Appello e CostituzioneCorte Costituzionale
Ordinanza 19 giugno 2013, n. 166
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco GALLO Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 59 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promosso dalla Commissione tributaria regionale delle Marche, nel procedimento vertente tra P.G. e l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale, Ufficio controlli Pesaro-Urbino, con ordinanza del 21 novembre 2012, iscritta al numero 12 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 giugno 2013 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio.
Ritenuto che la Commissione tributaria regionale delle Marche, con ordinanza del 21 novembre 2012, ha sollevato, in riferimento all’articolo 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 59 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui non contempla, tra i casi di rimessione alla Commissione provinciale, quello dell’erronea dichiarazione di inammissibilità da parte del giudice di primo grado senza trattazione nel merito della causa;
che, ad avviso del rimettente, al giudice di appello nel giudizio tributario sarebbero preclusi l’esame del merito, in assenza di censure sollevate al riguardo dall’appellante, e, al contempo, la possibilità di rimettere la causa al giudice di primo grado ai sensi del citato art. 59;
che il sistema così delineato, non suscettibile di interpretazioni correttive, darebbe luogo ad una compromissione del diritto di difesa, privando la parte di una piena tutela processuale, in violazione dell’art. 24 Cost.;
che, in punto di rilevanza, la Commissione tributaria osserva come nel giudizio a quo si crei, in tal modo, un vuoto processuale che non consente il corretto svolgimento del processo;
che è intervenuto nel giudizio di costituzionalità, con atto depositato il 26 febbraio 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo la declaratoria di inammissibilità della questione sollevata;
che, secondo la difesa dello Stato, infatti, il diritto vivente già fornisce una risposta al caso prospettato, il che renderebbe la questione anche irrilevante;
che, nel merito, la questione sarebbe manifestamente priva di fondamento, in quanto, alla luce del quadro normativo di riferimento e del consolidato orientamento della Corte di cassazione in materia, l’appellante, nel proprio atto di gravame, ben poteva, anzi doveva, far valere, oltre all’erroneità della decisione di primo grado, gli originari motivi di ricorso;
che, sempre nel merito, la questione sarebbe manifestamente priva di fondamento, posto che la norma impugnata costituisce il ragionevole punto di equilibrio tra due diverse esigenze: da un lato, quella di evitare la perdita di un grado di giudizio, allorché la sentenza di primo grado (pronunciando in rito) abbia illegittimamente omesso di valutare il merito della causa; dall’altro, quella di limitare l’eccessiva durata del processo, che dovrebbe ricominciare dal primo grado.
Considerato che la Commissione tributaria regionale delle Marche, con ordinanza del 21 novembre 2012, ha sollevato, in riferimento all’articolo 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 59 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui non contempla, tra i casi di rimessione, quello dell’erronea dichiarazione di inammissibilità del ricorso, emessa da parte del giudice di primo grado senza trattazione nel merito della causa;
che i dubbi prospettati dal rimettente in punto di legittimità costituzionale della norma censurata sono manifestamente infondati, in quanto espressi sulla base di un erroneo presupposto interpretativo;
che la norma censurata, infatti, non limita in alcun modo la trattazione del processo né pone il giudice dell’appello nella situazione di stallo prospettata dal rimettente;
che, in particolare, l’art. 59 del d.lgs. n. 546 del 1992, qualora non ricorra una delle ipotesi di rimessione alla commissione tributaria di primo grado elencate al comma 1, non preclude in appello la possibilità di esame del processo nel merito, a condizione che l’appellante abbia correttamente riproposto, insieme alla censura di erroneità della dichiarazione di inammissibilità, le relative censure di merito;
che, dunque, la preclusione lamentata dal giudice a quo è dovuta, nel caso di specie, non all’applicazione della norma impugnata, ma alla mera circostanza di fatto della mancata deduzione delle questioni di merito da parte dell’appellante, il quale ha male esercitato il suo diritto di appellare;
che la Corte di cassazione ha precisato, al riguardo, che «costituisce principio giurisprudenziale univoco e consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, quello anche di recente ribadito secondo il quale è ammissibile l’impugnazione con la quale l’appellante si limiti a dedurre unicamente i vizi di rito avverso una pronuncia a lui sfavorevole, solo se i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c e nel caso specifico del processo tributario, ai sensi dell’art. 59, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992; nelle ipotesi in cui, invece, il vizio non rientra in uno dei casi tassativamente previsti dalle citate norme è necessario che l’appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito, con la conseguenza che, in tali ipotesi, “l’appello fondato esclusivamente su vizi di rito, senza contestuale gravame contro l’ingiustizia della sentenza di primo grado dovrà ritenersi inammissibile, oltre che per difetto d’interesse, per non rispondenza al modello legale dell’impugnazione”» (sezioni unite, sentenza 14 dicembre 1998, n. 12541);
che in conclusione la questione sollevata dal rimettente si risolve nella denuncia di un inconveniente di mero fatto che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, non rileva ai fini del controllo di legittimità costituzionale (sentenze n. 117 del 2012, n. 303 del 2011 e n. 329 del 2009; ordinanze n. 270 e n. 112 del 2013).
Visti gli articoli 26, comma 2, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 59 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promossa, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale delle Marche, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Giancarlo CORAGGIO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
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