Il punto sull'art. 709 ter.Il punto sulla giurisprudenza in tema di art. 709ter c.p.c.
Sara Maffei
Art. 709ter.
(Soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni)
Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della potestà genitoriale o delle modalità dell’affidamento è competente il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all’articolo 710 è competente il tribunale del luogo di residenza del minore.
A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:
1) ammonire il genitore inadempiente;
2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;
3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;
4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.
I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari.
(1. Introduzione 2. Sulla natura delle misure di cui all’art. 709ter c.p.c. 3. L’ambito di applicazione 4. La competenza come problema 5. Sull’applicabilità d’ufficio delle misure ex art. 709ter c.p.c. 6. Il procedimento e le sue forme 7. Sulle modalità d’individuazione della misura da applicare: in particolare la necessità della prova del danno 8. L’impugnabilità dei provvedimenti ex art. 709ter c.p.c. come problema)
1. Introduzione
Con la volontà di garantire maggiormente la tutela del minore, in particolare con riferimento alle possibili controversie tra genitori concernenti l’affidamento e l’esercizio della potestà, il Legislatore, con la legge 8 febbraio 2006 n. 54, ha introdotto nel nostro ordinamento una nuova disposizione: l’art. 709ter c.p.c. Il Legislatore, compresa l’inadeguatezza delle forme tradizionali dell’esecuzione forzata nell’ambito dei processi familiari, ha fornito il giudice di strumenti maggiormente idonei qualora debba fronteggiare l’attuazione concreta dei provvedimenti dettati in materia di affidamento e consegna dei minori. Il dettato che ne discende traccia una disciplina di non semplice lettura, che ha permesso lo sviluppo di diversi indirizzi giurisprudenziali e dottrinali sui punti che non chiarisce. La norma ha un’ampia portata applicativa dato che può esser utilizzata: in caso di separazione personale dei coniugi (anche in virtù della sua dislocazione nel codice), nell’ipotesi di procedimenti di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (così come nel caso della nullità dello stesso), ed infine nei procedimenti che si occupano di figli minori di genitori non coniugati. Da ciò si possono desumere almeno due conseguenze. In primis l’applicabilità dell’istituto alla presenza di qualsivoglia rapporto di filiazione, essendo sufficiente il riferimento alla prole minore (o maggiorenne portatrice di handicap). Secondariamente, poi, il dato per cui tale procedimento è presentabile tanto in via principale autonoma secondo l’art. 710 c.p.c. e l’art. 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, quanto in via principale qualora sia utilizzato con la domanda volta a ottenere una modifica delle condizioni di separazione o divorzio; infine, è possibile anche la presentazione in via incidentale del procedimento qualora si versi in un’ipotesi di crisi matrimoniale e altresì di procedimenti riguardanti figli di genitori non coniugati.
La giurisprudenza, in questi primi otto anni dall’entrata in vigore della norma, ha avuto molteplici occasioni per esprimersi circa le novità introdotte dall’art. 709ter c.p.c. e generare dei filoni interpretativi sulle questioni applicative di maggiore interesse e riscontro pratico.
2. Sulla natura delle misure di cui all’art. 709ter c.p.c.
L’art. 709ter c.p.c. introduce una serie progressiva di misure coercitive indirette finalizzate a garantire l’attuazione dei provvedimenti in materia di esercizio della potestà genitoriale e di affidamento. In altre parole, il Legislatore disciplina un sistema di sanzioni che interviene qualora si verifichino “gravi inadempienze” o altri atti pregiudizievoli per il minore. Si tratta, come noto, della possibilità per il giudice di modificare i provvedimenti già in vigore, di ammonire il genitore inadempiente, di condannare il medesimo a forme di risarcimento danni (nei confronti del minore o dell’altro genitore) o ad una “sanzione amministrativa.”Sin dalle primissime pronunce successive all’introduzione della norma, l’indirizzo giurisprudenziale dominante che si è creato, a proposito della natura delle misure in oggetto, è stato proprio quello dell’indole sanzionatoria. In particolare, con riferimento ai nn. 1 e 4 della norma quasi all’unanimità è stato riconosciuto il carattere esclusivamente sanzionatorio e volto a reprimere la mancata ottemperanza ai provvedimenti dati. Le maggiori discussioni si sono avute con riferimento ai nn. 2 e 3 ed in particolare alla loro natura, risarcitoria o sanzionatoria. Fatta questa premessa, risulta interessante l’indirizzo costante del Tribunale di Messina, il quale ha sempre evidenziato l’appartenenza delle misure di cui all’art. 709ter c.p.c. al novero degli strumenti sanzionatori. Il medesimo tribunale ha più volte specificato come i provvedimenti ex art. 709ter fanno parte della categoria dei punitive damages (o danni punitivi) . Nella lettura data da questo Tribunale, dunque, il modello di riferimento dovrebbe essere quello per cui, nei paesi di Common Law, al danneggiato è assegnato un risarcimento maggiore di quanto necessario per ristorare il danno così da affliggere il danneggiante. Il Tribunale di Napoli, pur riconoscendo la natura punitiva dei provvedimenti in oggetto, li ha invece ricondotti all’istituto franco-belga delle astreintes. In altre parole, si è dinanzi a strumenti volti a coartare la volontà del soggetto obbligato affinché non perseveri nell’inadempimento. Sono strumenti che esercitano forme di pressione psicologica sul soggetto tenuto ad un dato comportamento per vincerne la resistenza. Il funzionamento dell’astreinte è basato sul fatto di irrogare una condanna pecuniaria ulteriore a quella c.d. principale e crescente nel tempo per portare il debitore ad adempiere (dato che per ogni ritardo la sua posizione si aggrava). Ancora, il Tribunale di Padova qualifica come sanzionatorie anche le misure di cui ai n.n. 2 e 3 (risarcimento dei danni nei confronti del minore o dell’altro genitore). Nella medesima direzione, il Tribunale di Reggio Emilia si è espresso definendo sanzionatori i provvedimenti che il legislatore ha disciplinato al secondo comma dell’art. 709ter del codice di rito, oltre che finalizzati a coartare, nel senso dell’adempimento, il comportamento dei genitori. Anche pronunce più recenti confermano che si è dinanzi all’applicazione di sanzioni volte a fornire strumenti per la soluzione di conflitti tra genitori in conseguenza all’affidamento o comunque relativi ai figli. Infine, interessante evidenziare la posizione del Tribunale di Roma che compie l’ulteriore passo di specificare come le misure di cui all’articolo in oggetto siano “punitive e coercitive”.
3. L’ambito di applicazione
La giurisprudenza si è trovata altresì a prendere posizione su una questione di grandissimo interesse, soprattutto pratico. Si tratta, in particolare, dell’utilizzabilità dell’art. 709ter c.p.c. e degli strumenti che mette a disposizione rispetto a violazioni relative ad aspetti economici. In altre parole, premesso che la norma è utile a fronte del comportamento inadempiente di uno dei genitori rispetto a quanto è disciplinato nei provvedimenti riguardanti la separazione o al divorzio, oltre che dinanzi ad atteggiamenti lesivi per gli interessi dei figli, la giurisprudenza si è chiesta se tali misure siano utilizzabili anche a fronte di violazioni riferite esclusivamente agli aspetti economici. Rispetto a tale questione può essere utile ricordare che, tradizionalmente, le posizioni tutelate nella crisi della famiglia sono tripartite in personali, patrimoniali o miste. Tale distinzione poggia sul contenuto principale del diritto che si vuole garantire; ad esempio, alla luce di tale ricostruzione è una situazione personale l’affidamento, patrimoniale il diritto al mantenimento e mista l’assegnazione della casa familiare. Il punto, però, si può mettere in discussione nei seguenti termini: è possibile fare una distinzione fondata su tale criterio, il contenuto del diritto, o in un ambito come il diritto di famiglia esistono solo situazioni latu sensu personali? In particolare ci si può chiedere se, in tale contesto, tutelare uno qualunque dei diritti sopra menzionati, indirettamente, non significhi anche garantire il diritto alla vita, diritto personale per eccellenza. Bisognerebbe, forse, giungere a un ripensamento delle categorie tradizionali alla luce delle peculiarità dell’ambito nel quale ci troviamo ad operare e ricondurre tutto, appunto, alle situazioni latu sensu personali. Chiusa questa parentesi, non si può non riscontrare come il filone giurisprudenziale maggioritario abbracci l’idea che si prospettava (supra), ritenendo applicabile l’art. 709ter c.p.c. anche solamente dinanzi ad una violazione rispetto a situazioni patrimoniali. In particolare, è evidenziato lo stretto legame che intercorre tra l’inadempienza patrimoniale ed il corretto svolgimento dell’affidamento. In senso contrario si è espressa quella parte di giurisprudenza che ritiene utilizzabili le sanzioni di cui all’art. 709ter c.p.c. solo rispetto ad inadempimenti a fronte di situazioni personali.Da segnalare a parte la posizione del Tribunale di Ancona. Infatti, il Tribunale dei minorenni di Ancona ha ritenuto non applicabile la sanzione amministrativa, ex art. 709ter, n.4, c.p.c. “se il genitore coobbligato al mantenimento della figlia si sia astenuto dall’erogare solo le somme legate alla rivalutazione annuale, in base agli indici Istat, dell’assegno originario.”
4. La competenza come problema
L’art. 709ter c.p.c. espressamente recita “Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della potestà genitoriale o delle modalità dell’affidamento è competente il giudice del procedimento in corso.” Il problema rispetto al quale la giurisprudenza si è trovata a schierarsi concerne la determinazione del concetto di “giudice del procedimento in corso.” In generale, sarà competente il giudice del procedimento di separazione, di divorzio, di annullamento del matrimonio o di affidamento di figli di genitori non coniugati. La questione diviene più complessa qualora ci s’interroghi sulla competenza del giudice istruttore o del Collegio all’interno di un procedimento di separazione (o divorzio). In altre parole, può il giudice istruttore, durante un procedimento di separazione o di divorzio non ancora in fase decisoria, essere ritenuto competente di emanare i provvedimenti ex art. 709ter c.p.c.? In giurisprudenza prevale nettamente l’indirizzo che ritiene “giudice del procedimento in corso” anche il giudice istruttore e non soltanto il Collegio. Infatti, la norma oggetto di questa rassegna prevede una serie di misure che rivelano la loro massima utilità qualora siano utilizzate immediatamente a seguito del mancato adempimento; relegarne l’utilizzo alla fase finale della decisione significherebbe svuotare di molto la reale portata degli strumenti di cui si discute. Nel ragionamento di questo indirizzo giurisprudenziale è interessante il richiamo alle argomentazioni di cui alla sentenza 19 luglio 1996, n.258 della Corte Costituzionale. Con tale pronuncia il giudice delle leggi ha stabilito che “È costituzionalmente illegittimo - per contrasto con gli art. 3, 29 e 30 cost. - l'art. 156 comma 6 c.c., nella parte in cui non prevede che il giudice istruttore possa adottare, nel corso della causa di separazione, il provvedimento di sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato al mantenimento.”In particolare, dal momento in cui il Legislatore, ben comprendendo la necessità di forme di tutela privilegiate a garanzia dei provvedimenti di tipo patrimoniale, ha coniato questa specie particolare di sequestro, non si vede perché non rendere disponibile il medesimo istituto anche per i provvedimenti temporanei ed urgenti stabiliti nell’ordinanza presidenziale. In questo modo, grazie alla pronuncia della Corte, è divenuto possibile richiedere il sequestro ex art.156 c.c. anche al giudice istruttore, qualora si versi in un’ipotesi d’inadempimento rispetto a quanto stabilito dall’ordinanza presidenziale. Sulla base del ragionamento appena ricostruito, il Tribunale di Messina ritiene che “non si può certamente condividere l’opinione di chi ritiene che i provvedimenti ex art. 709ter c.p.c. possono essere adottati solo dal Collegio, in quanto la competenza del giudice istruttore sarebbe limitata ai provvedimenti temporanei ed urgenti, perché ad esempio il sequestro ex art. 156 c.c. (è) di competenza del giudice istruttore per decisione del giudice delle leggi (..).” In senso contrario, il Tribunale di Pisa ha ritenuto ascrivibile al concetto di “giudice del procedimento in corso” esclusivamente il “giudice titolare del procedimento”, ovverosia il Collegio.
5. Sull’applicabilità d’ufficio delle misure ex art. 709ter c.p.c.
La questione della possibilità di applicazione ex officio delle misure di cui all’art. 709ter c.p.c. è strettamente connessa alla problematica della natura degli strumenti in oggetto (supra, par.2). Dall’osservazione dell’andamento delle pronunce è dato, infatti, rilevare che la giurisprudenza che considera gli strumenti ex art. 709ter c.p.c. come misure di tipo punitivo-sanzionatorio tendenzialmente è la stessa che ravvisa un potere d’ufficio del giudice nella loro applicazione (quanto meno con riferimento ai numeri 1 e 4 dell’art. 709ter c.p.c.). L’indirizzo dominante pare ancora proprio quello che distingue tra le misure puramente sanzionatorie (di cui ai nn. 1 e 4) per le quali è possibile un’iniziativa d’ufficio, e quelle di cui ai nn. 2 e 3 per le quali vale il principio della domanda. Ciò nonostante vale la pena forse di ricordare che il bene giuridico garantito dalla norma in oggetto è il medesimo, e cioè l’esatta attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento ed alla potestà. Se questo è vero, e se la funzione coercitiva e sanzionatoria investe tutti gli aspetti della norma, forse non è negabile un intervento ex officio generalizzato. Ciò premesso, nella giurisprudenza di merito, sull’applicabilità d’ufficio delle misure di cui all’art. 709ter del codice di procedura, si riscontrano posizioni diverse. Il Tribunale di Salerno ha ritenuto che “ai sensi dell’art. 709ter c.p.c. (..) il giudice – anche d’ufficio – può modificare i provvedimenti in vigore.” Nella stessa direzione, avanzando, si muove la pronuncia del Tribunale di Modena che afferma l’esistenza del potere d’ufficio del giudice nell’applicazione della misura di cui al numero 1 dell’art. 709ter del codice di rito (ovverosia l’ammonizione). Il Tribunale di Palermo, compiendo un ulteriore passo, ritiene applicabili d’ufficio dal giudice anche le misure previste dai numeri 2 e 3 dell’art. 709ter c.p.c. Infine, va ricordata la pronuncia con cui il Tribunale di Roma sembrerebbe ritenere applicabili d’ufficio tutti i provvedimenti di cui all’articolo in oggetto.
6. Il procedimento e le sue forme
Rispetto alle forme del procedimento da seguire, qualora si voglia richiedere una modifica dei provvedimenti in vigore rispetto a quanto stabilito nella sentenza di separazione o cessazione degli effetti del matrimonio (ex art. 709ter c.p.c.), o uno degli strumenti di esecuzione indiretta di cui si discute, la giurisprudenza di merito ha prospettato diverse strade. Una prima possibilità risiede nell’utilizzo delle forme di cui all’art. 710 c.p.c. o dell’art. 9 della legge n. 898 del 1970. Stando a questa ricostruzione non è necessario andare a distinguere sulla base del contenuto dell’istanza. In senso contrario alla possibilità appena prospettata, il Tribunale di Termini Imerese ha ritenuto che sia necessario operare una bipartizione. In particolare, giacché la ratio che ha condotto all’introduzione dell’art. 709ter c.p.c. risiede nella volontà di andare a fornire una risposta ai problemi di attuazione di provvedimenti che sono in vigore, è necessario ravvisare nell’istanza la presenza di tali problemi di attuazione. Viceversa, qualora la richiesta di modifica si radichi in problematiche di altra natura, sarà necessario utilizzare le forme della domanda di modifica dei provvedimenti temporanei ed urgenti. Infine, parte della giurisprudenza ha specificato che qualora non vi sia un “procedimento in corso” le misure di cui all’art. 709ter c.p.c. andranno richieste nelle forme del rito camerale, in linea con l’art. 710 del codice di rito.
7. Sulle modalità d’individuazione della misura da applicare: in particolare la necessità della prova del danno
Il secondo comma dell’art. 709ter c.p.c. individua le effettive misure che il Legislatore ha previsto per le fattispecie di “gravi inadempienze o atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento.” Il problema principale che investe questa parte della norma risiede nel fatto che non è dato al giudice alcun criterio pratico da applicare per la scelta della misura da adottare. Allo stesso modo, rimangono piuttosto indefiniti tanto i contorni delle fattispecie sanzionabili quanto le entità e la tipologia d’istruttoria necessaria per irrogare le condanne risarcitorie. Si concentri l’attenzione sui numeri 2 e 3 del secondo comma della norma in oggetto e ci si chieda se è possibile la pronuncia di tali forme di risarcimento dei danni senza un’istruttoria circa la misura e la tipologia del danno sofferto. Ebbene, proprio su questo punto si sono venuti a delineare due contrapposti indirizzi nella giurisprudenza di merito. Un primo filone distingue la condanna irrogabile ex art. 709ter del codice di rito da quella volta a riparare il danno che si è provocato a seguito dell’illecito. Milita in questo senso la considerazione per cui “l’indagine di cui all’art. 709ter c.p.c. si limita ad accertare eventuali gravi inadempienze riguardanti provvedimenti già emessi e relative al procedimento in corso” ma non a risolvere tutte quelle questioni connesse alle azioni di risarcimento del danno, per le quali è necessario rientrare nelle comuni forme processuali. Questo parte della giurisprudenza, ritenendo di essere dinanzi ad un danno non patrimoniale, non ritiene necessaria un’istruttoria concernente l’an ed il quantum del danno medesimo, appurata la “grave inadempienza” o gli altri atti pregiudizievoli cui la norma fa riferimento. Il medesimo indirizzo giurisprudenziale, oltre a non ritenere necessaria la prova di un danno effettivamente patito dal minore, ritiene idoneo operare una valutazione equitativa del danno. Da segnalare la posizione peculiare assunta inizialmente dal Tribunale di Modena nell’affermare che “in mancanza di prova della volontarietà della violazione e, quindi, in assenza dell’elemento soggettivo dell’illecito, non possono applicarsi le sanzioni previste dall’art. 709ter c.p.c.” Infine, in senso contrario all’indirizzo maggioritario cui si faceva riferimento (supra), meritano attenzione le pronunce che hanno negato le misure di cui ai numeri 2 e 3 del secondo comma della norma in oggetto quando non era stata dimostrato un effettivo danneggiamento del minore come previsto dai principi generali vigenti in materia di azioni risarcitorie. In particolare, si ritiene che “In tema di controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della potestà genitoriale o delle modalità di affidamento, la condanna al risarcimento del danno non può essere ascritta alla categoria del danno punitivo, o pena privata, in quanto, avendo il legislatore differenziato la condanna in considerazione del soggetto danneggiato prevedendo due ipotesi diverse ai nn. 2) e 3) dell'articolo 709ter del c.p.c., appare difficile sostenere che tale condanna debba essere commisurata alla gravità della condotta posta in essere dal genitore inadempiente, e non al pregiudizio arrecato, commè nei principi generali dell'azione risarcitoria.”
8. L’impugnabilità dei provvedimenti ex art. 709ter c.p.c. come problema
A seguito dell’entrata in vigore della norma de quo in giurisprudenza si sono date diverse interpretazioni circa la parte dell’art. 709ter c.p.c. che recita “I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari.” In particolare il punctum dolens concerneva l’individuazione dei c.d. “modi ordinari” d’impugnazione. L’espressione “modi ordinari” deve essere intesa come mezzi ordinari previsti per impugnare le sentenze (dunque appello e ricorso per Cassazione), o come mezzi ordinari rispetto al singolo provvedimento nel quale è adottata una misura di cui all’art. 709ter c.p.c.? Il Tribunale di Arezzo, sulla questione dell’impugnabilità dei provvedimenti assunti ai sensi dell’art. 709ter c.p.c., aveva distinto tra quelli del giudice istruttore (reclamabili alla Corte d’Appello ai sensi dell’art.739 c.p.c.), quelli pronunciati a conclusione del procedimento ex art.710 c.p.c. (reclamabili in Corte d’Appello) e le sentenze (suscettibili di appello ordinario ex art. 323 c.p.c.). Ancora, il Tribunale di Bari ha ritenuto che i provvedimenti del giudice istruttore, seppure non impugnabili immediatamente ed in modo autonomo, sono sempre reclamabili e/o modificabili da parte dello stesso giudice che li ha assunti. Il punto risulta oggi chiarito dall’intervento della Corte di Cassazione, chiamata a prendere posizione sul regime di impugnazione dei provvedimenti assunti ai sensi dell’art. 709ter c.p.c. Il giudice di legittimità si è espresso tanto sull’impugnabilità che sulla stabilità dei provvedimenti adottabili sulla base di quanto disposto dalla norma in oggetto. La Cassazione ha precisato che con l’espressione “mezzi ordinari” il Legislatore ha inteso riferirsi agli strumenti classici che l’ordinamento processuale prevede per impugnare ogni diverso provvedimento nel quale potrà esplicarsi l’attività del giudice che si trovi ad applicare la norma in oggetto. Pertanto, sarà d’uopo andare a distinguere tra i provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 709ter c.p.c. nel contesto di una sentenza di separazione (o di divorzio), da quelli adottati in un decreto di modifica. Nel primo caso si procederà all’appello nelle forme del reclamo camerale in linea con quanto stabilito dalla legge sul divorzio. Diversamente, nella seconda ipotesi cui ci si riferiva sarà possibile il reclamo di cui all’art. 739 c.p.c. Anche rispetto a provvedimenti emanati con esclusivo riferimento alla norma in oggetto sarà possibile esperire il reclamo di cui all’art. 739 del codice di rito. La Suprema Corte ha negato la possibilità di un proprio controllo di legittimità per i provvedimenti di cui all’art. 709ter c.p.c. in quanto mancanti tanto del carattere decisorio quanto di quello definitivo .La Cassazione è tornata sul punto a novembre del 2011 mantenendosi conforme alla sua posizione. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto che “il provvedimento d’inammissibilità, emesso dalla Corte d’appello in sede di reclamo avverso l’ordinanza del giudice istruttore che, nel corso del procedimento di separazione personale, abbia adottato misure sanzionatorie ai sensi dell’art. 709ter c.p.c., non è ricorribile per cassazione, mutuando l’assenza di definitività e decisorietà dal provvedimento reclamato”.
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