>. Sinteticamente si potrebbe optare per un’abrogazione implicita delle disposizioni in oggetto, ma sarebbe errato. In effetti, la novella legislativa si è limitata a riscrivere solo alcuni articoli del codice di procedura civile (artt. 706 e ss. c.p.c.) e non si è preoccupata di riportare tutte quelle disposizioni stabilite per il processo di separazione e divorzio. Questo comporta un duplice ordine di ragionamento:
- le disposizioni in materia di divorzio che non sono state richiamate, non sono, per questo motivo, automaticamente abrogate;
- tali disposizioni sono necessarie e della loro applicabilità nessuno ha mai dubitato.
Ante riforma.
L’art. 708, comma 4, c.p.c., nella sua formulazione ante riforma, disponeva che, al verificarsi del mutamento di circostanze, l’ordinanza emessa dal presidente del tribunale, a norma dell’art. 708, comma 3, c.p.c., era modificabile o revocabile dal giudice istruttore della causa di merito.
Il giudice di merito era, quindi, titolare di un potere molto ampio, che finì per essere oggetto di molteplici interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali contrastanti.
Un primo orientamento giurisprudenziale sosteneva che il potere del giudice istruttore, nella valutazione del mutamento delle circostanze, fosse incondizionato e privo di limitazioni. Questo orientamento riteneva, nel caso specifico, che rientrassero nella competenza del giudice istruttore, nel corso del giudizio di separazione, tutte le questioni concernenti non soltanto la revoca e la modifica, per effetto di circostanze sopravvenute, ma anche l’interpretazione e l’integrazione dei provvedimenti temporanei e urgenti adottati nella fase presidenziale del giudizio stesso.
La giurisprudenza dei primi anni ’80 riteneva, al contrario, che il potere del giudice istruttore di modificare o revocare le ordinanze presidenziali fosse circoscritto alla sola temporaneità e urgenza dei provvedimenti medesimi. Elementi dai quali non poteva decampare, senza che cadesse nell’eccesso determinante la nullità per difetto dei presupposti che lo avrebbero dovuto legittimare a tale atto.
In sostanza, in base alla normativa precedente, i provvedimenti presidenziali non erano assoggettati ad alcuna forma di controllo in senso proprio, ma semplicemente a una valutazione del giudice istruttore, capace di revocarli o modificarli sempre e sulla base di una diversa opinione in materia.
Post riforma.
La l. n. 80/2005 ha abrogato il quarto comma dell’art. 708 c.p.c. e, successivamente, ad opera della legge 8 febbraio 2006, n. 54 è stato introdotto il nuovo quarto comma del suddetto articolo, il quale dispone che contro i provvedimenti di cui al terzo comma dell’art. 708 c.p.c. si può proporre reclamo con ricorso alla Corte d’appello che si pronuncia in Camera di consiglio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento.
LE NORME
Codice di procedura civile.
- Art. 708 c.p.c.: tentativo di conciliazione e provvedimenti del presidente.
- Art. 709, comma 4, c.p.c.: notificazione dell’ordinanza e fissazione dell’udienza.
LA FATTISPECIE
Come si è giunti alla “reclamabilità” dei provvedimenti presidenziali?
Il processo familiare, fin dalle originarie regole del codice di rito (art. 708 c.p.c. – art. 189, comma 2, disp. att. c.p.c.), ha sempre manifestato la necessità inderogabile che il processo di muovesse, senza dilazioni, verso la tutela dei diritti: una tutela tempestiva. Tale necessità era supportata dall’esistenza di un substrato normativo caratterizzato da molteplici stratificazioni legislative che avevano creato una vera e propria involuzione nell’ambito del processo di separazione e divorzio; processo che, al contrario, avrebbe dovuto avere una regolamentazione chiara e unica, vista la delicatezza della materia.
Il processo familiare necessitava di un intervento dinamico, che riuscisse a cogliere l’essenza della famiglia, non concepita come un istituto passivo, bensì attivo e in continua evoluzione.
A questo scopo era stato introdotta una misura di carattere anticipatorio, fondata su una cognizione allo stato degli atti, affidata al presidente del tribunale nella fase preliminare del processo per separazione e divorzio, che avesse una peculiare stabilizzazione anche in caso di estinzione del processo (art. 189, comma 2, disp. att., c.p.c.) e allo stesso tempo modulabile alla luce del cambiamento della fattispecie nel tempo. Ciò grazie al potere di revoca e modifica attribuito al giudice della fase di merito (art. 708, comma 4, c.p.c.).
L’istituto familiare necessitava di una stabilità, almeno temporanea, visto che quella definitiva era raggiungibile solo al termine dei tre gradi di giudizio.
Il mezzo anticipatorio, ad hoc creato, concretizzava una tutela anticipatoria degli effetti esecutivi della sentenza di merito, caratterizzata dalla forma dell’ordinanza, fondata su una cognizione sommaria dinanzi al presidente e destinata a colmare una dilazione provocata dalle forme del processo a cognizione piena.
Il tutto in soddisfazione di un’esigenza, latu sensu cautelare, poiché una tutela tardiva o non effettiva provocava un pregiudizio letale del diritto, tanto che la distinzione con gli strumenti cautelari si rendeva evanescente.
Si introduce così una regola, che offre un minimo di certezza in relazione al rapporto controverso, a cui le parti possono medio tempore ispirare le loro condotte e sulla quale le stesso possono spegnere il conflitto, senza che l’abbandono della tutela nelle forme ordinarie che conducono al giudicato possa incidere sull’efficacia dell’anticipazione, che continua a costituire la regola.
Tutto il nodo interpretativo sull’applicazione delle norme dettate in materia cautelare si poneva in rapporto al contenuto dell’art. 708 c.p.c.
L’art. 708, comma 4, c.p.c., così come risulta modificato dalla legge di riforma dispone che contro i provvedimenti provvisori emessi dal presidente con ordinanza, si possa proporre reclamo alla Corte d’appello, la quale si pronuncia in camera di consiglio.
Numerose sono le sentenze che stabiliscono la non procedibilità del reclamo proposto avverso un provvedimento presidenziale assunto prima dell’entrata in vigore della novella legislativa.
Per quello che attiene ai reclami avverso i provvedimenti presidenziali emessi successivamente a questa data, è necessario riflettere come il dettato normativo sia intervenuto a risolvere una vecchia questione che aveva coinvolto giurisprudenza e dottrina che, in via maggioritaria, ritenevano il provvedimento presidenziale sottratto a qualsiasi forma di reclamo e soggetto solo alla possibilità di modifica o revoca ad opera del giudice istruttore ex art. 177 c.p.c.
Una posizione minoritaria riteneva, al contrario, che i provvedimenti potessero essere impugnati proprio ex art. 669-terdecies c.p.c. (Tribunale di Genova – Tribunale di Rovereto).
Teoria negativa del reclamo.
Per molto tempo la reclamabilità dei provvedimenti presidenziali è stata negata in ragione dell’impossibilità di considerare cautelari provvedimenti che non necessitavano della successiva introduzione del giudizio di merito.
Le opinioni a sostegno di questa affermazione sono molteplici.
Parte della dottrina sosteneva che i provvedimenti temporanei ed urgenti non potessero essere oggetto di reclamo perché:
- erano il risultato di un impulso ufficioso del presidente,
- erano caratterizzati dall’ultra-attività della stessa ordinanza in caso di estinzione del processo ai sensi dell’art. 189, comma 2, disp. att. c.p.c.
Questa teoria negativa risultò ben presto estremamente deludente e facilmente contestabile, considerato che:
- per quanto attiene alla prima affermazione, essa non teneva conto che la principale esperienza cautelare fallimentare ex art. 146, comma 3, della legge fallimentare, anteriore alla riforma era priva di domanda;
- per quanto attiene, invece, alla seconda affermazione, essa non chiariva che, in teoria, l’ultra-attività doveva essere contrastante con un cardine primario ed essenziale del processo cautelare, ossia la successiva introduzione del giudizio di merito, a pena di decadenza.
Posizione, quest’ultima che si dimostrava, a sua volta, estremamente fragile, e criticata da autorevole dottrina (Cipriani e Cea), attraverso il richiamo all’art. 669-octies c.p.c., secondo il quale i provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito conservano la loro efficacia, anche se il processo si estingue.
Questa tesi risultava inattaccabile su un punto fondamentale: il provvedimento presidenziale ha natura anticipatoria della sentenza di merito.
Altra parte della dottrina (Tommaseo – Andolina – Costantino) riteneva l’applicazione delle regole proprie del processo cautelare potessero essere applicate ai provvedimenti ex art. 708 c.p.c., comma 3, sulla base dell’estensione dell’art. 669-quaterdecies c.p.c., il quale in effetti, nello stabilire l’ambito di applicazione delle regole proprie del rito cautelare uniforme, non ne esclude il riferimento ai procedimenti di separazione e divorzio.
I paladini di questa tesi sostengono che sia legittima un’applicazione analogica delle norme sul procedimento cautelare per colmare le lacune riscontrabili in procedimenti che, se pur non cautelari nell’essenza, ne perseguono il fine e ne hanno la funzione.
Altra parte della dottrina (Cecchella) sostiene che i provvedimenti sommari non cautelari, come i provvedimenti presidenziali, possano avere un contenuto identico alle misure cautelari, ovvero integralmente anticipatorio degli effetti della sentenza di merito, incidendo in tal modo sul diritto delle parti, ma questo non significa che la natura sia identica.
L’ordinanza del tribunale di Genova
Il tribunale di Genova, con ordinanza del 2 maggio 2006, non contrastava la costruzione prevalente in dottrina sulla natura non cautelare dei provvedimenti temporanei ed urgenti, ma evidenziava, correttamente, la necessità di un’estensione della disciplina, anche se si pronunciava soprattutto con riferimento alle fattispecie ordinate dal giudice istruttore.
Il tribunale in questione non si era espresso a favore della reclamabilità delle ordinanze presidenziali, perché queste erano modificabili o revocabili dal giudice istruttore, sulla base di quanto disposto dall’art. 709, ultimo comma c.p.c., il quale riproduce l’abrogato ultimo comma dell’art. 708 c.p.c.
Il tribunale di Genova, nell’ordinanza in oggetto, ribaltava l’orientamento prevalente, tutto concentrato a risolvere il problema della cautelarità o meno dei provvedimenti presidenziali e sosteneva la non reclamabilità dei provvedimenti presidenziali, in quanto essi risultavano modificabili e revocabili sulla base dell’art. 709, ultimo comma c.p.c. e affermava, per la prima volta, la reclamabilità dei provvedimenti del giudice istruttore sulla base dell’art. 669-terdecies c.p.c.
Questa tesi si scontrava con il contenuto dell’art. 669-decies, comma 1, c.p.c., il quale dispone che l’istanza di revoca e modifica possa essere proposta al giudice istruttore salvo che sia stato proposto reclamo ai sensi dell’art. 669-terdiecies c.p.c.
Il concorso fra questi due istituti è regolato in modo tale che essi non si sovrappongano.
Una volta pronunciata l’ordinanza cautelare, la parte che si ritenga dalla stessa lesa, può percorrere l’una o l’altra strada, a seconda dei motivi che intende far valere.
Qualora ritenga sussistente i presupposti per il reclamo, ogni fatto successivo che potrebbe giustificare una richiesta di modifica dovrà essere fatto valere al giudice del reclamo.
Una volta chiusasi la fase del reclamo, tuttavia, il provvedimento relativo potrà nuovamente essere oggetto di revoca o modifica da parte del giudice istruttore solo qualora si alleghino mutamenti sopravvenuti rispetto al giudizio del reclamo.
Il quesito che ne deriva è questo: visto che non esiste un coordinamento legislativo fra le norme in commento e i provvedimenti ex art. 708 c.p.c. le nuove norme di riferimento devono essere lette così come sono scritte, oppure possono essere sostituite dalla corrispondente disciplina propria del rito cautelare uniforme?
Le soluzioni sono due e fra loro antitetiche:
A) o si ritiene, sulla base della lettera della legge, che il provvedimento presidenziale, pur confermato o riformato dal giudice del reclamo, rimanga modificabile ad opera del giudice istruttore, a prescindere da ogni modificazione delle circostanze di fatto;
B) oppure si accede ad una lettura modificativa delle regole dettate dal nuovo art. 709, ultimo comma, c.p.c., in tema di modifica e si ritiene, in sintonia con quanto dispone il rito cautelare uniforme, che le successive modifiche possano trovare la loro giustificazione esclusivamente nel sopravvenuto verificarsi di mutamenti nelle circostanze, o nell’allegazione di fatti anteriori di cui sia stata acquisita conoscenza successiva al provvedimento cautelare e ciò ad esclusione di quanto sia stato proposto con reclamo.
Questa tesi, tuttavia, mal si concilia con quella speciale e tipica che prevede la libera modificabilità ad opera del giudice istruttore a prescindere dal sopravvenire di nuove circostanze.
Teoria affermativa del reclamo.
Il legislatore del 2005, di fatto, non si è pronunciato sulla natura dell’impugnabilità dei provvedimenti presidenziali, ma ha modificato l’art. 669- octies, comma 6, c.p.c., stabilendo che i provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito conservano la loro efficacia anche se il procedimento si estingue. Non essendo possibile confutare che il provvedimento presidenziale abbia natura anticipatoria della sentenza di separazione e divorzio, non sarà più possibile ritenere inapplicabile a questi giudizi la reclamabilità dei provvedimenti presidenziali o dei provvedimenti del giudice istruttore.
Con la modifica dell’art. 669-octies c.p.c. il legislatore della riforma ha fatto venire meno uno dei principali argomenti sui quali dottrina e giurisprudenza si basavano per negare la natura cautelare dei provvedimenti in esame.
Inoltre, rimane in vigore anche il disposto dell’art. 189, comma 2, disp. att. c.p.c., il quale dispone che i provvedimenti conservano la loro efficacia anche dopo l’estinzione del procedimento, finchè non sia sostituita con altro provvedimento emesso dal presidente o dal giudice istruttore a seguito di nuova presentazione del ricorso per separazione personale dei coniugi.
E’ da ammettersi la reclamabilità, non soltanto dell’ordinanza di accoglimento, ma anche dell’ordinanza di rigetto della domanda di una delle parti. Questo in rapporto alla sentenza della Corte costituzionale n. 253/94, la quale ha dichiarato illegittimo l’art. 669-terdecies c.p.c. nella parte in cui non prevedeva il reclamo avverso il provvedimento di rigetto della domanda cautelare.
Rapporti tra reclamo e revoca – modifica del giudice istruttore e quali sono i presupposti?
La stratificazione degli ultimi interventi normativi, come di consueto frammentari e scoordinati fra loro, faceva convivere disposizioni poco coordinabili: il riesame e la revocabilità ad nutum da parte del giudice istruttore.
Di fronte a un problema di questo tipo, la soluzione migliore sarebbe stata quella di affidare la revisione al gravame e la revoca del giudice istruttore alle sole sopravvenienze.
La normativa non ha questa sensibilità e quindi la soluzione ricade sull’interprete. Solo i provvedimenti presidenziali sono assistiti da un ampio potere di revoca e modifica del giudice istruttore, con presupposti ad nutum, mentre non lo sono i provvedimenti del giudice istruttore.
La normativa merita una lettura restrittiva. Ne discende che i provvedimenti dettati in sede di reclamo dalla Corte d’appello, come anche i provvedimenti dello stesso giudice istruttore, per la ragione che ci fa ritenere normativa di riferimento generale la disciplina del processo cautelare, possono essere revocati o modificati solo in caso di sopravvenienza o dalla deduzione di fatto non allegati e ignorati nella fase precedente (art. 669-decies c.p.c.). Sono così fugati i dubbi circa il potere di rendere vana la pronuncia della Corte d’appello (o anche la riforma del suo stesso provvedimento in prime cure).
Saranno, perciò revocabili e modificabili, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 709 c.p.c., i soli provvedimenti presidenziali, prescindendo da sopravvenienze o deduzioni di nuovi fatti ignorati.
Si pongono, tuttavia, dei problemi di coordinamento: allora, non esitiamo, ancora una volta, a richiamare l’analoga materia cautelare, applicando l’art. 669-terdecies, comma 4, c.p.c., ovvero, una volta che è stato introdotto il reclamo, questo assorbe in sé ogni tutela, sia essa generata dalla semplice revisione o, piuttosto, dalla necessità di esaminare un fatto storicamente nuovo o semplicemente ignorato, con una prevalenza del reclamo su revoca e modifica.
Se al contrario, è richiesta la revoca o modifica, nulla esclude che il reclamo possa essere introdotto.
Quanto alla stabilità degli effetti delle ordinanze in questione, ossia quella presidenziale e quella del giudice istruttore, è necessario dire che tale stabilità non consente l’irrevocabilità del giudicato, neppure in caso di estinzione del processo.
Non è, però, corretto pensare a una preclusione pro iudicato, alla quale consegua la stabilità degli effetti esecutivi temporanei ed urgenti che si sono perfezionati. Niente di nuovo, visto che si tratta di una regola che contraddistingue tutti i provvedimenti sommari anticipatori, siano essi cautelari e non.
Ne deriva che in caso di revoca o modifica pronunciata dal giudice istruttore oppure di revoca conseguente ai risultati del gravame, oppure, ancora, di revoca discendente dalla sentenza dichiarativa finale di primo grado, la misura viene travolta e non soltanto non può più essere fonte di nuovi atti esecutivi, ma caduca con sé, per dipendenza, anche gli atti esecutivi già compiuti, concedendo alla parte un’azione di ripetizione.
In questa materia e non soltanto, la giurisprudenza non ha manifestato aperture in proposito; bensì propone una diversa efficacia secundum litis. Quindi, quando la revoca o modifica implica un incremento del diritto tutelato si è ritenuta pacifica la retroattività dell’effetto di revoca e modifica. Al contrario, quando l’esito della revoca o modifica è riduttivo del diritto, per una incomprensibile tutela dell’affidamento, si è costruito una portata comunque preclusiva di un’azione di ripetizione della misura, benché revocata o modificata, facendosi salvo solo il caso della responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c.
Il tribunale di Trani
I giudici del tribunale di Trani, con un’ordinanza del maggio 2006, si sono espressi nel senso della necessità di sottoporre a controllo anche le misure con le quali il giudice istruttore modifica o revoca i precedenti provvedimenti presidenziali e, inoltre, affermano che il novellato art. 708, comma 4, c.p.c., sia lontano dal sancire uno statuto di impugnabilità esclusivo delle misure presidenziali.
Secondo l’orientamento di questo tribunale, non è ipotizzabile che due situazioni identiche siano regolate in modo diverso e, soprattutto, che il riesame si giustifichi solo per i provvedimenti presidenziali e non anche per i provvedimenti del giudice istruttore, che hanno la stessa natura e lo stesso contenuto.
Tuttavia, nel silenzio della legge, esistono argomenti affermativi e negativi di tale tesi.
A favore della corte di seconda istanza parrebbero invocabili, analogicamente, le nuove norme in materia cautelare, che devolvono al giudice del reclamo la cognizione su tutti i fatti nuovi verificatisi dopo la proposizione dello stesso (nuovo art. 669-terdecies, comma 4, c.p.c.).
A questo argomento si può facilmente opporre che l’ordinanza presidenziale, secondo la tesi dominante in dottrina, non ha natura cautelare ed è pertanto da escludere che ad essa sia applicabile, in via analogica ed automatica, quanto oggi previsto dal nuovo procedimento cautelare uniforme.
Inoltre, una simile interpretazione, allatto pratico, si rivelerebbe inidonea ad assicurare il provvedimento richiesto nei tempi molto rapidi che spesso sono necessari perché la tutela sia effettiva. E’ evidente, infatti, che anche in condizioni fisiologiche, le possibilità che una corte d’appello ha di fornire questo tipo di risposta giudiziaria in tempi celeri sono infinitamente più basse di quelle di un tribunale. Basti pensare al fatto che generalmente la corte è dislocata territorialmente più lontano dalla parte richiedente rispetto al tribunale, o al fatto che necessariamente la corte dovrebbe decidere collegialmente, mentre avanti al tribunale la revoca o modifica compete al giudice istruttore.
A favore del giudice istruttore, sono invocabili gli artt. 709, comma 4, c.p.c. e 4, comma 8, legge sul divorzio, nella parte in cui non prevedono alcuna sospensione del potere revocatorio in pendenza del reclamo. Certo una simile opzione, che appare preferibile, costringe a fare i conti con l’eventualità che la revoca o modifica dell’ordinanza presidenziale intervengano quando è ancora in corso il giudizio di reclamo. Non mi pare una difficoltà insormontabile, potendo essere superata con la dichiarazione di cessazione della materia del contendere nel procedimento pendente avanti alla Corte d’appello.
Orientamento della Corte d’appello di Milano
La Corte d’appello di Milano si è fatta paladina di un’interpretazione restrittiva, in base alla quale sarebbero reclamabili i provvedimenti provvisori emanati dal presidente con esclusione di quelli di revoca e modifica del giudice istruttore.
Questo orientamento sarebbe supportato dal dato normativo. Per esigenze sistematiche il provvedimento della Corte d’appello sarebbe, poi, dotato di una certa stabilità, in quanto revocabile o modificabile dal giudice istruttore solo sulla base del sopraggiungere di nuove circostanze di fatto, secondo il sistema che è proprio del rito cautelare uniforme. Un eventuale provvedimento di revoca o modifica successivo del giudice istruttore sarebbe invece soggetto all’art. 709, ultimo comma, c.p.c.
In questo modo reclamo e revoca-modifica, si porrebbero come due rimedi alternativi e il sistema troverebbe una sua quadratura: una speciale disciplina della libera modificabilità dei provvedimenti del giudice istruttore, alla quale farebbe da contrappeso la loro esclusione dal reclamo.
LA GIURISPRUDENZA
- Trib. Lucera 28 gennaio 1967, Serra c. De Peppo, in Giur. Merito, 1970, I, 574, n. Cola
- Trib. Roma 31 luglio 1995, Bevilacqua c. Limetani, in Nuovo Dir., 1996, 76, n. Sagna.
- Trib. Bari 23 dicembre 2004, in Foro It., 2005, I, 1244.
- Trib. Trani 26 novembre 1997, Coppola c. Tempesta, in Foro It., 1998, I, 232.
- Trib. Genova 10 gennaio 2004, R. c. F., in Foro It., 2004, I, 931.
- Trib. Genova 10 maggio 2004, T. c. D, in Foro It., 2004, I, 2534, n. Cipriani, Proto Pisani.
- Trib. Genova 22 novembre 2004, in Foro It., 2005, I, 1591.
- Trib. Rovereto 18 febbraio 2005, in Foro It., 2005, I, 1491.
- App. Cagliari, 18 luglio 2006, in Foro it., 2006, I, 3242.
- Cass. 12 giugno 2006, n. 13596.
LA DOTTRINA
Si riportano i riferimenti dottrinali più significativi, sia monografie che articoli pubblicati su periodici specializzati.
Per ulteriori approfondimenti dottrinali.
- BOVE M. – CECCHELLA C., Il nuovo processo civile, Guida al Diritto, il Sole 24 ORE, Milano, 2006.
- CARBONE V., <>, in “Famiglia e Diritto”, n. 4/2006.
- CEA C. M., <>, in “Riv. Dir. Civ.” 2006, II, 103 ss.; Id, <>”, nota a Trib. Genova, ord. 2 maggio 2006 e Trib. Trani, ord. 28 aprile 2006, in “Foro It.”, 2006, n. 7-8, pp. 2214-2222.
- CECCHELLA C. - VECCHIO G., Il nuovo processo per separazione e divorzio, in Guida al nuovo processo civile, a cura di C. Cecchella, Il Sole 24 ORE, Milano, 2006.
- CECCHELLA C. – AMEDEI D. – BUONCRISTIANI D., Il nuovo processo ordinario e sommario di cognizione, Guida al nuovo processo civile, Il Sole 24 ORE, Milano, 2006.
- CIPRIANI F., <>, in “Foro It.”, 2004, I, 2534.
- LUISO F. P. –SASSANI B., La riforma del processo civile, Milano, 2006.
- MARINO M., <>, Nota a Corte Cost., [ord.], 5 novembre 1996, n, 389, Cosatto c. Di Chiara, in “Famiglia e Diritto”, 1007, 5; Id, Separazione e divorzio, Guida al diritto, il Sole 24 ORE, Milano, 2006.
- SALVANESCHI L., <>, in “Corriere giuridico”, 1995, vol. I; Id, <> in “Riv. Dir. Proc.”, 1994, 1063 ss; Id, <>, in “Famiglia e Diritto”, n. 4/2006.
LE CONCLUSIONI
La novella legislativa può, dal mio punto di vista, essere analizzata e criticata, sotto diversi profili.
Quanto al reclamo, con i suoi interventi frammentari e scoordinati ha dato vita a un istituto con connotazioni particolari, che potrebbe essere definito “ibrido”, ossia a un istituto che presenta caratteristiche proprie sia del rito cautelare uniforme che del rito camerale. Infatti, similmente all’art. 739 c.p.c., il termine per proporre reclamo decorre dalla notifica e coincide con 10 giorni e ciò, contrariamente a quanto dispone l’art. 669-terdecies c.p.c. nella sua formulazione post riforma, il quale, invece individua il dies a quo nella comunicazione e lo fissa in 15 giorni.
Per il resto, la disposizione tace rinviando genericamente al rito camerale. Così facendo, il legislatore, ha assunto una posizione a favore della qualificazione formale dell’udienza presidenziale, quale procedimento di volontaria giurisdizione. Poiché è previsto che il reclamo, alla Corte d’appello avverso il procedimento presidenziale, debba essere proposto nel termine perentorio di 10 giorni dalla notificazione di tale provvedimento, appare difficile che possa prescindersi dalla notifica a cura della parte interessata e, quindi, ritenere sufficiente che il termine decadenziale decorra dalla data di emanazione in udienza o dalla data della comunicazione da parte della cancelleria del provvedimento emesso fuori udienza.
Sarà, quindi, cura della parte interessata, che venga comunque a conoscenza del provvedimento presidenziale, di richiedere tempestivamente la notifica alla controparte al fine di provocare al più presto la stabilità del provvedimento presidenziale non reclamato in termini.
Inoltre, vale la pena di aggiungere che alcuni sostengono, e qui si condivide, la tesi che prende in considerazione il contenuto dell’art. 742-bis c.p.c., relativa all’ambito di applicazione del rito. Questa norma è una norma di chiusura che consente l’estensione dei procedimenti in camera di consiglio anche a materie diverse da quella riguardante la famiglia e lo stato delle persone. Quindi, sarebbe possibile un’estensione analogica dell’applicazione del rito camerale anche ai procedimenti di separazione e divorzio.
E’inoltre da ammettersi la reclamabilità dell’ordinanza di accoglimento, ma anche dell’ordinanza di rigetto della domanda di una delle parti. Ciò in rapporto con quanto dispone la sentenza della Corte Costituzionale n. 253/1994, la quale ha dichiarato illegittimo il presente art. 669-terdecies c.p.c. nella parte in cui non prevedeva il reclamo avverso il provvedimento di rigetto della domanda cautelare.
Quanto al problema relativo ai rapporti fra revoca e modifica da parte del giudice istruttore, e quindi più precisamente, il rapporto fra art. 708 c.p.c. e art. 709 ultimo comma, c.pc., si ritiene che non sia ipotizzabile che due situazioni identiche (provvedimenti temporanei e urgenti presidenziali e provvedimenti di revoca e modifica del giudice istruttore) siano regolate in modo diverso e, soprattutto, che il riesame si giustifichi solo per i provvedimenti presidenziali e non per i provvedimenti del giudice istruttore, i quali hanno la stessa identica natura, lo stesso contenuto e possono coincidere con i primi in sede di revoca e modifica.
Si condivide l’orientamento del tribunale di Trani il quale, come sopra ampiamente detto, stabilisce che l’art. 708, comma 4, c.p.c. è lontano dal negare l’impugnabilità esclusiva delle misure presidenziali. Ne consegue che, a rigor di logica, visto che è stata prevista normativamente la competenza della Corte d’Appello esclusivamente per i provvedimenti presidenziali, le ordinanze del giudice istruttore sono assoggettate al reclamo in base alle norme del rito cautelare uniforme. In conclusione i poteri di revoca e modifica del giudice istruttore non sono illimitati, ma vanno circoscritti ai limiti previsti dall’art. 669-decies c.p.c.