il giudice debba essere notiziato dalla cancelleria del deposito del ricorso notificato (o del mancato deposito), onde dare, nel primo caso, gli eventuali provvedimenti ordinatori per la prosecuzione del processo ovvero, nel secondo caso, affinché ne possa tener conto per la gestione del ruolo .

Analogamente, non risulta facile dire se il giudice debba senz’altro fissare, con la stessa ordinanza emessa ex art. 184 quater (o con altra separata, ma coeva), udienza di precisazione delle conclusioni ovvero se non debba affatto fissare altra udienza riservandosi di farlo solo se e quando il ricorso per la pronunzia della sentenza sarà notificato e depositato.

Riteniamo, allo stato, che sarebbe opportuna la fissazione di un’udienza dedicata alla verifica se l’intimato abbia o meno dato corso alla notifica e deposito della sua dichiarazione in favore della pronunzia della sentenza.

Questa udienza potrebbe valere intrinsecamente come momento ultimo per il deposito del ricorso notificato, ovvero fungere almeno come riferimento per consentire, eventualmente, lo sfogo di meccanismi estintivi “di chiusura” (309 – 181 cpc).

Da verificare pure, nel nuovo quadro, se abbia ancora senso ammettere al deposito del ricorso l’altra parte : il deposito non ha più l’effetto di acquisto dell’efficacia della sentenza, effetto rispetto al quale il suo interesse ben si configurava, ma semmai effetto contrario.

Resta comunque indubbio che sarebbe stato più opportuno e più semplice stabilire l’onere di solo deposito del ricorso dell’intimato in cancelleria.

Il deposito sarebbe stato tra l’altro facilmente verificabile sia dall’ufficio che dall’altra parte, qualora avesse voluto acquisire immediatamente la conoscenza della volontà dell’intimato. Basilari requisiti di certezza avrebbero trovato, in tal modo, ulteriore riscontro anche in riferimento al fatto che la mancata “proposizione” del ricorso è rilevante per molti fini rispetto ai quali, col deposito nel termine, i problemi concreti sarebbero stati risolvibili facilmente, trattandosi di formalità verificabile con precisione e assai meno foriera di discussioni processuali rispetto alla notifica.

Termini per l’impugnazione dell’ordinanza che ha acquisito efficacia di sentenza

Apparentemente, l’innovazione legislativa introdotta all’ultimo comma dell’art. 186 quater, in vigore dal 1 marzo 2006 non interferisce con i termini per impugnare l’ordinanza che abbia acquisito efficacia di sentenza, ma interviene soltanto nella determinazione del presupposto di ammissibilità dell’impugnazione, cioè il venire ad esistenza di una sentenza impugnabile.

Si può ritenere, tuttavia, che il diverso meccanismo introdotto non potrà che riflettersi in senso opportunamente contrario a quell’orientamento, cui s’è già fatto cenno, per cui la rinuncia alla sentenza, notificata e depositata dall’intimato, implicava il decorso a suo carico del termine breve per l’impugnazione.

Nella diversa prospettiva dell’attuale ultimo comma dell’art. 186 quater, tutto basato sull’acquisizione dell’efficacia di sentenza in forza della mera omissione di un’attività vincolata, gli argomenti spesi in passato dalla Suprema Corte non paiono più validi, ammesso li si condividesse.

Si dovrà dunque ritenere che l’acquisizione dell’efficacia di sentenza valga solo a renderla impugnabile rispettivamente nel termine breve e lungo a seconda che sia intervenuta o meno la notifica ad istanza di parte .

Quanto a ciò che, materialmente, vada notificato all’intimato per detto fine, andrebbe recuperato e adattato l’orientamento secondo cui era necessario notificare l’ordinanza con l’attestazione della cancelleria del deposito della notifica della rinuncia .

Ciò equivale a dire che oggi la cancelleria dovrebbe rilasciare copia dell’ordinanza con attestazione del mancato deposito del ricorso notificato con cui l’intimato avrebbe potuto chiedere la pronunzia della sentenza .

Detta copia “composita”, inoltre, non solo dovrebbe essere rilasciata per la notifica ex art. 325 cpc, ma anche per ogni altro fine per cui sia necessario far constare che l’ordinanza ha acquistato efficacia di sentenza.

Il caso più rilevante è quello in cui si debba supportare l’iscrizione d’ipoteca giudiziale: solo la sentenza può consentirla (art. 2818 c.c.), non l’ordinanza . Vi sono però anche diverse altre ipotesi .

Per quanto attiene il termine lungo, decorrerà dallo scadere dei trenta giorni di cui all’art. 186 quater ultimo comma cpc, momento cui si ricollega l’acquisto dell’efficacia di sentenza in capo all’ordinanza de qua.

Non pare accoglibile la pur suggestiva tesi secondo cui la manifestazione di volontà dell’intimato avrebbe valore di condizione risolutiva dell’efficacia del provvedimento anticipatorio con la conseguenza che, in difetto di essa, il dies a quo del termine lungo d’impugnazione andrebbe retroattivamente fatto decorrere dalla pronuncia dell’ordinanza stessa in udienza, o dalla sua comunicazione.

Sul piano letterale la norma afferma che detta efficacia viene “acquistata” dall’ordinanza se l’intimato non manifesta la volontà di ottenere la pronunzia della sentenza entro trenta giorni. Non pare quindi che essa abbia ab origine detta efficacia e che l’attività dell’intimato gliela tolga, piuttosto che si abbia una fattispecie a “formazione progressiva” in cui al mancato utilizzo, da parte dell’intimato, di una facoltà concessagli entro un certo termine, si determina uno specifico effetto processuale.

Sempre in riferimento al dies a quo per impugnare, per quanto il meccanismo attuale sia indubbiamente più snello del precedente, sembra però lasciare la parte intimata nella impossibilità di interporre impugnazione prima che sia decorso il termine di trenta giorni stabilito dall’ultimo comma dell’art. 186 quater visto che, medio tempore, l’ordinanza non avrebbe ancora acquisito efficacia di sentenza impugnabile.

Nel sistema precedente egli poteva subito effettuare la rinuncia, aprendosi così immediatamente lo spazio per l’appello.

Riteniamo che l’inconveniente non vada enfatizzato, perché trenta giorni non sono poi moltissimi.

Peraltro, si tratta di un falso problema risolvibile attraverso i principi generali: dato che è facoltà del solo intimato evitare con il ricorso l’effetto previsto dalla norma, e che ad essa parte è concesso un certo spatium deliberandi, non si vede ragione per escludere che l’intimato possa manifestare anche subito la volontà (non già di ottenere ma) di non ottenere la pronunzia della sentenza, attraverso un atto espresso che anticipi gli effetti che scaturirebbero dopo trenta giorni dall’omissione di un atto di segno contrario.

La contumacia dell’intimato.

Oggi l’effetto tipico della “conversione” dell’ordinanza in sentenza deriva da un fatto omissivo, per cui è legittimo porsi la domanda se possa valere anche per il caso di intimato contumace, al quale l’omissione non può di norma essere imputata come consapevole scelta processuale.

La questione non è di poco conto, perché sarebbe opportuno avere certezza di quando l’ordinanza acquista efficacia di sentenza impugnabile e questo nell’interesse non solo dell’intimato, ma anche dell’altra parte, che pure ha il giusto desiderio di conoscere quando l’ordinanza diviene sentenza e, dunque, se come tale può notificarla al fine di far decorrere il termine breve per l’appello contro l’intimato contumace, ovvero per calcolare quando passerà in giudicato per decorso del termine lungo (art. 327).

Anche essa, inoltre, potrebbe volerla impugnare in caso di accoglimento solo parziale delle proprie richieste

Orbene, va anzitutto escluso che sussista un onere di comunicazione o notificazione dell’ordinanza al contumace .

Se è pur vero che, sul piano letterale l’art. 186 quater ultimo comma fa decorrere il termine per “opporsi” alla tendenziale “trasformazione” dell’ordinanza in sentenza dalla sua pronunzia in udienza o dalla comunicazione dell’ordinanza (art. 134 cpc), il riferimento alla comunicazione non vale a prescrivere autonomamente l’obbligo di sua comunicazione al contumace, ma solo a richiamare il quadro derivante dagli articoli 170 e 292 cpc.

Pertanto, non rientrando il caso nel disposto dell’art. 292, 1° comma, l’ordinanza in questione non andrà comunicata né notificata al contumace medesimo (art. 292, 3° comma), ma solo alla parte costituita .

D’altronde, non sussistendo obbligo di comunicare al contumace il dispositivo della sentenza, parrebbe eccessivo sostenere che vi sia obbligo di notiziarlo di un’ordinanza, per quanto potenzialmente idonea ad assumere efficacia di sentenza.

Sul piano sistematico, milita a favore della decorrenza del termine di trenta giorni contro il contumace sia la chiara voluntas legis di accelerare la definizione del giudizio, sia il fatto che, a ben vedere, la mera “trasformazione” dell’ordinanza in sentenza non è di per se stessa lesiva del diritto del contumace di contestare con l’appello l’ordinanza medesima, possibilità che, evidentemente, viene ormai sussunta come evenienza tendenzialmente fisiologica dall’ordinamento, che assume rilievo prima che come scelta processuale, per quanto in forma omissiva, nella sua oggettività.

Resta il problema di stabilire il dies a quo del decorso dei trenta giorni contro il contumace.

La soluzione corretta pare quella di farlo decorrere, nel caso di pronunzia in udienza, dalla data dell’udienza stessa; nel caso di pronunzia fuori udienza, dal deposito dell’ordinanza in cancelleria. Vale qui il principio per cui quando un termine, per le parti costituite, decorrere dalla comunicazione del provvedimento, per le parti contumaci, rispetto alle quali comunicazione non è prevista, decorre dalla pubblicazione del provvedimento stesso

Non s’ignora che la Suprema Corte ha stabilito che ove la comunicazione del dispositivo della sentenza non sia previsto, come nel caso del contumace, il termine per proporre il regolamento di competenza sarebbe quello annuale e non già quello di 30 giorni di cui all’art. 47 cpc .

Ma, a parte le critiche anche condivisibili cui tale orientamento è stato sottoposto , una cosa è il decorso del termine dell’impugnazione, altra cosa è il decorso di un termine endoprocessuale al cui spirare, tra l’altro, non si ricollega alcun effetto definitivo: l’unico effetto della mancata manifestazione di volontà da parte dell’intimato è che le sue doglianze dovrà farle valere con l’appello e non più attraverso la “revoca” dell’ordinanza nell’ambito della sentenza di primo grado.

Inutile dire, infine, che il contumace, ove mai faccia ricorso per la pronuncia della sentenza, dovrebbe anche costituirsi in giudizio, perché non può valere nel regime attuale il principio elaborato dalla Cassazione secondo cui la rinuncia alla sentenza potrebbe farla anche la parte personalmente, non essendo detta rinuncia espressione dello ius postulandi , essendo evidentemente necessario che la parte sia munita di rappresentanza tecnica affinché la causa sia decisa .

L’estinzione del giudizio

A fronte del fatto che l’efficacia di sentenza potrebbe essere celermente acquisita dall’ordinanza entro 30 giorni, si è detto che la nuova disposizione avrebbe reso ultroneo e superfluo il meccanismo per cui con l’estinzione del giudizio l’ordinanza acquista efficacia di sentenza impugnabile .

In realtà alla norma residua uno spazio significativo e, comunque, necessario.

Una prima ipotesi da tener presente è quella in cui la fattispecie estintiva maturi dopo che l’intimato abbia dichiarato, nei termini e nelle forme previste, di volere la pronunzia della sentenza.

In questo caso, l’ordinanza non ha potuto e non potrà più assumere efficacia di sentenza ex art. 186 quater ultimo comma, nondimeno potrà acquisirla in virtù dell’estinzione del giudizio. La dichiarata volontà di ottenere la pronunzia da parte dell’intimato non significa che la sentenza vi sarà davvero, ben potendo la causa estinguersi nel proseguo, per mancata riassunzione dopo un evento interruttivo o sospensivo, ovvero per mera inattività delle parti.

Da notare che, lungi dall’essere divenuta superflua, la previsione dell’estinzione come fattispecie determinativa dell’acquisto di efficacia di sentenza vale anche ad evitare che, ove l’intimato abbia chiesto ritualmente la pronuncia della sentenza, l’altra parte non debba farsi obbligatoriamente carico di condurre il giudizio a sentenza.

Se mancasse infatti questa disposizione “di chiusura”, con l’estinzione del giudizio non soltanto l’ordinanza non acquisterebbe efficacia di sentenza ma, addirittura, perderebbe ogni valore.

Infatti, non è previsto che di essa sopravviva all’estinzione anche solo la mera esecutività (cfr. l’art. 186 bis per simile effetto quanto all’ordinanza di pagamento somme non contestate) e tantomeno che l’ordinanza divenga definitiva (cfr. 186 ter, ove richiama l’art. 653, 3° comma cpc).

Una seconda ipotesi è quella in cui si verifichi un evento interruttivo del processo durante il termine dei trenta giorni entro il quale l’intimato può notificare all’altra parte la sua volontà di ottenere la pronunzia della sentenza.

S’immagini il caso in cui l’evento interruttivo colpisca l’intimato o il suo difensore: non è certo possibile né esigibile che durante l’interruzione l’intimato manifesti la volontà che sia pronunziata la sentenza, dunque la “trasformazione” dell’ordinanza in sentenza impugnabile non potrebbe maturare se non dopo la riassunzione del processo.

Infatti, durante l’interruzione i termini sono sospesi (cfr. art. 303 cpc, che richiama l’art. 298 cpc in tema di sospensione), per cui non può nemmeno compiersi quello di trenta giorni previsto dall’ultimo comma dell’art. 186 quater cpc che riprenderà a decorrere solo con la nuova udienza successiva all’interruzione (art. 298 secondo comma cpc).

Pertanto, se non esistesse il meccanismo per cui l’estinzione determina l’acquisto dall’efficacia di sentenza all’ordinanza in questione, si renderebbe sempre necessario riassumere il processo contro l’intimato (o i suoi eredi) e poi verificare se essi, una volta che riprendano a decorrere i termini dell’art. 186 quater ultimo comma, li lascino o meno spirare senza chiedere la pronunzia della sentenza.

le CONCLUSIONI

La cd. ordinanza / sentenza, con la modifica introdotta nel 2006, ha per certi versi assunto maggiore snellezza e praticità.

Resta nondimeno un istituto processuale irrisolto nella sua effettiva portata pratica, date le numerose problematiche che implica non solo sul piano dei presupposti in fase di emissione (aspetto su cui non ci siamo soffermati), ma anche per il dopo la sua pronuncia, sussistendo numerose incertezze tecniche ed operative.

Pare quindi abbastanza chiaro che, salvo un nitido ripensamento, il 186 quater sia destinato ad una certa marginalità nel contesto del processo tanto più che in suo luogo, nei debiti e consoni casi, potrebbe farsi ricorso con ben minori difficoltà sul versante del dopo, alla sentenza ex art. 281 sexies cpc.